Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24738 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 19/10/2017, (ud. 19/07/2017, dep.19/10/2017),  n. 24738

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. penta Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11332-2013 proposto da:

M.R., ((OMISSIS)), PIACENTINA COSTRUZIONI SRL,

V.P., M.G., C.A., L.M.,

IMMOBILIARE GM SRL, MA.RU., domiciliati in ROMA

presso la CANCELLERIA della Corte di Cassazione, rappresentati e

difesi dall’avvocato FRANCESCO DI BIASE ed EGIZIANO DI LEO giusta

procura in notarile in atti;

– ricorrenti –

contro

G.S., EDIL MER SRL, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato BENITO PANARITI,

rappresentati e difesi dall’avvocato ARCANGELO M. CAFIERO giusta

procura notarile in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 343/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 27/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Benito Panariti per delega dell’Avvocato Cafiero per

i controricorrenti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

G.S., in proprio e quale legale rappresentante della Edil Mer S.r.l. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia gli odierni ricorrenti deducendo che la società attrice aveva, in virtù di una complessa operazione negoziale frutto di un collegamento tra vari contratti, acquistato la quota del 50 % di un terreno edificatorio di circa 10.000 mq sito in zona PEEP del Comune di (OMISSIS), comparto (OMISSIS), identificato in catasto terreni alla partita (OMISSIS).

In particolare, con scrittura privata del 4 gennaio 2001 la Piacentina Costruzioni si era obbligata a vendere al G., che acquistava per sè o per persona da nominare al prezzo di Lire 1.150.000.000, e previo versamento di una caparra di Lire 300.000.000, una quota del 50% del detto terreno, e che il promittente acquirente si era riservato la possibilità di acquistare il restante 50%, al momento dell’approvazione del progetto e della convenzione con il Comune ove era ubicato il suolo, stabilendosi un prezzo di vendita dei fabbricati da edificare non inferiore a L.. 2.300.000 al mq.

Nell’atto si era prevista la possibilità per la promittente venditrice di alienare l’immobile ad una società di capitali di nuova costituzione, garantendo però che la società sarebbe stata obbligata a trasferire le quote in favore del G. con impegno assunto anche dai soci della nuova società.

Quindi, M.R. e le altre persone fisiche evocate in giudizio avevano costituito la Immobiliare GM S.r.l. che con atto del 2 febbraio 2001 si era resa acquirente del terreno oggetto di causa, ad eccezione della particella n. (OMISSIS), ed ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello pattuito con la scrittura del gennaio 2001.

Di seguito, con scrittura privata dell’8 febbraio 2001 i soci della Immobiliare GM avevano garantito la cessione del 50% dell’intera partecipazione posseduta per il prezzo di Lire 1.150.000.000, provvedendo poi nello stesso giorno all’effettiva cessione delle quote al detto prezzo.

Alla luce di tali premesse, assumevano gli attori che in realtà, la Immobiliare GM, in contrasto con l’effettivo intento dei contraenti quale emergente dal complesso collegamento negoziale, non aveva alienato il 50% dell’intero suolo di cui all’originario preliminare, essendo appunto emerso che la particella n. (OMISSIS), che era quella di maggior valore, sebbene ricompresa nella descrizione dei beni di cui al preliminare, non era stata trasferita a favore della società le cui quote erano state acquistate, in quanto il fondo de quo era stato precedentemente alienato a terzi dalla Piacentina Costruzioni.

La cessione di quote era quindi da ritenersi inefficace quale contratto apparente ma volto a dissimulare la compravendita della metà del terreno originariamente oggetto del preliminare concluso in proprio dal G., dovendosi ritenere che l’intera operazione negoziale fosse annullabile in quanto viziata da dolo.

Gli attori concludevano quindi affinchè fosse accertata l’inefficacia dell’atto di cessione di quote, in quanto simulante la compravendita del terreno, dichiarando l’annullamento di tutti gli atti negoziali intercorsi tra il G. e la società attrice da un lato ed i convenuti dall’altro, atteso il dolo di M.R. ed il concerto degli altri soci; in via subordinata chiedevano dichiararsi l’annullamento, l’inefficacia o comunque la risoluzione della cessione di quote e dell’intera serie negoziale per la irrealizzabilità delle circostanze presupposte al momento della stipula del preliminare, o comunque la nullità della cessione di quote e del preliminare di compravendita in quanto sottoposti a condizione meramente potestativa, rappresentata dalla stipula della convenzione con il Comune di (OMISSIS); ancora in via più subordinata dichiarare la risoluzione della cessione di quote e della dissimulata compravendita e di tutti gli atti in collegamento negoziale, atteso l’inadempimento colpevole della Piacentina Costruzioni, della Immobiliare GM e dei singoli soci, per non avere trasferito il terreno nella sua integralità; il tutto con la condanna alla restituzione della somma a suo tempo versata per l’acquisto delle quote.

Si costituivano i convenuti che insistevano per il rigetto della domanda, eccependo la Piacentina Costruzioni l’incompetenza per territorio del giudice adito.

Il Tribunale con la sentenza n. 76 del 2009 annullava il contratto preliminare di compravendita intercorso tra il G. e la Piacentina Costruzioni per errore, consistente nell’indicazione tra le particelle promesse in vendita anche di quella n. (OMISSIS), e per l’effetto accertava e dichiarava che la successiva scrittura intercorsa tra i soci della Immobiliare GM e la Edil Mer e l’atto pubblico di cessione delle quote erano inefficaci, in quanto simulavano la compravendita tra le due società della proprietà del 50% del terreno oggetto di causa. Sempre in via consequenziale, annullato il contratto dissimulato di compravendita per errore, condannava tutti i convenuti in solido alla restituzione in favore della Edil Mer della somma ricevuta quale corrispettivo.

La Corte di Appello di Bari con la sentenza n. 343 del 2012 ha rigettato l’appello proposto dalle parti convenute in primo grado, annullando tutti gli atti intervenuti tra le parti.

A tal fine osservava che sebbene nella citazione fosse stato richiesto l’annullamento del contratto de quo per dolo della controparte, il Tribunale era pervenuto all’annullamento ravvisando però un errore-vizio.

Tuttavia, ancorchè si tratti di annullabilità fondate su presupposti diversi e non sovrapponibili, gli appellanti avrebbero dovuto denunziare la violazione ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma nulla era stato dedotto sul punto, sicchè la Corte d’Appello non poteva d’ufficio rilevare la pur ravvisata violazione della norma processuale.

Osservava altresì che non era stato mai oggetto di contestazione tra le parti il fatto che vi fosse un collegamento funzionale tra tutti gli atti negoziali, avendo gli stessi appellanti fatto rilevare che lo scopo perseguito dai contraenti era quello di assicurare l’acquisto al G. del terreno, da attuarsi attraverso varie fasi tra loro legate funzionalmente.

In primo luogo disattendeva i primi tre motivi di appello con i quali si contestava la corretta interpretazione del preliminare del 4 gennaio 2001, intervenuto tra il G. e la Piacentina Costruzioni, laddove il Tribunale aveva ritenuto che nell’oggetto della promessa di vendita fosse ricompresa anche la particella n. (OMISSIS).

A tal fine occorreva prendere le mosse dal dato oggettivo rappresentato dal fatto che nella descrizione del suolo edificatorio oggetto del preliminare era inclusa anche la particella n. (OMISSIS), e che ciò era frutto di un errore, atteso che la medesima particella era stata già alienata a terzi dalla promittente venditrice in epoca anteriore alla stipula del preliminare.

Quanto alla rilevanza dell’errore in ordine alla validità dell’accordo, questione sulla quale le parti erano su posizioni divergenti, ad avviso dei giudici di secondo grado, e tenuto conto proprio del tenore letterale del contratto, doveva ritenersi che la particella in esame era stata presa in considerazione al fine di identificare l’oggetto del contratto, dovendosi escludere che si trattasse di un mero lapsus calami ovvero di una inserzione avvenuta con mala fede da parte del G..

In tal senso, l’assenza di dati descrittivi inequivoci e puntuali, come ad esempio avrebbero potuto essere i confini, deponeva a favore della decisività delle risultanze catastali, che unitamente a quelli descrittivi ben possono contribuire alla corretta individuazione dell’oggetto del contratto.

Nè in senso contrario può deporre l’enunciazione della superficie del terreno, in quanto l’indicazione dei metri quadri accompagnata dall’avverbio “circa” induce a ritenere che si tratti di un’indicazione del tutto approssimativa, che è comunque superata dalla ben più precisa indicazione dei dati catastali, che risulta corredata anche dalla estensione della superficie delle singole particelle.

Inoltre, anche l’estensione complessiva, considerando le due particelle, non diverge significativamente da quella approssimativa indicata nel contratto.

In merito al diverso argomento del richiamo all’inserimento del terreno nella zona PEEP, che propriamente si addice alla sola particella n. (OMISSIS), secondo la Corte d’Appello doveva darsi prevalenza ai dati catastali nonchè al fatto che le due particelle erano adiacenti e comunque ricomprese nel piano particolareggiato “(OMISSIS)”, espressamente richiamato nel preliminare al quale ne era anche allegata copia.

Inoltre, sempre a favore dell’inclusione di entrambe le particelle nella promessa di vendita, vi era la circostanza, avvalorata dalle indagini svolte dal CTU, che il prezzo pattuito per l’acquisto della quota del terreno, se relazionato alla sola particella n. (OMISSIS), sarebbe del tutto spropositato e fuori mercato, posto che il valore della metà della particella n. (OMISSIS) sarebbe pari a circa un terzo del prezzo concordato.

Pertanto in applicazione dei criteri ermeneutici dettati dal codice civile doveva concludersi per la volontà delle parti di includere nel contratto anche la particella n. (OMISSIS).

Nè infine poteva indurre a rimeditare tale conclusione l’argomento speso dagli appellanti, secondo cui il testo contrattuale sarebbe stato in realtà predisposto unilateralmente dal G., in quanto la promittente venditrice si sarebbe potuta avvedere dell’errore e provvedere ad emendarlo di intesa con la controparte, atteso che la perfetta conoscenza del bene alienato deve presumersi in capo al venditore, e tenuto conto altresì del fatto che la vendita aveva ad oggetto solo due particelle catastali, sicchè l’avvenuta inserzione di una seconda particella era facilmente riscontrabile, trattandosi peraltro di una particella che era stata da poco alienata a terzi.

Trattasi pertanto, secondo la sentenza gravata, di un errore essenziale, in quanto ha determinato una notevole sproporzione tra le prestazioni contrattuali, ed ha indotto il G. a concludere il contratto.

Il collegamento poi tra tutte le fattispecie contrattuali dedotte in giudizio implicava conseguentemente l’invalidità derivata dei vari atti esecutivi del complessivo disegno contrattuale, la cui validità è pregiudicata dall’avvenuto annullamento dell’originario preliminare.

La Corte di appello disattendeva anche il motivo di appello concernente la condanna al pagamento delle spese di lite, ravvisandosi una corretta applicazione del principi della soccombenza, nonchè il sesto motivo, con il quale si contestava la correttezza delle valutazioni espresse dal CTU, mancando una puntuale e dettagliata critica alle conclusioni espresse dall’ausiliario d’ufficio, risultando quindi formulato in violazione di quanto disposto dall’art. 342 c.p.c.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso M.R., Piacentina Costruzioni srl, V.P., M.G., C.A., L.M., la Immobiliare GM srl e Ma.Ru. sulla base di cinque motivi.

G.S. e la EDIL MER. srl hanno resistito con controricorso.

I controricorrenti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunziano la violazione ed errata applicazione di norme di diritto in relazione all’annullabilità del contratto preliminare del 4 gennaio 2001 per errore-vizio.

Si sostiene che gli attori avevano agito al fine di ottenere l’annullamento per dolo delle controparti, laddove il Tribunale ha adottato una pronuncia di annullamento per errore in violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si assume che gli appellati in secondo grado avevano insistito per l’annullamento del contratto per errore e dolo, con la conseguenza che il motivo di annullamento per errore doveva reputarsi superato ovvero rinunciato da parte del G. e della Edil Mer.

Il motivo è del tutto privo di fondamento e non risulta avere effettivamente colto la ratio decidendi della sentenza gravata. Ed, invero, i giudici di appello, pur avendo dato atto che la domanda degli attori era finalizzata ad ottenere l’annullamento del contratto preliminare per dolo, ed avendo riscontrato che invece il Tribunale si era pronunciato per l’annullabilità del contratto per errore, nonostante si sia dato altresì atto che si trattava in realtà di una causa petendi diversa da quella addotta nell’atto introduttivo del giudizio, ha rilevato che il vizio di extra petizione nel quale erano incorsi i giudici di primo grado andava denunziato con uno specifico motivo di appello, sicchè la mancata reazione sul punto da parte degli appellanti impediva di poter riscontrare la nullità della decisione appellata per tale ragione, occorrendo quindi verificare la correttezza della soluzione raggiunta, sulla quale appunto si incentravano i motivi di appello.

Trattasi di una corretta applicazione della regola di carattere generale posta dall’art. 161 c.p.c., comma 1, rivelandosi quindi superflua, una volta ravvisata anche dai giudice di appello, la ricorrenza dell’errore vizio, verificare se il contratto fosse altresì effetto dei raggiri dei convenuti.

Ne consegue altresì che, in assenza di contestazione circa la riconducibilità astratta della vicenda de qua nell’ambito di applicazione dell’errore vizio, a questa Corte è preclusa la valutazione in merito ad una potenziale e diversa qualificazione giuridica della fattispecie.

2. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 12 preleggi, e degli artt. 1362,1366 e 1375 c.c., nonchè dell’art. 1429 c.c., n. 2 e art. 1431 c.c., nonchè la contraddittorietà ed illogicità della sentenza in merito alla sorte del contratto preliminare del 4 gennaio 2001.

Si evidenzia, una volta affermata la natura comune dell’errore, consistito nell’inserimento nel preliminare anche della particella n. (OMISSIS), che era stata altresì affermata la riconoscibilità dell’errore da parte della società promittente venditrice e non anche da parte del G., il quale peraltro conosceva perfettamente l’oggetto del contratto, come si evince dal raffronto tra il testo del preliminare ed il testo della successiva cessione di quote tra i soci della Immobiliare GM e la società di cui il G. era amministratore. Nel preliminare, il riferimento alla superficie di circa mq. 10.000 e l’inserimento nella zona PEEP non potevano che portare alla esclusione dal novero dei beni promessi in vendita della particella n. (OMISSIS), emergendo anche dal successivo atto di cessione di quote che si era inteso alienare solo il suolo di cui alla particella n. (OMISSIS), che era l’unica inclusa nell’elenco dei beni della società.

Inoltre l’errore per rilevare avrebbe dovuto essere riconoscibile, anche nella successiva cessione di quote.

Il terzo motivo di ricorso denunzia l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto che emergesse la volontà delle parti di includere nel contratto anche la cessione della particella n. (OMISSIS), sebbene la superficie indicata fosse riferibile solo alla particella n. (OMISSIS).

I due motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono infondati.

In primo luogo va evidenziato che il secondo motivo, nella parte in cui per ribadire che l’oggetto del preliminare fosse limitato alla sola particella (OMISSIS), fa richiamo al contenuto dell’atto di cessione di quote dell’8 febbraio 2001, difetta evidentemente del requisito di specificità, omettendo di riportare in ricorso l’esatto contenuto di tale atto, al fine di consentire a questa Corte di poter apprezzare l’effettiva decisività della circostanza denunziata, e costituita appunto dal diverso tenore del contratto successivo al preliminare. Va altresì evidenziato che la sentenza impugnata non ha in alcun modo riferito dell’esistenza di un errore comune ad entrambi i contraenti, come invece assunto da parte ricorrente, avendo semplicemente a pag. 22 dato atto che la descrizione del suolo edificatorio, così come riportata nel preliminare, era idonea a ricomprendere entrambe le particelle, e ciò sebbene quella n. (OMISSIS) fosse stata già in precedenza venduta dalla Piacentina Costruzioni, e quindi non fosse più disponibile e suscettibile di immediata alienazione, ritenendo che l’errore fosse appunto consistito nel convincimento del G. di avere conseguito la promessa della alienazione anche della particella (OMISSIS).

A ciò va aggiunto che laddove si fosse trattato di errore comune ad entrambi i contraenti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 26974/2011; Cass. n. 5829/1979), in caso di errore bilaterale, che ricorre quando esso sia comune a entrambe le parti, il contratto è annullabile a prescindere dall’esistenza del requisito della riconoscibilità, poichè in tal caso non è applicabile il principio dell’affidamento, avendo ciascuno dei contraenti dato causa all’invalidità del negozio, il che rende priva di fondamento la deduzione secondo cui, a fronte dell’affermazione di un errore comune, non poteva darsi atto della sola riconoscibilità da parte della Piacentina Costruzioni, trattandosi di una censura che non tiene conto del fatto che nell’ipotesi di errore comune non rileva la stessa riconoscibilità ai fini dell’annullamento.

Quanto invece alla critica circa l’affermazione della riconoscibilità dell’errore da parte della ricorrente, vale richiamare il costante orientamento di questa Corte per il quale (cfr. Cass. n. 980/1991) il requisito della riconoscibilità è posto dagli artt. 1431 e 1428 c.c. a tutela della buona fede dell’altro contraente, per modo che l’indagine sulla ricorrenza di detto requisito si risolve in un’indagine sulla buona fede dell’altro contraente.

Ed, infatti, in tema di annullamento del contratto per errore è necessario accertare, da un lato, se la parte caduta in errore si sia indotta alla stipula del contratto in base ad una distorta rappresentazione della realtà, determinante nell’indurlo a concludere il negozio, e, dall’altro, se con l’uso della normale diligenza l’altro contraente avrebbe potuto rendersi conto dell’altrui errore, non essendo in concreto richiesto che l’errore sia stato riconosciuto, bensì l’astratta possibilità di tale riconoscimento, in una persona di media avvedutezza (così ex multis Cass. n. 2518/1990).

Trattasi peraltro di un’indagine, quella sul concorso degli elementi indicati, che si risolve a sua volta in un accertamento di fatto incensurabile in sede di legittimità se sorretta da congrua e logica motivazione.

A tal fine deve ricordarsi che questa Corte ha già avuto modo di precisare (cfr. Cass. 18 ottobre 1986 n. 6145) che l’indagine sulla sussistenza in concreto di un vizio del consenso, determinato da errore essenziale, quale causa di annullamento di un contratto si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e corretta motivazione (conf. Cass. n. 2688/82), così come dal pari incensurabile in sede di legittimità risulta l’indagine circa il requisito della riconoscibilità dell’errore, sempre che sia supportata da congrua e corretta motivazione (Cass. 1 ottobre 1993 n. 9777). Il motivo di ricorso, così come articolato, si risolve in sostanza in un’indebita sollecitazione a questa Corte di procedere ad una nuova rivalutazione dei fatti, e ciò nonostante l’indagine in concreto compiuta da parte dei giudici di merito risulti avere avuto ad oggetto anche gli elementi fattuali che i ricorrenti ritengono essere stati omessi, ed ancorchè la sussunzione della vicenda concreta nella norma astratta, ritenuta applicabile alla fattispecie, sia supportata da un’ampia ed esaustiva motivazione che logicamente e coerentemente ha esaminato i numerosi elementi acquisiti in corso di causa, offrendone una lettura coerente e logica.

I giudici di appello, come già evidenziato nella parte in fatto della presente sentenza, hanno fornito ampia spiegazione delle ragioni in base alle quali andava data prevalenza al dato formale dell’indicazione dei dati catastali rispetto alla solo approssimativa indicazione della superfice, specificando che la stessa appariva comunque idonea a giustificare l’inclusione nell’oggetto del preliminare di entrambe le particelle.

Ancora, la rilevanza e prevalenza del dato catastale sono state supportate anche dal riferimento alla necessità di assicurare una equivalenza economica tra le prestazioni a carico delle parti che viceversa sarebbe stata del tutto compromessa, nel caso in cui la vendita avesse avuto ad oggetto la sola particella (OMISSIS). Inoltre, è stata sottolineata altresì la non decisività del richiamo alla localizzazione delle particelle nella zona PEEP, non idonea a prevalere rispetto al dato catastale, e contrastata dalla diversa circostanza dell’inserimento di entrambe le particelle nel piano particolareggiato (OMISSIS), richiamato nel preliminare, ed una cui copia era stata anche allegata al contratto.

Trattasi di valutazioni tipicamente in fatto e come tali riservate al giudice di merito, e che si presentano come connotate da intrinseca coerenza e logicità, sfuggendo in ogni caso al sindacato di questa Corte anche in relazione al diverso parametro di valutazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 nella formulazione vigente anteriormente alla novella del 2012.

Quanto infine alla denunziata violazione delle regole di interpretazione del contratto, vale far riferimento al costante principio per il quale l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicchè, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, come nel caso di specie, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati.

3. Il quarto motivo di ricorso denunzia poi la violazione dell’art. 12 preleggi nonchè degli artt. 1362,1366 e 1375 c.c., e dell’art. 1429c.c., n. 2 e art. 1431 c.c. nella parte in cui è stata dichiarata l’inefficacia anche della successiva scrittura privata dell’8 febbraio 2001 e dell’atto di cessione di quote.

La Corte di merito avrebbe erroneamente confermato la declaratoria di inefficacia trascurando la circostanza che il suolo che faceva parte del patrimonio della Immobiliare GM era correttamente da individuarsi nella sola particella n. (OMISSIS), non potendosi quindi ravvisare alcun errore nell’atto di cessione di quote.

Anche tale motivo è infondato, non apparendo alla Corte che i ricorrenti abbiano colto l’effettiva ratio decidendi della sentenza gravata che, una volta ravvisata (ed in maniera, come visto, non contestabile) la sussistenza di un errore essenziale nel preliminare del 4 gennaio 2001, tale da determinarne l’annullamento, ha valorizzato l’esistenza di un collegamento negoziale tra le varie figure contrattuali che erano state poste in essere tra le parti, allo scopo ultimo di assicurare il trasferimento in favore del G., e per esso della Edil Mer, della quota del fondo oggetto del preliminare.

A tal fine occorre ricordare che nell’esercizio dell’autonomia contrattuale, le parti possono dar vita, con un solo atto, a diversi e distinti contratti, i quali, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale e rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, sono tra loro collegati funzionalmente e in rapporto di reciproca interdipendenza, in modo che le vicende dell’uno si ripercuotano sugli altri, condizionandone la validità e l’efficacia (Sez. 1, Sentenza n. 13888 del 06/07/2015).

Il collegamento contrattuale non dà luogo ad un autonomo e nuovo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, gli stessi restano conseguentemente soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale, mentre la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi “simul stabunt, simul cadent” (Sez. 3, Sentenza n. 7255 del 22/03/2013).

I giudici di appello, con affermazione che non appare in alcun modo censurata da parte dei ricorrenti, hanno ritenuto che la conclusione del giudice di primo grado circa la sussistenza del detto collegamento negoziale, che non era stato in alcun modo contestato dagli stessi appellanti, i quali con il medesimo atto di appello avevano ribadito l’unitarietà dello scopo perseguito dalle parti tramite la concatenazione delle varie vicende contrattuali, tra loro funzionalmente collegate, non fosse più suscettibile di essere posta in discussione.

Deve pertanto ritenersi incensurabile, proprio perchè puntuale attuazione del principio secondo cui le sorti di uno dei contratti interessati dalla vicenda del collegamento, sono destinate a refluire sulla sorte dei centrasti collegati, la conclusione tratta dai giudice di appello circa l’invalidità anche dei successivi atti con i quali si intendeva dare attuazione allo scopo negoziale unitario, una volta addivenuti alla declaratoria di annullamento del contratto preliminare, nel quale appunto si estrinsecava il reale obiettivo dei contraenti.

4. Il quinto motivo di ricorso denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 l’errata valutazione delle prove, nella parte in cui i giudici di appello, valorizzando la stima effettuata dal CTU in ordine ai suoli oggetto di causa, hanno ritenuto che il G. non avrebbe concluso il preliminare, se avesse saputo che la particella n. (OMISSIS) ne era esclusa.

Si sostiene che la valutazione dei terreni è rimessa anche alla volontà speculativa dell’imprenditore, che nella fattispecie non è stata presa in considerazione, sicchè non è possibile, affermare con certezza che il prezzo a mq indicato dal CTU corrisponda a quello che il G. era effettivamente disposto a versare.

Il motivo, in disparte l’evidente carenza del requisito di specificità, nella parte in cui omette di riprodurre il contenuto della CTU al fine di apprezzare la decisività delle circostanze denunziate, si risolve evidentemente in una censura di fatto alla valutazione compiuta dal giudice di merito e precisamente del Tribunale, sostenendosi che il valore del bene andava desunto non già dagli elementi, ancorchè di carattere obiettivo indicati dall’ausiliario d’ufficio, ma sulla scorta di valutazioni soggettive, ed in gran parte imponderabili, della controparte, risolvendosi quindi in una sostanzialmente immotivata critica all’operato del CTU.

Ma ancor prima il motivo non risulta avere colto la ratio effettiva della decisione resa dalla Corte d’Appello, la quale in relazione all’analogo motivo di appello rivolto parimenti a contestare la corretta valutazione operata dal CTU, aveva ravvisato l’inammissibilità del mezzo di gravame, attesa la sua assoluta genericità ed il contrasto con quanto dettato dall’art. 342 c.p.c.

Alcuna censura risulta rivolta avverso la detta statuizione di inammissibilità, che andava invece necessariamente aggredita con il motivo di ricorso, essendo preliminare alla valutazione nel merito della fondatezza delle critiche, prima rimuovere l’affermazione del giudice di appello che aveva invece ravvisato una causa ostativa alla disamina del merito di carattere processuale.

5. Il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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