Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24744 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. II, 03/10/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 03/10/2019), n.24744

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29313-2017 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. B.

MARTINI 13, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DI PORTO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

CONSIGLIO NOTARILE DI GROSSETO, elettivamente domiciliato in ROMA,

V.LE PARIOLI 44, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MAZZOLI, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

PROCURA GENERALE REPUBBLICA CORTE APPELLO FIRENZE;

– intimati –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il

08/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/04/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARMELO SGROI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato CONTI Simone, con delega depositata in udienza

dell’Avv. Andrea DI PORTO, difensore del ricorrente che si riporta

agli atti depositati;

udito l’Avv. MAZZOLI Paolo, difensore del resistente che ha chiesto

li rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Firenze, con l’ordinanza di cui in epigrafe, confermati gli addebiti, per i quali la Commissione regionale di disciplina per la Toscana, aveva condannato il notaio C.D. alla sospensione dall’esercizio della professione per la durata di un mese, applicata l’attenuante di cui all’art. 144 Legge notarile, sostituì alla sanzione della sospensione quella della pena pecuniaria, quantificata in Euro 7.500,00.

Il notaio era stato tratto a giudizio disciplinare e giudicato colpevole per: a) aver violato i principi d’indipendenza e imparzialità enunciati dagli artt. 1 e 31 codice deontologico, essendosi avvalso dell’opera di un procacciatore d’affari, al fine di procurarsi clienti, così creando interferenza tra professione e affari e incidendo sulla libera designazione dell’incarico professionale delle parti contraenti; b) aver violato il principio di personalità della prestazione, di cui all’art. 36 codice deontologico; c) aver violato l’art. 144, lett. b) e c) Legge notarile.

Avverso la predetta statuizione l’interessato propone ricorso per cassazione, corredato da quattro motivi di censura.

Il Consiglio Notarile Distrettuale di Grosseto resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente con il primo motivo denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 1 e art. 31, lett. a) e b) codice deontologico, nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c., comma 1, art. 2727 c.c. e art. 2729 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Questi gli assunti impugnatori:

a) la Corte d’appello aveva ritenuto di trarre pulirmi indizi univoci, precisi e concordanti del fatto che il professionista, attraverso l’utilizzo di una società di procacciamento d’affari, agendo in località non frequentata dal medesimo (collaborazione che gli aveva procurato una mole eccessiva e concentrata nel tempo di richiesta d’atti – 58 in circa due mesi -), avesse tenuto una condotta diretta a turbare la libera scelta del notaio di fiducia da parte dei clienti;

b) una siffatta prova non c’era: il Comune di Manciano era sede vacante e non v’era modo d’ipotizzare la sottrazione di clientela in danno di altro notaio; era pacifico il rapporto di collaborazione contestato e la dimostrazione della colpa non poteva rinvenirsi “nella presunta incoerenza delle causali di pagamento delle fatture emesse dalla “Studio Servizi di F.B. e C.””;

2. Con il secondo motivo il C. prospetta la violazione dell’art. 15 c.p., art. 1, comma 1 e art. 31, lett. a) e b) codice deontologico, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La Corte d’appello, chiamata dal reclamante a verificare se fra le incolpazioni di cui agli artt. 1 e 31 cit., fosse da configurare un mero concorso apparente di norme, aveva dato soluzione non appagante, sotto due punti di vista: a) aveva adottato il criterio discriminante dell’interesse o del bene giuridico tutelato, piuttosto che adeguarsi al principio di diritto più volte espresso dalla Cassazione, basato sull’art. 15 c.p.; b) l’adottato criterio, peraltro, non avrebbe potuto giustificare la decisione, perchè non corrispondeva al vero che le due norme deontologiche fossero poste a presidio di “valori connotati da apprezzabile diversità”, stante che l’unico bene giuridico tutelato è costituito dall’imparzialità del notaio. Mentre l’art. 1 enuncia un tal principio in punto di regola generale, l’art. 31 lo declina specificamente avuto riguardo al momento di esecuzione dell’incarico professionale.

3. Il primo e il secondo motivo, tra loro collegati, scrutinati unitariamente, debbono essere rigettati per le ragioni di cui appresso.

3.1. L’utilizzo del procacciatore d’affari è fatto disdicevole per il decoro della professione, che, non è inutile ricordare, vede assegnati al notaio delicati compiti aventi pubblico rilievo e che si ripercuotono direttamente sui fenomeni negoziali di maggiore importanza per i traffici commerciali e per le convenzioni a contenuto non patrimoniale, che, inoltre, introduce meccanismi d’illecita concorrenza con gli altri professionisti.

Di conseguenza, corretta deve ritenersi la sussunzione all’interno della contestata ipotesi d’incolpazione, senza che rilevi la congetturata (ma non dimostrata) circostanza che in loco non vi fosse altro notaio. Peraltro, la captazione anomala della clientela è indubbiamente lesiva degli altri professionisti che avrebbero potuto legittimamente operare in sito, pur avendo sede altrove.

3.2. Il ricorrente, al fine di sostenere l’asserto del concorso apparente di norme, evoca una statuizione delle S.U. Penali (sentenza n. 1235, 28/10/2010, dep. 19/1/2011, Rv. 248864). Ma il richiamo non è d’aiuto.

La sentenza in parola, la quale s’impegna in una disamina imponente del fenomeno del concorso di norme incriminatrici penali, al fine di distinguere quello formale da quello meramente apparente, giunge a conclusione, per quel che qui rileva, che non sorregge la prospettazione impugnatoria.

Secondo il principio di diritto ricavato da quella decisione, in caso di concorso di norme penali che regolano la stessa materia, il criterio di specialità (art. 15 c.p.) richiede che, ai fini della individuazione della disposizione prevalente, il presupposto della convergenza di norme può ritenersi integrato solo in presenza di un rapporto di continenza tra le norme stesse, alla cui verifica deve procedersi mediante il confronto strutturale tra le fattispecie astratte configurate e la comparazione degli elementi costitutivi che concorrono a definirle.

Proprio attraverso quel “confronto strutturale e comparativo”, in questa sede, deve escludersi il denunziato concorso apparente.

La collocazione topografica delle due disposizioni, come evidenziato dall’ordinanza della Corte d’appello, e la loro struttura rende evidente che con la prima norma (l’art. 1) si intende assicurare che nella vita pubblica e privata il notaio appaia imparziale e indipendente e con la seconda (l’art. 31) che lo sia in concreto nell’esercizio della funzione, al momento della stipula.

Difatti, l’art. 1 apre il titolo I – della condotta, Capo I – della vita pubblica e privata, Sezione I – dei valori sociali, prescrivendo un reticolo di obblighi ai quali il notaio deve improntare la propria vita, che prescindono dagli specifici doveri ai quali è tenuto nell’esercizio dell’attività professionale in senso stretto, costituendone presupposto indefettibile: “Il notaio deve conformare la propria condotta professionale ai principi della indipendenza e della imparzialità evitando ogni influenza di carattere personale sul suo operare ed ogni interferenza tra professione ed affari. Ugualmente egli deve nella vita privata evitare situazioni che possano pregiudicare il rispetto dei suddetti principi”.

Per contro, l’art. 31, collocato all’interno del Titolo II – della prestazione, Capo I – dell’incarico, Sezione I – dell’astensione, Sezione II della assunzione, detta le regole alle quali il notaio deve attenersi, nel concreto esercizio della professione, nella specifica fase dell’assunzione dell’incarico: “Nell’ambito del generale dovere di imparzialità il notaio deve astenersi, nella fase di assunzione dell’incarico professionale, da qualsiasi comportamento che possa influire sulla sua designazione che deve essere rimessa al libero accordo delle parti. Per gli atti di vendita e di mutuo da parte di soggetti imprenditori (costruttori, banche) o per incarico di intermediari (agenzie immobiliari, mediatori creditizi) il notaio, prima di assumere l’incarico, è tenuto ad informare l’altra parte (consumatore) della suddetta regola e del suo diritto di designare il notaio in mancanza di libero accordo. Viola il dovere di imparzialità il notaio che: a) si serve dell’opera di un terzo (procacciatore) che induca persone a sceglierlo; b) conferisce al procacciatore l’incarico, anche a titolo non oneroso, di procurargli clienti; c) tiene comportamenti non corretti atti a concentrare su di sè designazioni relative a gruppi di atti riconducibili ad una medesima fonte (es.: agenzie, banche, enti, ecc.); d) consente l’inserimento del suo nome in moduli o formulari predisposti; e) si avvale della collaborazione anche non onerosa di Enti o Uffici il cui contatto con il pubblico possa favorire forme di procacciamento di clienti; f) svolge ricorrenti prestazioni presso soggetti terzi, organizzazioni o studi professionali; g) rileva a titolo oneroso lo studio notarile”.

3.2.1. Il criterio della unicità/pluralità del bene giuridico tutelato, declinato attraverso i canoni della consunzione o dell’assorbimento, al quale il C. pare assegnare rilievo dirimente, a prescindere dal non sedato dibattito della dottrina penalistica a riguardo della decisività, pertinenza e autonomia dei predetti canoni, rimandando, inevitabilmente, all’enucleazione del bene giuridico, che, come si è visto, qui conduce a due e distinte aree di offesa, non procura l’esito sperato dal ricorrente. Sul punto, infatti, è appena il caso di soggiungere non essere dubbio, proprio in materia penale, il concorso formale di norme ove le diverse componenti delle fattispecie sono indicative di offese diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme (solo a titolo esemplificativo, Cass. Pen. 33989/015, Rv. 264664; conf., ex multis, Cass. Pen. 24156/010).

L’asserto impugnatorio, inoltre, non trova sostegno nei precedenti specifici di questa Corte, richiamati dal ricorrente.

Con la sentenza n. 2526, 31/1/2017 (Rv. 642493) di questa Sezione si è precisato che la condotta consistita nella reiterata emissione di fatture irregolari a fronte di anticipazioni di spese inesistenti integra solo la fattispecie di illecita concorrenza di cui all’art. 147, lett. c) L. notarile, in relazione all’art. 14 codice deontologico – che include la suddetta condotta tra le ipotesi tipiche di illecita concorrenza – mentre resta assorbita, sulla base del concorso apparente di norme, quella di cui all’art. 147, lett. b) L. cit., consistente nella non occasionale, ma ripetuta, violazione delle norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato, sempre in relazione al medesimo art. 14 cod. deontologico, giacchè le disposizioni, di legge e deontologiche, hanno ad oggetto il medesimo fatto. Con la sentenza n. 24730, 2/12/2016 (Rv. 642079) si è chiarito che la contemporanea previsione, nella legge professionale e nel codice deontologico, di condotte analoghe non crea dubbi interpretativi laddove nel testo di rango sovraordinato nell’ordine delle fonti sia contenuta tutta la disciplina sanzionatoria, trovando in questo caso applicazione solo la legge professionale, mentre l’analoga previsione rinvenibile nel codice deontologico non assume valore di precetto autonomamente sanzionabile.

Nel primo caso, a differenza di quel che qui si rileva, proprio operando quel “confronto strutturale e comparativo” di cui si è discorso, la Corte ha rinvenuto medesimezza del fatto punito. Appare utile soggiungere che il sostantivo fatto assume una funzione di descrizione ellittica, che comprende, oltre alla condotta materiale, i beni aggrediti, al cui presidio il legislatore ha posto distinte ipotesi d’incolpazione; e, se nel caso riportato dalla sentenza citata, una tale pluralità di violazioni è stata esclusa, lo stesso non può dirsi, per quel che prima si è spiegato, per la condotta tenuta dal notaio C..

Il secondo caso, poi, risulta richiamato a sproposito, essendosi risolta una sovrapposizione tra norma primaria e secondaria.

4. Con il terzo motivo il ricorso allega la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 15 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

La decisione di primo grado aveva ritenuto che l’odierno ricorrente avesse violato anche l’art. 147, lett. c) Legge notarile, il quale vietava l’illecita concorrenza, almeno fino all’entrata in vigore della riforma apportata con la L. 4 agosto 2017, n. 124.

Col reclamo si era osservato che un tale addebito, mai contestato dal Consiglio Notarile, era da attribuirsi ad un errore materiale nel dispositivo, o a un vizio di ultra-petizione. Sul punto la Corte d’appello non aveva reso decisione.

4.1. La doglianza è infondata.

Poichè la incolpazione di cui all’art. 147, lett. C) Legge Notarile, non è in alcun modo contemplata della decisione ed è rimasta del tutto estranea al decisum, fondato sull’art. 144, lett. b) e sugli artt. 1 e 31 codice deontologico. La questione, quindi, è priva di concreto rilievo, essendosi trattato di una contestazione mai presa in considerazione dal giudice.

5. Con il quarto motivo il C. prospetta violazione o falsa applicazione dell’art. 36 codice deontologico e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo e omessa o apparente motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La Corte locale aveva ritenuto provata la violazione del principio di personalità della prestazione sulla base di quanto appresso: “gli elementi indiziari raccolti e valutati nel loro contesto danno conto del fatto che il notaio nelle fattispecie oggetto di contestazione non possa aver avuto modo di seguire la stesura degli atti con le modalità che la dignità e la rilevanza pubblica della professione impone di diretto e personale contatto con la clientela di (OMISSIS); il che riceve poi conferma nella modalità di raccolta della medesima, come sopra già contestato”.

Per il ricorrente trattasi di affermazione incontrollabile e apodittica, che prescinde dal concreto esame dell’organizzazione dello studio del notaio, del numero di atti stipulati e del tempo dedicato a ognuno d’essi, per preparazione, lettura e spiegazione alle parti.

Al fine di sconfessare la contestazione il notaio C. aveva offerto alla Corte d’appello ogni utile elemento di conoscenza attraverso la produzione di un analitico prospetto, dal quale emergeva che i 58 atti erano stati confezionati in dieci differenti giornate lavorative, non connotate da freneticità alcuna; ma “il simulacro. di motivazione” non aveva considerato in alcun modo il fatto decisivo.

5.1. Il motivo non può essere accolto.

La Corte d’appello giunge a ritenere provata l’incolpazione di spersonalizzazione della prestazione professionale attraverso la duplice e convergente constatazione del procacciamento della clientela attraverso l’opera remunerata e non professionale (cioè estranea all’esercizio della professione di notaio) di soggetto esterno (società commerciale) e dell’eccessiva stipula d’atti nel volgere di un breve tempo, attribuita proprio a quella forma anomala di convogliamento della clientela.

Se la conclusione è indiziaria, come sempre in assenza di una prova diretta, deve negarsi che si versi in presenza, come per contro afferma il ricorrente, di una presunzione fondata su una presunzione. Che il notaio si fosse affidato alle descritte modalità per incettare la clientela non costituisce una presunzione ma un accertamento non controvertibile; del pari, che abbia stipulato 58 atti in dieci giorni costituisce circostanza ammessa dallo stesso ricorrente. Da tali indiscutibili emergenze la Corte locale è giunta alla conclusione avversata col motivo e il documento evidenziato col motivo è privo di decisività.

La motivazione, lungi dal potersi considerare apparente, in definitiva, esprime un insindacabile giudizio di merito. Questa Corte ha avuto modo di condivisamente affermare che il requisito della gravità si riferisce al grado di convincimento che le presunzioni sono idonee a produrre e a tal fine è sufficiente che l’esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica; il requisito della precisione impone che i fatti noti, da cui muove il ragionamento probabilistico, ed il percorso che essi seguono non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica; con il requisito della concordanza si prescrive che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto; la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto sono riservati al giudice di merito e sottratti al controllo di legittimità in presenza di adeguata motivazione; diversamente, l’esistenza della base della presunzione e dei fatti noti, facendo parte della struttura normativa della presunzione, è sindacabile in cassazione (Sez. L., n. 4168, 22/3/2001, Rv. 545060).

E’ appena il caso di soggiungere che, come si è anticipato, i fatti noti, posti alla base del giudizio espresso dalla Corte fiorentina non sono seriamente contestabili.

6. Le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate.

7. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controinteressato, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, per ciascuno dei gruppi di ricorrenti facenti capo ai due separati controricorsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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