Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24741 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 05/11/2020), n.24741

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19094/13 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– ricorrente –

contro

AGORA’ IMMOBILIARE S.R.L., in liquidazione, in persona del

liquidatore, rappresentata e difesa, in virtù di procura a margine

del controricorso, dall’avv. Antonino Attanasio, con domicilio

eletto presso lo studio dell’avv. Ottorino Agati, in Roma, via di

Porta Pertusa, n. 4;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 11/12/13 depositata in data 1 marzo 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con avviso di accertamento emesso nei confronti della società Agorà Immobiliare s.r.l., l’Agenzia delle entrate accertava maggiore imponibile ai fini IRES, IRAP e I.V.A., per l’anno 2004, derivante dalla sottofatturazione relativa alla vendita di sette unità immobiliari edificate in località Piangipane di Ravenna. In particolare, l’Ufficio contestava i valori dichiarati in alcune

compravendite, in quanto gli acquirenti avevano contratto mutui ipotecari superiori al prezzo di acquisto dichiarato ed avevano effettuato, in prossimità della data del rogito notarile, consistenti prelevamenti in denaro; rilevava, altresì, che i prezzi risultanti dai singoli atti di compravendita erano tra loro diversi e, comunque, al di sotto dei valori risultanti dalla Banca dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, tenuto dall’Agenzia del territorio, pur trattandosi di immobili aventi medesime caratteristiche.

La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso con sentenza che veniva impugnata dalla società contribuente dinanzi alla Commissione regionale dell’Emilia Romagna che, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello. Evidenziava che l’atto impositivo si basava su una triplice presunzione: a) tre acquirenti avevano contratto mutui di importo superiore a quello dichiarato nel rogito, per cui il prezzo effettivamente pagato era di gran lunga superiore a quello dichiarato; b) le unità immobiliari compravendute erano omogenee tra loro entro due categorie; c) i prezzi ricostruiti per le tre unità immobiliari compravendute con l’accessione di mutui di importo più elevato si estendevano sic et simpliciter agli altri della categoria di assegnazione. La circostanza che alcuni acquirenti avessero prelevato dai rispettivi conti correnti bancari somme in contanti in date ravvicinate a quelle programmate per i rogiti contraddiceva la presunzione principale, perchè non spiegava per quale ragione gli acquirenti avrebbero avuto bisogno di risorse “in nero” se l’importo del mutuo era già superiore al prezzo dichiarato; in ogni caso le tre presunzioni non erano connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza e dovevano essere degradate al rango di indizio la prima e di mere illazioni le altre due. Aggiungeva che la vicenda avrebbe meritato una verifica concreta in ordine alle superfici delle unità immobiliari, stante la diversità delle misure indicate dall’Ufficio e dalla società, ed in merito ai prelievi effettuati; inoltre, la perizia tecnica connessa al mutuo ipotecario relativo ad una delle compravendite era di per sè non significativa, essendo preordinata a supportare l’iscrizione di ipoteca in favore dell’istituto di credito mutuante; anche lo scostamento dai valori O.M.I. costituiva mero indizio che l’Ufficio, sul quale ricadeva il relativo onere probatorio, avrebbe dovuto riscontrare con altri elementi concordanti. Annullava, quindi, l’avviso di accertamento per insufficienza della motivazione.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione l’Agenzia delle entrate, con quattro motivi, cui resiste la società contribuente mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, nonchè degli artt. 2727 e 2729 c.c., in quanto i giudici di appello avrebbero erroneamente ritenuto che le presunzioni offerte non fossero connotate dai requisiti di gravità, precisione e concordanza.

L’accertamento era avvenuto sul presupposto della complessiva inattendibilità della documentazione contabile della società relativa all’anno oggetto di contestazione e poggiava su un insieme di elementi presuntivi utilizzati in sede di verifica, desunti dai dati in possesso dell’Anagrafe tributaria, dai valori di mercato dell’O.M.I., dalle offerte di vendita al pubblico relative ad immobili aventi caratteristiche similari ed analoga ubicazione, dalle quali emergeva l’inattendibilità dei prezzi di vendita dichiarati nei rogiti, da una perizia di stima redatta da un perito, che aveva attribuito ad uno degli immobili un valore superiore a quello dichiarato nel rogito, oltre che dall’esame della documentazione bancaria riferibile agli acquirenti, essendo emerso che gli stessi, in prossimità della data del rogito, avevano effettuato prelevamenti in denaro contante per importi considerevoli. I giudici di merito erano quindi incorsi nei vizi denunciati per avere “derubricato” i numerosi elementi presuntivi allegati a meri “indizi”, come tali inidonei a supportare l’accertamento de quo, pur trattandosi di elementi che convergevano verso la medesima ricostruzione.

2. Con il secondo motivo censura la sentenza per insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per non avere i giudici regionali adeguatamente valutato gli elementi presuntivi utilizzati dall’Ufficio, già richiamati nel primo motivo di censura.

3. Con il terzo motivo, in via subordinata, denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ribadendo che gli elementi di valutazione dell’accertamento, di cui la Commissione regionale ha omesso l’esame, sono tutti quelli già richiamati in modo dettagliato e specifico nei motivi precedenti.

4. Con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e contesta la decisione impugnata laddove si addiviene all’annullamento dell’atto impositivo per insufficienza della motivazione, tenuto conto che le doglianze mosse dalla società con il ricorso introduttivo concernevano contestazioni riguardanti gli elementi presuntivi utilizzati a supporto dell’accertamento induttivo.

5. Il quarto motivo, da esaminare con priorità in quanto il suo accoglimento renderebbe superflua ogni valutazione in ordine agli altri motivi, è fondato.

Secondo un orientamento giurisprudenziale di segno maggiormente restrittivo (Cass., sez. 5, 17/10/2014, n. 22003), la motivazione dell’avviso di accertamento assolve ad una pluralità di funzioni, che garantisce il diritto di difesa del contribuente, delimitando l’ambito delle ragioni deducibili dall’ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, per cui, sebbene vada escluso ogni formalismo nell’indicazione delle norme di diritto violate, quando sono chiaramente desumibili, e di tutti gli elementi di prova, eventualmente integrabili in sede di giudizio purchè siano stati indicati gli elementi di fatto e istruttori del procedimento, è comunque necessaria la presenza nell’avviso di accertamento e di rettifica degli elementi identificativi del petitum e della causa petendi e, quindi, una chiara ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, in modo da rispettare, da un lato, il principio costituzionale di buona amministrazione e, dall’altro, di consentire una adeguata e piena difesa in giudizio (Cass., sez. 5, 21/11/2018, n. 30039).

Nella specie, dalla motivazione dell’avviso di accertamento, depositato unitamente al ricorso per cassazione, si evince che lo stesso, dopo una dettagliata descrizione delle singole unità immobiliari oggetto di compravendita, tutte facenti parti di un complesso immobiliare sito in Ravenna, e del rispettivo valore dichiarato, pone in rilievo, sulla base degli elementi acquisiti in corso di verifica, che, contestualmente all’atto di cessione, alcuni acquirenti degli immobili avevano sottoscritto contratti di mutuo ipotecario per importi superiori a quanto dichiarato nell’atto di compravendita e che i prezzi di vendita dichiarati nei rogiti risultavano inattendibili perchè si discostavano nettamente dalle offerte di vendita al pubblico relative ad immobili aventi analoghe caratteristiche ed ubicazione, fornendo in tal modo una adeguata indicazione degli elementi posti a sostegno della ricostruzione induttiva del maggior reddito accertato ed una conseguente piena comprensibilità dell’atto impositivo per la società contribuente ai fini dell’impugnazione. Di conseguenza, deve ritenersi che ogni ulteriore allegazione avrebbe potuto essere utilizzata dall’Ufficio eventualmente ai fini probatori, ma non ai fini motivazionali, in relazione ai quali l’onere imposto dall’art. 42 citato risulta pienamente assolto.

6. Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo e del terzo motivo.

La ricorrente ritiene che l’accertamento si fondi su indizi idonei alla costituzione della prova presuntiva richiesta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e lamenta che la sentenza non ha valorizzato tutti gli elementi presuntivi posti a fondamento dell’atto impositivo.

Sebbene sia devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., tale giudizio è soggetto al controllo del giudice di legittimità, qualora risulti che il giudice di merito non abbia fatto buon uso del materiale indiziario a sua disposizione, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass., sez. 6-5, 5/5/2017, n. 10973; Cass., sez. 5, 26/01/2007, n. 1715).

Questa Corte, in particolare, ha indicato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno desunti dal loro esame complessivo, in un giudizio non atomistico di essi (ben potendo ciascuno di essi essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza ed ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass., sez. 3, 16/05/2017, n. 12002; Cass., sez. 6-5, 2/03/2017, n. 5374). Ciò che rileva è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, fermo restando il diritto del contribuente a fornire la prova contraria.

Tanto premesso, si impone di verificare se nella sentenza sia stata fatta corretta applicazione dei principi appena esposti.

La Commissione regionale ha giustamente posto in evidenza che la difformità fra il corrispettivo di cessione ed il valore normale desunto dalle quotazioni O.M.I. rappresenta solo una mera presunzione semplice, uniformandosi all’orientamento di questa Corte che è ferma nel ritenere che “in tema di accertamento dei redditi d’impresa, in seguito alla sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ad opera della L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, che, con effetto retroattivo, stante la sua finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea, ha eliminato la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006) di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi, in tal modo ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti”, l’accertamento di un maggiore reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni O.M.I., ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti” (Cass., sez. 5, 12/04/2017, n. 9474).

L’accertamento svolto dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), tuttavia, come puntualmente evidenziato dalla ricorrente anche ai fini dell’autosufficienza del ricorso, non è fondato sui soli valori O.M.I., ma poggia su una serie di elementi di riscontro probatorio, tutti volti ad evidenziare una disomogeneità tra i prezzi dichiarati negli atti di cessione ed il valore effettivo dei beni.

I giudici di appello non hanno adeguatamente preso in esame tutti gli elementi offerti dall’Ufficio che costituiscono un quadro di circostanze astrattamente suscettibile, per gravità, precisione e concordanza, di legittimare la determinazione induttiva del reddito.

Infatti, anche escludendo ogni rilevanza dei valori O.M.I., a fondare l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili è sufficiente, come ribadito costantemente da questa Corte, anche soltanto lo scostamento tra il minor prezzo indicato nell’atto di compravendita e l’importo del mutuo erogato all’acquirente, ciò non comportando alcuna violazione delle norme in materia di onere della prova (Cass., sez. 5, 9/06/2017, n. 14388).

Costituisce, infatti, orientamento di questa Corte che la presunzione semplice è un procedimento logico da cui il giudice desume l’esistenza di un fatto ignoto dalla presenza di un fatto noto sul presupposto di una loro successione nella normalità dei casi. E’, pertanto, evidente che anche un solo fatto – qualora presenti i requisiti della gravità e precisione – può essere idoneo per una tale deduzione e costituire, quindi, la fonte della presunzione (Cass., sez. 3, 30/01/2014, n. 2082; Cass., sez. 1, 26/03/2003, n. 4472, in motivazione).

Nella specie, la C.T.R. ha omesso qualsiasi riferimento alla incongruenza rilevata, con riguardo ad alcuni degli immobili compravenduti (indicati ai nn. 3, 5 e 6 dell’avviso di accertamento), tra il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita e l’ammontare del mutuo ipotecario erogato agli acquirenti, pur trattandosi di fatto che è, invece, del tutto idoneo a fondare una presunzione, salvo naturalmente l’esame del merito della questione, non consentito in questa sede.

Ha, parimenti, omesso di considerare, come evidenziato dall’Ufficio in ricorso, che in relazione all’immobile contraddistinto con il n. 3) (acquistato da C. e G. per il prezzo dichiarato di Euro 110.000,00) era stata redatta perizia da un incaricato della Banca ai fini dell’erogazione del mutuo dalla quale emergeva che l’immobile era stato stimato in Euro 200.000,00 e che gli stessi acquirenti, alcuni mesi dopo l’acquisto, lo avevano rivenduto dichiarando un prezzo di rivendita pari ad Euro 144.693,00; neppure ha proceduto all’esame degli ulteriori elementi indiziari, quali la diversità dei prezzi risultanti dai singoli atti di compravendita, pur trattandosi di immobili facenti parte dello stesso complesso ed ascrivibili a tipologie omogenee, quanto ad ampiezza e metratura, come evidenziato nell’avviso di accertamento, nonchè la differenza (in eccesso) tra i prezzi delle compravendite immobiliari ed i corrispondenti valori di mercato desumibili dalle offerte di vendita al pubblico, relative ad immobili aventi caratteristiche similari ed analoga ubicazione.

La Commissione regionale è, quindi, incorsa nei vizi denunciati, perchè dalle argomentazioni giustificative della decisione è chiaramente evincibile che, nell’accogliere il gravame della contribuente, ha analizzato solo alcuni degli elementi indiziari posti a fondamento della pretesa fiscale, tralasciando di esaminarne altri, non rispettando in tal modo i principi che regolano l’accertamento presuntivo.

La sentenza va, pertanto, cassata in relazione alle censure accolte con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna perchè proceda a nuovo esame, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo ed il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

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