Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24742 del 05/11/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 24742 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 16240-2012 proposto da:
PAGLIARA GILBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA LEONIDA BISSOLATI 73, presso lo studio
dell’avvocato MACCARONE GUIDO, rappresentato e difeso
dall’avvocato LANUCARA LEONARDO, giusta mandato a
margine del ricorso;
— ricorrente contro

LECCE PALMIRO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 86/2011 del TRIBUNALE di
TARANTO – Sezione Distaccata di GROTTAGLIE, depositata
il 23/5/2011;
udita la relazione della causa solta nella camera di

Data pubblicazione: 05/11/2013

consiglio del 09/10/2013 dal Consigliere Relatore
Dott. GIOVANNI GIACALONE.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del

Dott. MARIO FRESA.

60) R. G. n. 16240/2012
IN FATTO E IN DIRITTO
Nella causa indicata in premessa. é stata depositata la seguente relazione:
“1. – La sentenza impugnata (Tribunale di Taranto — sede distaccata di
Grottaglie 23/05/2011, non notificata), accogliendo l’appello dell’odierno

intimato, riteneva fondata l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso in

non si poteva attribuire efficacia negoziale all’impegno del debitore (Lecce)
di pagare la somma richiesta, poiché questo, pur interrompendo la
prescrizione presuntiva, non determinava la nascita di una nuova
obbligazione, con la conseguenza che doveva escludersi l’applicabilità del
termine prescrizionale decennale.
2. Ricorre per cassazione il Pagliara con un unico motivo di ricorso.
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.
3. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente lamenta “violazione e falsa
applicazione dell’art. 2956 n. 2 c.c. e dei principi che regolano la
prescrizione presuntiva; violazione e falsa applicazione degli artt. 1988,
1321, 1324, 1326, 1334, 1372 e 2233 c.c.; violazione e falsa applicazione
dell’art. 1362 c.c.”. Il giudice d’appello avrebbe errato nel considerare
l’impegno del Lecce a saldare entro breve termine il compenso dell’odierno
ricorrente per l’attività professionale svolta in suo favore come
“accettazione della misura del compenso proposto dal professionista”, posto
che in precedenza, questo non era stato determinato. Di conseguenza
avrebbe errato nel non ritenere inoperante la prescrizione presuntiva,
qualificando detto impegno come promessa di pagamento.
4. — Il ricorso è manifestamente privo di pregio.
4.1 — L’unica censura formulata mette in discussione accertamenti di fatto e
valutazioni di merito. Il Giudice territoriale, ha, con motivazione adeguata,
correttamente escluso l’efficacia negoziale della dichiarazione del debitore
(odierno intimato), qualificando la medesima come promessa di pagamento.
Al riguardo, si deve innanzitutto precisare che, secondo la giurisprudenza di
questa Corte, la qualificazione del rapporto controverso, oggetto della

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favore dell’odierno ricorrente e lo revocava. Secondo il Giudice territoriale

domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in
sede di legittimità..
4.2. – Nel caso di specie le predette violazioni di legge, non sono, pertanto,
nemmeno configurabili. Come questa Corte ha avuto più volte modo di
evidenziare, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di
un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica

di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di
cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
esterna all’esatta interpretazione della nonna di legge e impinge nella tipica
valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione; il discrimine tra l’una e
l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea
ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione
della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della
fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo
quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010;
4178/07; 10316/06; 15499/04). Considerato che il ricorrente neanche
prospetta “vizi motivazionali”, il ricorso non coglie nel segno, tenuto conto,
altresì, che le violazione delle norme prospettate muovono, comunque, da
una ricostruzione dell’assetto negoziale diversa da quella motivatamente
adottata dal giudice di appello.
4.3. – Senza contare che la decisione impugnata si rivela, sul punto, in
armonia con il consolidato orientamento, secondo cui “il riconoscimento
del debito, come qualsiasi altra causa interruttiva della prescrizione, ha
il solo effetto di far considerare come non decorso, agli effetti
prescrittivi, il tempo anteriormente trascorso, si che dall’atto
interruttivo inizia un nuovo periodo di prescrizione, non già a far
escludere l’applicabilità della prescrizione presuntiva al rapporto”

(Cass. n. 3515/1969, orientamento non smentito da successive pronunce).
5. – Si propone la trattazione in Camera di consiglio e la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.”
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necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione

La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai
difensori delle parti costituite.
La parte ricorrente ha presentato memoria.
A seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il Collegio ha
condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, atteso che le
considerazioni svolte in memoria non giustificano in alcun modo una
soluzione della controversia diversa rispetto a quella prospettata nella

In particolare osserva il Collegio che — a prescindere da ogni altra
considerazione — parte ricorrente è carente di interesse a dolersi della
qualificazione data dal giudice a quo della dichiarazione 4 giugno 1999.
Anche nella eventualità — infatti — potesse pervenirsi (superando le puntuali
osservazioni svolte nella memoria) alla conclusione che con la dichiarazione
in questione deve qualificarsi «come accettazione della misura del
compenso richiesta dal Pagliara» nonché come «dilazione, la possibilità
stabilita delle parti di pagare successivamente il debito scaduto» e, infine,
come «quietanza il documento stesso», non per questo potrebbe mai
pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata e alla affermazione della
non operatività — nella specie – della prescrizione prevista dall’art. 2956, n. 2
c.c.
Al riguardo deve ribadirsi — giusta quanto assolutamente pacifico in dottrina
nonché presso una più che consolidata giurisprudenza di questa Corte
regolatrice — che nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di
legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo
significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al
criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l’esame
complessivo del testo, della mens legis, specie se, attraverso siffatto
procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della
norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore.
Soltanto qualora la lettera della norma medesima risulti ambigua (e si
appalesi altresì infruttuoso il ricorso al predetto criterio ermeneutico
sussidiario), l’elemento letterale e l’intento del legislatore, insufficienti in
quanto utilizzati singolarmente, acquistano un ruolo paritetico in seno al
procedimento ermeneutico, sì che il secondo funge da criterio comprimario
e funzionale ad ovviare all’equivocità del testo da interpretare, potendo,
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relazione.

infine, assumere rilievo prevalente rispetto all’interpretazione letterale
soltanto nel caso, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla
formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo,
non essendo consentito all’interprete correggere la norma nel significato
tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui
ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica cui la
norma stessa è intesa (tre le altre, ad esempio, in questo senso, Cass. 6 aprile
Facendo applicazione, al caso di specie, dei riferiti principi è di palmare
evidenza che l’espressione (contenuta nell’art. 2956, n. 2 cod. civ.) «si
prescrive in tre anni il diritto» … «dei professionisti, per il compenso
dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative» è inequivoca
nell’assoggettare a prescrizione triennale tutti i crediti dei professionisti «per
il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative».
Pertanto, al riguardo:
– da un lato, è assolutamente irrilevante e non pertinente al fine del decidere
(contrariamente a quanto suppone la difesa di parte ricorrente, cfr. p. 11
della memoria) che «la prescrizione presuntiva trova fondamento nella
prassi per la quali in taluni rapporti normalmente non vengono disciplinati
con un atto scritto e si svolgono senza formalità, per cui decorso un certo
periodo di tempo senza che il creditore si sia attivato la legge presume che il
debito sia stato pagato»;
– dall’altro, che la disposizione in questione (id est l’art. 2956, n. 2 cod. civ.)
si riferisce ai crediti maturati da professionisti, per l’opera da loro prestata
(come nella specie l’opera del Pagliara) a prescindere dalla circostanza che
il contratto (di prestazione d’opera) sia stato, o meno, redatto per iscritto,
che le parti abbiano, o meno, previamente (o successivamente alla
conclusione dell’attività) concordato la misura del compenso (salva
ovviamente, l’eventualità di espressa pattuizione sin dal momento del
conferimento dell’incarico, incompatibile con il regime dell’art. 2956 cod.
cvi.);
– da ultimo che qualora, dopo il compimento dell’attività professionale sia
intervenuto (come nella specie) il riconoscimento del debito, da parte del
debitore, lo stesso – come qualsiasi altra causa interruttiva della prescrizione
– ha il solo effetto di far considerare come non decorso, agli effetti
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2001, n. 5128).

prescrittivi, il tempo anteriormente trascorso, si che dall’atto interruttivo
inizia un nuovo periodo di prescrizione, non già a far escludere
l’applicabilità della prescrizione presuntiva al rapporto (in termini, Cass. 25
ottobre 1969, n. 3515, già richiamata nella relazione e per superare le cui
argomentazioni nulla ha opposto la difesa del ricorrente).
Irrilevanti — da ultimo — al fine di pervenire a una diversa soluzione della
controversia si appalesano i precedenti giurisprudenziali richiamati in
attività professionali nascenti da contratti stipulati originariamente per
iscritto, o comunque a fattispecie particolari (come nella ipotesi all’esame di
cui Cass. 7 aprile 2006, n. 8200, nella quale era stato espressamente pattuito,
per iscritto, al momento del conferimento dell’incarico/ che in relazione a
compenso per attività professionale pattuito il pagamento doveva essere
effettuato entro trenta giorni dall’ottenimento del contributo da parte
dell’ente finanziatore).
Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato perché manifestamente
infondato.
Nulla per le spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa
sede;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2013
Il Presidente

memoria, posto che gli stessi fanno riferimento o a crediti non derivanti da

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