Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24737 del 05/12/2016


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Cassazione civile sez. un., 05/12/2016, (ud. 22/03/2016, dep. 05/12/2016), n.24737

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente di sez. –

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11838-2014 proposto da:

PROCURATORE REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE

DEI CONTI PER IL PIEMONTE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

BAIAMONTI 25;

– ricorrente –

contro

FEGATELLI MAURO BARTOLOMEO, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE 349, presso lo studio dell’avvocato MARIA

ALESSANDRA SANDULLI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MASSIMO OCCHIENA, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

19324 della CORTE DEI CONTI – SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE

PIEMONTE;

udito l’avvocato Massimo Occhiena;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, il quale chiede che la Corte di cassazione

accolga il ricorso e dichiari la giurisdizione della Corte dei

conti, con le conseguenti pronunce di legge.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

p.1. La Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per il Piemonte ha proposto istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, in relazione alla controversia introdotta contro F.M.B., davanti a detta sezione, con citazione depositata il 9 dicembre del 2013, nell’esercizio di un’azione di responsabilità amministrativo-contabile per un danno erariale, asseritamente cagionato dal F.: a) sia nella sua qualità di presidente della commissione di gara per l’affidamento di un appalto integrato, relativo alla realizzazione della c.d. “variante esterna dell’abitato di (OMISSIS)”, indetto dalla S.C.R. Piemonte s.p.a., quale centrale di Committenza regionale ai sensi della L. Finanziaria 2007, art. 1, comma 455, e della L.R. Piemonte n. 19 del 2007; b) sia nella sua qualità di Direttore tecnico del settore infrastrutture e trasporti di detta società.

p.2. L’azione contabile veniva basata su fatti emersi nell’ambito di un procedimento penale instaurato contro il F. dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, nei quali il pubblico ministero contabile ravvisava, seguendo la tesi del pubblico ministero in sede penale, l’esistenza in capo al medesimo come determinativa di danno erariale, alternativamente la responsabilità per il delitto di cui all’art. 353 c.p., e, per la trasgressione ai suoi doveri d’ufficio inerenti l’attività valutativa delle offerte, per quello di abuso d’ufficio.

p.2.1. La Procura ricorrente, nel suo atto di citazione, giustificava la sussistenza della giurisdizione contabile, adducendo che la natura delle funzioni svolte dalla S.C.R. Piemonte, nonostante la sua veste formale di società per azioni e, dunque privatistica, la rendevano a tutti gli effetti assimilabile ad una pubblica amministrazione e ad un ente pubblico, di modo che il rapporto di dipendenza con essa del F. doveva considerarsi un rapporto di servizio rilevante ai sensi del R.D. n. 1214 del 1934, art. 52 e della L. n. 20 del 1994, art. 1 il che determinava la configurabilità di un danno erariale, sofferto dalla detta società, ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 81 e 82 e del R.D. n. 1214 del 1934, art. 52.

p.3. Nel giudizio contabile il F. si costituiva ed eccepiva il difetto d giurisdizione del giudice contabile e la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.

p.4. La proposizione del regolamento preventivo è stata giustificata dal ricorrente, adducendo l’esigenza di risolvere la questione di giurisdizione di giurisdizione così insorta.

p.5. All’istanza di regolamento ha resistito con controricorso il F..

p.6. Richiesta al Pubblico Ministero presso la Corte la formulazione delle sue conclusioni a norma dell’art. 380-ter c.p.c., all’esito del loro deposito ne è stata fatta notificazione all’avvocato del resistente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte, che è stato comunicato anche al Pubblico Ministero.

p.7. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

p.1. In via preliminare deve rilevarsi che esattamente parte ricorrente, pur avendo essa stessa adito la giurisdizione contabile, ha sostenuto la propria legittimazione a proporre il regolamento preventivo, adducendo la sussistenza del suo interesse, sia in ragione dell’eccezione di difetto di giurisdizione proposta dal F., sia della novità della fattispecie oggetto della controversia, e, quindi, dell’esistenza di dubbi ai fini della individuazione della giurisdizione: in effetti, già la prima ragione sarebbe stata di per sè sufficiente a legittimare la proposizione del regolamento (si veda già Cass. (ord.) sez. un. n. 12412 del 2004).

p.2. Il ricorrente sostiene la sussistenza della giurisdizione contabile, per la configurabilità di una responsabilità erariale in capo al F., in primo luogo argomentando che, in ragione della particolare modalità di costituzione della S.C.R. Piemonte s.p.a. – avvenuta sulla base della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 455, direttamente con la L.R. Piemonte n. 19 del 2007, con capitale interamente regionale, con l’affidamento delle funzioni e delle competenze di centrale di committenza, ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 33 e con la previsione dell’affidamento all’esecutivo regionale del programma annuale degli interventi da realizzare nell’esercizio di quelle funzioni e competenza – emergerebbe che l’attività della società comprende “tutte le funzioni e le competenze proprie di una stazione pubblica appaltante”. Per tale ragione costituirebbe un’attività funzionalizzata di natura pubblicistica (…) implicante l’esercizio di pubblici poteri ancorchè esercitata da un soggetto di diritto privato strutturato in forma di società di capitali”, di modo che la veste societaria assumerebbe il carattere di “mero abito formale rispetto ad una natura sostanziale di Ente assimilabile, a tutti gli effetti, ad una Pubblica Amministrazione”.

p.2.1. La prospettazione viene, poi, ulteriormente sostenuta, evocando Corte Cost. n. 326 del 2008 e 148 del 2009, per desumerne argomenti a favore della prospettazione di una dottrina che, sul versante della responsabilità erariale in relazione a soggetti societari, prospetta, proprio sulla falsariga delle considerazioni del Giudice delle Leggi, la necessità di distinguere, ai fini della ricorrenza di essa, quelle società costituite o partecipate da enti pubblici, per svolgere attività amministrative, e quelle società costituite o partecipate per svolgere attività d’impresa: solo le seconde sarebbero assimilabili alle imprese commerciali, quali soggetti del mercato, mentre le prime si connoterebbero come strumenti ed articolazioni organizzative degli enti di servizio. Ai loro amministratori e dipendenti dovrebbe applicarsi la responsabilità erariale.

p.2.2. Il ricorrente rileva, quindi, che la giurisprudenza di questa Corte avrebbe sostanzialmente avallato tale prospettazione, come – pur nella cornice di reiterate affermazioni del principio per cui la società non vedrebbe mutare la sua natura di soggetto di diritto privato per il sol fatto che un ente pubblico ne possegga in tutto o in parte le quote, di modo che gli amministratori dovrebbero rispondere dinanzi alla giurisdizione ordinaria verso la società -rivelerebbero le decisioni di cui a Cass. sez. un. n. 27092 del 2009, a proposito della R.A.I. s.p.a., e a Cass. sez. un. n. 5032 del 2010, a proposito dell’ENAV s.p.a.

I rilievi svolti dalle Sezioni Unite nelle due decisioni sarebbero estensibili anche ad altre strutture societarie, nelle quali la forma societaria assumerebbe “il carattere di mero abito esteriore rispetto ad una natura sostanziale di Pubblica Amministrazione, laddove ricorrano una serie di indici rivelatori della natura pubblicistica, i primi dei quali” sarebbero “l’utilizzo pressochè esclusivo di strumenti di diritto pubblico per lo svolgimento della propria attività, unito alle finalità perseguite di pubblico interesse, estranee ai fini lucrativi (art. 2247 c.c.), e la conseguente, parallela esclusione dello svolgimento di qualunque attività imprenditoriale, commerciale e non, propria, invece, del modello societario così come delineato dal codice civile”.

p.2.3. In fine, dopo che si è argomentato che in senso contrario alla ricostruzione proposta non potrebbe essere invocato, come avrebbe fatto la controparte, il D.L. n. 95 del 2012, art. 4, comma 13, terzo periodo, convertito, con modificazioni, nella L. n. 135 del 2012, siccome del resto avrebbe riconosciuto, a proposito delle c.d. società in house, Cass. sez. un. n. 26283 del 2013, si conclude che l’attività di centrale di committenza svolta dalla S.C.R. Piemonte dovrebbe indurre a ritenerne l’assimilazione a quelle delle amministrazioni pubbliche, per conto delle quali svolgerebbe quella funzione, con conseguente soggezione degli amministratori e dipendenti alla giurisdizione contabile per fatti commessi nell’esercizio delle loro funzioni, causativi di danno erariale e ciò a maggior ragione quando – come nel caso del F. – i fatti addebitati risultino commessi dal medesimo, quale dipendente pubblico, in occasione di una procedura di gara.

p.2.4. Da ultimo si deduce che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino ed il locale G.I.P., in sede di provvedimenti cautelari restrittivi ai danni del F. nel procedimento penale a suo carico, avrebbero riconosciuto la sua qualifica di pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 357 c.p.

p.3. Resistendo all’istanza di regolamento di competenza, il F. ha contestato la sussistenza della giurisdizione contabile, adducendo i seguenti argomenti:

a) l’attribuzione in sede penale della qualifica di pubblico ufficiale sarebbe del tutto provvisoria e non se ne potrebbe inferire la conseguenza voluta dal ricorrente sulla natura della società;

b) le decisioni della Corte Costituzionale evocate dal ricorrente non avrebbero affatto affermato che le società che svolgono attività amministrative sarebbero enti pubblici;

c) la giurisdizione contabile, secondo la giurisprudenza di questa Corte sussisterebbe solo nel caso della società in house e nelle pochissime ipotesi, come quella della RAI, in cui, in forza di uno statuto speciale, la società è da considerare un vero ente pubblico, mentre in tutti gli altri casi gli amministratori e dipendenti delle società pubbliche non sarebbero soggetti a quella giurisdizione “indipendentemente dall’oggetto sociale e dalle finalità a esse proprie”, onde errata sarebbe la prospettazione del pubblico ministero contabile, là dove desume la sussistenza della giurisdizione contabile dal fatto che la società di cui trattasi svolga attività pubblicistiche, perchè lo schermo della personalità giuridica distinguerebbe – al di fuori del caso della società in house – “la società dall’ente che ne possiede le quote, onde la prima dispone di un patrimonio proprio che non appartiene ai soci e che rimane privato, così arginandosi l’espansione della giurisdizione contabile”;

d) in alcun modo le eccezioni, relative ai casi riguardanti la RAI e l’ENAV, sarebbero estensibili al caso che si giudica, perchè le relative decisioni sarebbero state motivate con riferimento a profili di specialità dell’una e dell’altro, che non ricorrerebbero a proposito della S.C.R. Piemonte;

e) in senso contrario alla prospettazione del pubblico ministero contabile dovrebbero valere Cass. sez. un. n. 3201 del 2014 – là dove ha escluso la giurisdizione contabile a proposito di pretesi danni cagionati da dirigenti dell’Autostrada del Brennero s.p.a., società interamente pubblica – e Cass. sez. un. (ord.) n. 7177 del 2015, là dove, a proposito di una società che non si connotava in house all’epoca delle condotte dei suoi amministratori, ha parimenti escluso la giurisdizione contabile.

p.3.1. In chiusura dell’esposizione si svolgono considerazioni sul D.L. n. 95 del 2012, art. 4, comma 13 a sostegno dell’idea che il paradigma di riferimento per le società di mano pubblica dovrebbe essere il codice civile, e si evocano Cass. sez. un. (ord.) n. 10299 del 2013, n. 7314 del 2013 e (ord.) n. 14957 del 2011, in punto di distinzione fra patrimonio della società e patrimonio dell’ente di riferimento, nonchè Cass. n. 22209 del 2013 a proposito della fallibilità di una società partecipata da un comune.

p.4. Nelle sue conclusioni il Pubblico Ministero presso questa Corte ha chiesto dichiararsi la giurisdizione del giudice contabile, argomentando nei termini seguenti.

p.4.1. In primo luogo, il Pubblico Ministero ha rilevato “che la copiosa giurisprudenza della Corte di cassazione sul tema della sussistenza della giurisdizione contabile nel caso delle società a partecipazione pubblica, riproposto dal ricorso in esame, ha, anche di recente, ribadito che “a partire dalla sentenza n. 26806 del 2009” è stato affermato che “in via generale, spetta al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti”, riconoscendo peraltro che la giurisdizione contabile “è stata ravvisata solo in casi affatto particolari, quale quello della RAI s.p.a. in considerazione delle speciali regole di fonte legale cui è assoggettato il suo statuto, così da farne sostanzialmente un ente pubblico” e che tale orientamento “è stato ancor più di recente ribadito nella sentenza n. 26283 del 2013” in una fattispecie nella quale la stessa giurisdizione della Corte dei conti è stata affermata in riferimento all’azione “diretta a far valere la responsabilità di chi impersona tali organi (o eventualmente di dipendenti) per il pregiudizio cagionato ad una società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente siffatti enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici” (Cass. sez. un. n. 3201/2014)”.

Ha, quindi, rilevato “che seguendo la suddetta linea interpretativa la Corte di cassazione ha ancor più recentemente affermato che ANAS s.p.a., pur nella veste formale di società per azioni “ha sostanzialmente conservato i connotati di un ente di diritto pubblico, sia perchè destinata a svolgere funzioni di natura pubblica con modalità di tipo pubblicistico, sia perchè interamente partecipata e finanziata dallo Stato”, ed è giunta a tali conclusioni valutando se siano “presenti caratteristiche specifiche tali da far ritenere che il suo patrimonio abbia conservato i connotati pubblicistici che sono l’indispensabile presupposto della giurisdizione contabile”, dalle quali deriva anche che “coloro i quali per essa agiscono… rientrino nel novero dei soggetti ai quali detta giurisdizione si estende”; e che a tal fine la Corte individua, quali indici di assimilabilità agli enti pubblici, la genesi della società, determinata da “un atto normativo”, le modalità di approvazione dello statuto, la titolarità del capitale sociale e le caratteristiche legali nell’esercizio dei relativi diritti, le funzioni di natura pubblica”.

p.4.2. Ha, poi, osservato che “anche nel caso in esame risulta necessario considerare la presenza dei suddetti indici di assimilazione agli enti pubblici” ed ha, quindi, previo richiamo del disposto della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 455, (Legge finanziaria 2007) e della L.R. Piemonte n. 19 del 2007, proceduto ad analizzare sia i contenuti della vicenda legislativa che ha portato alla nascita della SCR Piemonte, sia quelli dello statuto della stessa.

p.4.3. All’esito della sua analisi il Pubblico Ministero è pervenuto alla conclusione “che dall’esame della normativa istitutiva e dallo statuto di S.C.R. Piemonte s.p.a. si ricava la presenza di molteplici indici di assimilabilità agli enti pubblici, individuati dalla giurisprudenza richiamata”, rappresentati:

a) dalla “partecipazione iniziale totalitaria della Regione Piemonte, e comunque la totale partecipazione pubblica”;

b) dalla “costituzione della società, in attuazione di legge regionale, con atto della giunta regionale, previo parere della commissione competente del consiglio regionale, e non sulla base di un atto negoziale iure privatorum;

c) dalla “individuazione ex lege delle funzioni di natura pubblica della società, connesse alla gestione delle procedure di evidenza pubblica di pertinenza della Regione e degli altri enti pubblici o degli organismi di diritto pubblico presenti sul territorio regionale, e identificati dalla L.R. n. 19 del 2007, art. 3”, con svolgimento, nella qualità di centrale di committenza, di “tutte le funzioni proprie di una stazione pubblica appaltante, dalla redazione dei documenti preliminari, alla progettazione, alla scelta del contraente, alla acquisizione attraverso atti ablatori di beni necessari per la realizzazione di un’opera pubblica”;

d) dall’obbligo di osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidamento degli appalti e dalla copertura dei costi con risorse provenienti dal bilancio regionale;

e) dall’esercizio di poteri di natura autoritativa connessi alle procedure di esproprio;

f) dall’inserimento di S.C.R. Piemonte nella rete nazionale di cui alla L. n. 296 del 2006, cit. comma 457 e dalla sua sottoposizione alle direttive programmatiche della Conferenza Stato Regioni, nonchè al patto di stabilità.

Ha soggiunto, poi, il Pubblico Ministero “che inoltre, come ancora affermato dalla sentenza della Corte di cassazione sez. un. n. 15594 del 2014, rileva “l’insieme e l’intrinseca reciproca connessione delle suaccennate peculiarità legali, trattandosi di verificare la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti in tema di azioni di responsabilità esercitabili nei confronti degli organi e dei dipendenti”” e che “anche sotto questo profilo la costituzione della società in esame risponde alle esigenze, di natura pubblica, della migliore gestione delle procedure di aggiudicazione degli appalti e degli acquisti e forniture attraverso un’unica centrale regionale, nonchè di controllo della spesa pubblica, come si evince chiaramente dai vari vincoli alla sua attività sopra descritti, che valgono a caratterizzarla come “attività funzionalizzata di natura pubblicistica”, come affermato dalla Procura ricorrente, nonchè dalle connessioni che la citata normativa istitutiva ha previsto con l’attività istituzionale della Regione”.

p.4.4. Sulla base di tali articolati rilievi, il Pubblico Ministero ha concluso nel senso “che pertanto, più in generale, non pare possa dubitarsi della rilevanza che assumono le esigenze alla base della giurisdizione contabile connesse con la salvaguardia del corretto impiego delle risorse pubbliche anche nell’ambito delle attività della società in questione, ed in particolare in tutte le fasi delle procedure di appalti, lavori e forniture che costituiscono il nucleo delle attività che tale ente è tenuto a svolgere per conto delle amministrazioni pubbliche e degli organismi di diritto pubblico normativamente indicati.”.

p.5. Ritengono le Sezioni Unite che debba dichiararsi la sussistenza della giurisdizione contabile, perchè la congiunta valutazione, da un lato della vicenda normativa sulla base della quale è stata costituita la s.p.a. SCR Piemonte e delle finalità per cui lo è stata e quella delle modalità esecutive con cui i disposti della stessa normativa hanno portato alla sua effettiva costituzione, dall’altro delle modalità di disciplina del rapporto che ne è derivato fra la regione e la società e, quindi, la sua attività, evidenziano che la posizione del patrimonio della SCR Piemonte in relazione alla giurisdizione contabile, nonostante la sua veste societaria, risulta solo formalmente distinta sul piano soggettivo da quello della regione, di modo che la natura della società è assimilabile in rapporto ad esso a quella di un ente pubblico, sì da determinare la soggezione di coloro tramite i quali si svolge la sua attività (siano essi amministratori e dipendenti) alla giurisdizione contabile, fermo restando che la veste formale e dunque la sua qualità di soggetto societario conservano rilevanza a tutti gli altri effetti.

In via preliminare deve avvertirsi che è questa la prima occasione in cui le Sezioni Unite sono sollecitate a regolare la giurisdizione in una controversia nella quale viene in rilievo una fattispecie normativa come quella che ha portato alla costituzione di una società con le caratteristiche della SCR Piemonte. Conseguentemente, la Corte deve risolvere una questione che si pone, avuto riguardo alla fattispecie, con profili di assoluta novità, pur se la si inquadri – come, del resto, hanno fatto le parti e il Pubblico Ministero presso la Corte nel loro contraddittorio – nella cornice dei risultati emergenti dalla propria giurisprudenza, in tema di limiti entro i quali la connotazione societaria di un soggetto giuridico può non essere decisiva per negare la sussistenza della giurisdizione contabile in tema di danno erariale, come dovrebbe accadere di regola per il fatto che tale soggetto, assumendo quella forma, dovrebbe soggiacere alla disciplina propria del fenomeno societario e ciò anche quando si ponga il problema della verificazione di un danno ad esso cagionato dai suoi organi e dipendenti, atteso che, essendo tale danno pur sempre riferibile al suo patrimonio, è danno sofferto da un soggetto che per la sua forma è soggetto privato e non pubblico.

Mette conto, altresì, di rilevare che vi è stata una sopravvenienza normativa, intervenuta dopo l’adunanza della Corte, quella della recentissima disposizione del D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 12 alla quale occorrerà, peraltro, fare riferimento, solo se si evidenziasse una situazione tale da eventualmente giustificare, sulla base dei suoi contenuti, l’applicazione alla fattispecie in esame, in deroga all’art. 5 del codice di procedura civile, del principio della c.d. giurisdizione sopravvenuta.

p.5.1. La genesi della SCR Piemonte trae titolo dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 455, (Legge finanziaria 2007), il quale ebbe a dispone che: “Ai fini del contenimento e della razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi, le regioni possono costituire centrali di acquisto anche unitamente ad altre regioni, che operano quali centrali di committenza ai sensi dell’art. 33 codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, in favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio.”.

Il successivo comma 456 abilitava le centrali di cui al comma 455 alla stipula, per gli ambiti territoriali di competenza, delle convenzioni di cui alla L. m23 dicembre 1999, n. 488, art. 26, comma 1, e successive modificazioni: quella norma abilitava il Ministero del tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica a stipulare “convenzioni con le quali l’impresa prescelta si impegna ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi deliberati dalle amministrazioni dello Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria”, disponendo che “i contratti conclusi con l’accettazione di tali ordinativi non sono sottoposti al parere di congruità economica” ed in fine che “ove previsto nel bando di gara, le convenzioni possono essere stipulate con una o più imprese alle stesse condizioni contrattuali proposte dal miglior offerente”.

Il comma 457, inoltre, così disponeva: “Le centrali regionali e la CONSIP Spa costituiscono un sistema a rete, perseguendo l’armonizzazione dei piani di razionalizzazione della spesa e realizzando sinergie nell’utilizzo degli strumenti informatici per l’acquisto di beni e servizi. Nel quadro del patto di stabilità interno, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano approva annualmente i programmi per lo sviluppo della rete delle centrali di acquisto della pubblica amministrazione e per la razionalizzazione delle forniture di beni e servizi, definisce le modalità e monitora il raggiungimento dei risultati rispetto agli obiettivi. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”.

p.5.1.1. Le disposizioni appena ricordate suggeriscono le seguenti considerazioni.

Per effetto della disposizione del comma 455 la legge statale attribuiva alla singola regione oppure a due o più regioni congiuntamente la possibilità di istituire una centrala di committenza con le funzioni proprie di questa figura e i compiti indicati, che si evidenziavano come serventi non solo per la regione o le regioni ed i loro apparati organizzatori (come indicava il riferimento alle “amministrazioni ed enti regionali”, ma anche in favore “degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio”, cioè quello della regione o delle regioni costituenti la centrale.

La norma non definiva nè la forma giuridica della centrale di committenza, che abilitava le regioni a costituire, e nemmeno definiva il modo, cioè la tipologia di atto con cui la regione poteva procedere alla costituzione.

Il comma 457, dopo avere disposto l’inserimento delle costituende centrali in un “sistema a rete”, il che significava la prescrizione di un modus operandi appunto tendente a fare “sistema” ed a farlo con il coinvolgimento della CONSIP (che, com’è noto, svolge attività di consulenza, assistenza e supporto nell’ambito degli acquisti di beni e servizi delle amministrazioni pubbliche, in qualità di centrale di committenza nazionale), disponeva che il sistema così istituendo fosse oggetto annualmente di attività di programmazione e monitoraggio da parte della Conferenza permanente fra Stato, regioni e province autonome: in tal modo l’attività delle centrali di committenza costituite dalle regioni veniva a soggiacere ad un penetrante potere di un organismo sovra regionale e costituente la massima sede della concertazione fra lo Stato e le regioni e province autonome.

Tanto evidenziava la volontà legislativa di annettere all’attività delle costituente centrali una penetrante impronta pubblicistica, atteso che sia il “fare sistema” sia la soggezione al detto potere, prima ancora che a quello dell’ente regionale costitutivo della centrale, non poteva che esserne espressione.

p.5.2. Per comprendere ulteriormente le implicazioni della vicenda normativa del disposto della finanziaria del 2007, v’è da chiedersi se anteriormente alla previsione normativa del comma 455 le regioni potessero costituire centrali di committenza.

Al riguardo, si deve rilevare che la figura della “centrale di committenza” risultava già disciplinata dalla legge statale nel D.Lgs. n. 163 del 2006, recante il “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”. Ne segue che deve ritenersi che la centrale di committenza che le regioni vennero abilitate a costituire si identificava nella figura emergente da quella disciplina normativa. Tanto più che i compiti indicati dal comma 455 per la centrale di committenza di costituzione regionale sostanzialmente riecheggiavano quelli che l’art. 3 di quel Codice (che ora ha l’omologo nel recente D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 3 che ha abrogato il D.Lgs. n. 163 del 2006) attribuiva alla figura della centrale di committenza nel suo comma 34.

Quel comma recava una puntuale definizione della “centrale di committenza”, sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo, con particolare riferimento ai suoi compiti.

La definizione individuava la “centrale di committenza” come “amministrazione aggiudicatrice che – acquista forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori, o – aggiudica appalti pubblici o conclude accordi quadro di lavori, forniture o servizi destinati ad amministrazioni aggiudicatrici o altri enti aggiudicatori”.

p.5.3. La lettura della definizione evidenziava innanzitutto un profilo identificativo delle tipologie di soggetti che potevano essere “centrale di committenza”. Esso emergeva dallo stesso art. 3, comma 25 che individuava quali soggetti dovessero considerarsi, nel sistema del Codice, “amministrazioni aggiudicatrici”, così disponendo: “le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.”. A sua volta, il successivo art. 3, comma 26 si preoccupava di individuare la figura del c.d. “organismo di diritto pubblico”, che così veniva a distinguersi da quella – di cui al successivo comma 28 – dove veniva definita la nozione delle “imprese pubbliche”. Il comma 29, poi, ribadiva, sebbene ai fini dell’applicazione delle disposizioni del Codice, il valore della distinzione, agli effetti dell’ulteriore definizione di “enti aggiudicatori”, delle figure definite dai commi precedenti, stabilendo che “Gli “enti aggiudicatori” al fine dell’applicazione delle disposizioni delle parti 1, 3, 4 e 5 comprendono le amministrazioni aggiudicatrici, le imprese pubbliche, e i soggetti che, non essendo amministrazioni aggiudicatrici o imprese pubbliche, operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall’autorità competente secondo le norme vigenti”.

p.5.4. Dalla disciplina ora ricordata emerge in primo luogo un dato: le regioni, quali enti pubblici territoriali, si connotavano esse stesse come amministrazioni aggiudicatrici e, quindi, è certo che ai sensi del ricordato comma 34, potevano in via diretta, tramite la loro organizzazione amministrativa e per lo svolgimento delle funzioni e dei compiti ad esse spettanti, rivestire direttamente la qualità di centrale di committenza, esprimendola attraverso uno specifico apparato organizzatorio.

Non sembra, invece, che, prima della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 455, vi fosse una norma che abilitava le regioni a costituire centrali di committenza che fossero qualcosa di distinto da esse sul piano soggettivo, di modo che esse potevano esercitare le funzioni di centrali di committenza solo per il tramite di articolazioni della loro organizzazione amministrativa.

Tanto si deve ritenere, non solo perchè altrimenti non sarebbe stata giustificata l’adozione della norma del comma 455, ma anche perchè, avuto riguardo alla tipologia di figure indicate come amministrazioni aggiudicatrici e, quindi, come potenziali centrali di committenza:

a) non era possibile, in mancanza di una previsione di legge, che la regione istituisse una centrale di committenza configurandola come un ente pubblico non economico dotato di personalità giuridica (distinta dalla sua), in quanto: a1) vi ostava in primo luogo il principio costituzionale di cui all’art. 97, comma 1, ora comma 2, secondo il quale implicazione della previsione per cui i pubblici uffici debbono essere organizzati secondo disposizioni di legge, è che senza una previsione di legge e, si deve intendere di norma, di una legge statale, non sia possibile costituire un ente pubblico; a2) vi ostava, in coerenza con il disposto costituzionale, la L. n. 70 del 1975, art. 4 secondo cui “nessun ente pubblico può essere istituto o costituito se non per legge”; a3) e, d’altro canto, lo stesso Codice di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, nella norma dell’art. 4, che disciplinava il riparto di competenze legislative fra Stato e regioni (e province autonome), non conteneva (come può desumersi dall’ampio scrutinio che della norma venne fatto da Corte cost. n. 401 del 2007) previsioni che potessero legittimare la regione a istituire una centrale committenza nella forma dell’ente pubblico, una simile abilitazione non potendo reputarsi, del resto, compresa nell’àmbito delle competenze legislative esclusive regionali;

b) non era, d’altro canto, possibile, in mancanza di una previsione legislativa abilitante e tenuto conto che essa, come s’è appena detto, nemmeno poteva ritenersi esistente nell’ambito delle competenze legislative esclusive regionali, che la regione costituisse una centrale di committenza secondo la figura del c.d. organismo di diritto pubblico, di cui al già citato art. 3, comma 26.

Si deve, dunque, concludere che l’art. 1, comma 455 L. finanziaria del 2007 attribuì alle regioni un potere che esse non avevano in precedenza.

p.5.5. Occorre ora soffermarsi sui significati della previsione normativa.

In essa il potere, sia in quanto riferito ad una sola regione, sia in quanto riferito a più regioni, ineriva evidentemente – ben potendo, come s’è detto, le regioni già esercitare attraverso apposito apparato della propria organizzazione amministrativa agire come centrale di committenza – alla “costituzione”, cioè alla creazione ex novo, della centrale di committenza e, quindi, di un soggetto nuovo.

La norma non precisava alcunchè sulla natura e sulle modalità di costituzione della centrale, ma l’alternativa attribuzione del potere o alla singola regione o congiuntamente a più regioni aveva un’implicazione: quella di individuare il potere di costituzione e, quindi, di creazione della centrale, esclusivamente come potere, dal cui esercizio da parte di una regione o da parte di più regioni congiuntamente ad altri soggetti, essa doveva scaturire senza compartecipazione di altri soggetti.

La norma, cioè, alludendo alla “costituzione”, intendeva chiaramente imputare l’attività costitutiva in via esclusiva o a una regione da sola o a più regioni congiuntamente. Ex adverso, l’attività di costituzione consentita dalla norma non poteva avere luogo attraverso una decisione ed un’attività esecutiva diretta ad attuare la costituzione stessa, imputabile anche alla compartecipazione di un soggetto diverso.

Questa esclusività dell’attribuzione dell’attività costitutiva, o ad una sola regione o a più regioni, comportava che la centrale di committenza, in relazione alla sua qualificazione di amministrazione aggiudicatrice ed alle tipologie di questa figura indicate dal sopra citato art. 3, comma 25 potesse essere costituita sostanzialmente con la creazione di un ente pubblico non economico, separato dalla regione o dalle regioni esercenti congiuntamente il potere di costituzione: una simile attività di costituzione, legittimata dalla legge statale ai sensi dell’art. 97 Cost., anche in relazione al disposto della L. n. 70 del 1975, art. 4 si sarebbe configurata certamente come unilaterale, conforme a quanto disposto dalla stessa legge statale.

Era più difficile ipotizzare, invece, che la costituzione della centrale di committenza potesse avvenire nella forma di cui alla figura del c.d. organismo di diritto pubblico, di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 3, comma 26.

Infatti, compatibili con l’attività costitutiva unilaterale (o coinvolgente più regioni) indicata dal comma 455, si presentavano certamente due delle caratteristiche della suddetta figura, come individuate da quel comma, cioè l’esigenza da soddisfare e la personalità giuridica, ma non altrettanto la terza. L’ipotizzare un finanziamento maggioritario da parte della regione, la soggezione al suo controllo, l’eventuale designazione di ameno la metà degli componenti degli organi, erano, infatti, indici difficilmente compatibili con un’attività di costituzione esclusiva della regione o di più regioni, in quanto evocavano tutti un’attività implicante la partecipazione di altri soggetti. Questi indici, ancorchè la norma del comma 26 non si preoccupasse di indicare il soggetto abilitato ad istituire l’organismo di diritto pubblico (data, del resto, la funzione definitoria del comma), non sembra consentissero di alludere ad un’attività di istituzione d’iniziativa esclusiva di chi (lo Stato, l’ente pubblico territoriale, altro organismo di diritto pubblico) poteva istituire l’organismo di diritto pubblico, ma suggerivano l’idea di un’attività imputabile ad uno di tali enti insieme ad altri soggetti: lo faceva manifesto soprattutto il riferimento del comma 26 al principio maggioritario sia per il finanziamento sia per gli organi di amministrazione, direzione e vigilanza, e, in misura minore, la stessa previsione del controllo. Nel contesto normativo così delineato, lo stesso riferimento alla possibilità che l’organismo potesse assumere la forma societaria, messo in relazione con i detti indici, appariva difficilmente compatibile con il fenomeno di una società costituita in via esclusiva da uno dei detti soggetti pubblici.

p.5.6. La Regione Piemonte, per procedere alla costituzione della centrale di committenza, ha adoperato la potestà legislativa, ma, invece di scegliere come forma giuridica della centrale quella di una figura non evocativa di una persona giuridica formalmente propria del diritto privato, come avrebbe potuto essere quella della costituzione di un soggetto espressamente denominato ente pubblico, ha scelto di attribuirgli altrettanto espressamente la forma societaria.

Nello scegliere questa forma ha, peraltro, correttamente rispettato la prescrizione della costituzione della centrale senza coinvolgimento di altri soggetti. La L.R. n. 19 del 2007, dopo aver disposto nell’art. 1 che la Regione “promuovesse” la costituzione di una centrale di committenza, fra l’altro con espressa affermazione del rispetto della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 455, 456 e 457 ha specificato questa attività di promozione, disponendo, con l’art. 2, comma 1 che la Regione “provvedesse” alla costituzione della Società di Committenza Regione Piemonte s.p.a. (SCR Piemonte) con capitale iniziale interamente sottoscritto dalla regione. La previsione della sottoscrizione totalitaria del capitale sociale da parte della regione rendeva la stessa socio unico, di modo che l’attività di costituzione restava necessariamente riferibile solo alla regione.

Il soggetto così costituito, pur con la forma della società per azioni, risultava in tal modo una mera emanazione della regione, non diversamente da come sarebbe stato se la regione avesse scelto di costituire la centrale di committenza denominandola come ente regionale.

Questa particolarità della costituzione della SCR Piemonte non può valere di per sè a farla considerare come un ente pubblico con riferimento al versante della responsabilità erariale, cioè riguardo alla considerazione del suo patrimonio, dato che l’ordinamento, nel regime privatistico delle società per azioni, ammette che la società possa avere un unico socio.

Occorre verificare se invece la considerazione come ente pubblico a quei fini possa giustificarsi sulla base di ulteriori elementi caratterizzanti la struttura della SCR Piemonte e l’attività da essa esercitata.

Elementi che, peraltro, dovrebbero ricercarsi anche ove si opinasse, al contrario di quanto osservato in precedenza, che alla figura dell’organismo di diritto pubblico possa appartenere anche una società a totale partecipazione di uno degli enti abilitati ad istituirlo, di modo che si reputasse possibile qualificare, sebbene formalmente, la SCR Piemonte, come organismo di diritto pubblico agli effetti del D.Lgs. n. 163 del 2006 (ed ora del D.Lgs. n. 50 del 2016).

Gli elementi rilevanti vanno innanzitutto ricercati sul piano legislativo e, quindi, su quello dello statuto sociale, che è quello con cui un soggetto societario si presenta come soggetto nella dimensione privatistica.

p.5.7. Ponendosi sul piano degli ulteriori contenuti della legge regionale, sotto il primo aspetto, quello della struttura, viene in rilievo l’art. 2, comma 4 L.R., il quale, oltre ad individuare in modo dettagliato l’oggetto della costituenda società, previde che lo statuto della costituenda società dovesse essere approvato dalla giunta regionale, previo parere della competente commissione consiliare.

Quest’ultima previsione normativa evidenziava che il dominus della determinazione dello statuto e, quindi, anche delle sue modificazioni, fosse esclusivamente l’ente regionale. Ne derivava che l’ente regionale, in piena coerenza con la sua posizione di socio totalitario ed a tutela delle sue implicazioni, escludeva anche qualsiasi autonomia della costituenda società nel modificare lo statuto, con sostanziale preclusione dell’operare effettivo dell’art. 2365 c.c. e, quindi, di una implicazione naturale del regime societario prescelto.

In pratica, si evidenziava la previsione della permanente soggezione della società sotto il profilo organizzativo al potere della regione e ciò in non diversa guisa da come sarebbe stato per un apparato organizzatorio o per un ente pubblico non economico regionale.

Ancora sotto l’aspetto strutturale, prima ancora che sul quello dell’attività, o meglio del modo di svolgimento dell’attività da parte della società, veniva in particolare rilievo l’art. 6, il quale, sotto la rubrica “programmazione degli interventi”, dispose: al comma 1, che “In attuazione della programmazione pluriennale dei vari settori d’intervento di cui all’art. 1, la Giunta regionale, entro il 30 settembre di ogni anno, individua con propria deliberazione, sentiti i soggetti di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), la programmazione delle attività di interesse regionale da assegnare alla SCR-Piemonte spa, previa espressione del parere della competente commissione consiliare entro trenta giorni dall’invio del relativo piano.”; al comma 2 che Semestralmente la Giunta regionale riferisce alla commissione consiliare competente circa gli avanzamenti della programmazione e presenta gli eventuali aggiornamenti o integrazioni per il conseguente parere consiliare con le modalità e nei tempi previsti al comma 1.; al comma 3 che “Per l’elaborazione del piano degli interventi di cui al comma 1, la Regione e i soggetti di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), possono richiedere alla SCR-Piemonte spa la redazione di appositi studi di fattibilità.; ed al comma 4 che “Nell’ambito dell’importo complessivo delle opere del piano degli interventi, la SCR-Piemonte spa può proporre alla Giunta regionale rimodulazioni a seguito di economie realizzate o sulla base di esigenze nuove.”.

Questa previsione normativa, a sua volta, si risolveva in una sorta di riserva a favore della regione dell’indicazione dell’attività e dei compiti da svolgersi da parte della società di anno in anno e, quindi, nella prescrizione di una sorta di determinazione dell’una e degli altri da parte della regione, con la possibilità per la società soltanto di proporre delle “rimodulazioni” e, quindi, variazioni di contenuto molto limitato e, tra l’altro, a livello solamente propositivo.

p.5.7.1. Sempre rimanendo sul piano della legge regionale, riguardo al secondo aspetto, quello dell’attività da svolgersi da parte della società, rileva l’art. 3 cit. legge, secondo cui: “1. La SCR Piemonte S.p.A. svolge la sua attività in favore della Regione e dei seguenti soggetti aventi sede nel suo territorio: a) enti regionali, anche autonomi, ed in generale organismi di diritto pubblico dalla stessa costituiti o partecipati nonchè loro consorzi o associazioni ed inoltre enti e aziende del servizio sanitario regionale; b) enti locali e enti, aziende e istituti, anche autonomi, istituzioni ed in generale organismi di diritto pubblico da questi costituiti o partecipati e comunque denominati nonchè loro consorzi o associazioni, istituti di istruzione scolastica universitaria e agenzie territoriali per la casa.”.

Questa previsione si risolveva, per così dire, in una sorta di predeterminazione dell’oggetto sociale, con riferimento all’individuazione dei soggetti in favore dei quali la società doveva operare. Predeterminazione che sostanzialmente riprendeva le tipologie di soggetti destinatari indicate dalla legge statale nel ricordato comma 455 e si aggiungeva a quella oggettiva fatta dall’art. 2 cit. legge.

p.5.7.2. Va rimarcato che alcune delle disposizioni della legge regionale hanno subito talune modificazioni, ma non quanto alla sostanza dei disposti che si sono ricordati.

p.5.7.3. Tutte le previsioni legislative regionali apparivano funzionali all’assicurazioni delle condizioni di osservanza del principio stabilito dalla legge statale nel ricordato L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 457 della cioè a garantire l’inserimento della costituenda centrale in un “sistema a rete”, per gli scopi delineati dalla stessa previsione normativa: è palese che, essendo la prescrizione della legge statale un principio fondamentale della legislazione nazionale da osservarsi dalle regioni l’attività costitutiva della centrale di committenza regionale ed il risultato della stessa non potevano che disegnare la centrale di committenza con una struttura e delle modalità operative tali da consentire alla regione, direttamente responsabile sul piano dei rapporti fra le fonti della prescrizione del fare sistema e con la previsione dell’intervento della Conferenza Stato-Regioni in funzione concertativa, di assicurare il rispetto del principio della legislazione statale.

Ne segue che le previsioni legislative regionali obbedirono a questa esigenza nel prescrivere al costituendo ente societario l’adozione di uno statuto e di modalità operative strettamente funzionali a garantire il controllo regionale.

Tanto evidenziava la volontà legislativa, prima statale e, quindi, regionale, conformativa a quanto imposto dalla legge statale, di annettere all’attività delle costituende centrali una penetrante impronta pubblicistica, atteso che, sia il “fare sistema”, sia la soggezione al detto potere, prima ancora che a quello dell’ente regionale costitutivo della centrale, potevano e dovevano essere assicurate proprio per garantire quell’impronta.

p.5.8. Si deve passare, ora, all’esame dello statuto della società, sempre per verificare se, sul piano strutturale e su quello dell’attività, si rinvengano indici che possano giustificare, agli effetti della giurisdizione contabile, la considerazione della società, o meglio del suo patrimonio, come quello di un ente pubblico. Con l’avvertenza che si tratta di indici che si dovrebbe rinvenire coerenti con quanto emerso dalla ricognizione della normativa dianzi considerata.

Va rilevato che il tenore dello statuto, per i punti che interessano, venne modificato con una Delib. Giunta Regionale 17 settembre 2013, n. 15-6362. Essa, sulla base di un espresso riferimento alla L.R. n. 8 del 2013, art. 30 (che aveva introdotto alcune modifiche alla L.R. n. 7 del 2009, estendendo in primo luogo le attribuzioni della società a quelle di c.d. stazione unica appaltante), approvò un nuovo testo dello statuto (che è quello prodotto dal resistente, senza, peraltro, specificarne l’origine). Tuttavia, il testo dello statuto è poi tornato ad essere, per i punti che qui interessano, quello antecedente, in forza di una Delib. Giunta regionale 21 ottobre 2015, n. 1 – 2299 integrata con D.G.R. n. 31 2465 del 23 novembre 2015, come rilevasi tramite semplice accesso via internet al sito della SCR Piemonte.

Peraltro, i fatti oggetto dell’azione contabile si collocano anteriormente alla modifica del settembre del 2013, della quale, dunque, non è possibile tenere conto (in termini: Cass. sez. un. n. 26913 del 2013 e 7177 del 2014), il che, a parte ogni valutazione sulle effettiva rispondenza legittimità della deliberazione giuntale, approvativa della modifica statutaria adottata dalla società, a quanto implicato dalla L. n. 8 del 2013, impone di ritenere irrilevante – al di là del ripristino dello statuto originario – l’espressa affermazione nell’esordio della delibera che la SCR Piemonte fosse “in regime di “in house providing”.

p.5.8.1. In particolare dallo statuto della società emergeva come ora emerge che: a) l’art. 4 individua l’oggetto sociale indicando che la società svolge le funzioni di centrale di committenza e, dopo l’intervento della L. n. 136 del 2010, art. 13 e del D.P.C.M. 30 giugno 2011 (che sono espressamente richiamati), quelle di stazione unica appaltante, in favore dei soggetti indicati dalla L.R. n. 19 del 2007, art. 3; b) lo stesso art. 4 dispone che lo svolgimento dell’attività – di cui vengono specificati taluni contenuti, che sono conformi a quelli indicati dalla legge – avviene in attuazione della programmazione di cui all’art. 6 cit. L.R.; c) l’art. 5.3. prevede, conforme al disposto della legge regionale, che la società è a totale partecipazione pubblica essendo il capitale sociale sottoscritto solo dalla Regione Piemonte; d) l’art. 8.2. prevede che i tre membri del consiglio di amministrazione o l’amministratore unico, forme in cui è previsto possa costituirsi l’organo amministrativo, siano nominati e revocati dalla Giunta Regionale ai sensi dell’art. 2449 c.c.; e) l’art. 14.2. attribuisce parimenti alla Giunta Regionale la nomina dei sindaci componenti del collegio sindacale; f) l’art. 15.2. prevede che il direttore amministrativo sia nominato dall’organo amministrativo, tuttavia previo parere conforme della Giunta Regionale, che, dunque, decide al riguardo.

Questi dati statutari evidenziano che la Giunta regionale e, quindi, la Regione Piemonte, ha potere esclusivo circa la nomina e la revoca degli amministratori e dei sindaci della società ed anche dello stesso direttore amministrativo della società: ciò rivela per un verso la necessità di un costante rapporto di fiduciarietà fra l’organo esecutivo della Regione e i soggetti che ricoprono quelle cariche e ciò non solo per quanto concerne l’organo amministrativo, ma anche per quanto concerne l’organo sindacale di controllo, e, per altro verso, assicura costantemente che l’operare della società abbia luogo in guisa non diversa da come accadrebbe se si fosse in presenza di un apparato organizzatorio della regione, posto che allo stesso modo di come accadrebbe in relazione ad esso, l’amministratore, il sindaco ed il direttore amministrativo risultano di fatto fiduciari dell’esecutivo regionale. Ciò, in una situazione, nella quale la società ha un capitale di totale spettanza della regione e svolge un’attività del tutto peculiare, come quella di centrale di committenza ed ora di stazione unica appaltante, e con l’ulteriore evidenza, emergente dal citato art. 6, della soggezione alla programmazione adottata dell’esecutivo regionale ai sensi dell’art. 6 L.R..

p.5.9. E’ sulla base della combinazione fra i dati della legge regionale e quelli dell’atto costitutivo, nonchè considerando la circostanza che la legittimazione a costituire la società è stata data alla legge regionale da quella statale, che occorre ora domandarsi come la fattispecie che si giudica collochi nell’ambito della giurisprudenza di questa Corte in punto di individuazione delle ipotesi nelle quali la lesione arrecata dagli amministratori e dai dipendenti di un soggetto rivestente forma societaria al suo patrimonio può considerarsi fonte di danno erariale e, dunque, si configura la giurisdizione erariale.

Com’è noto e come del resto è emerso dal dibattito fra le parti, la giurisprudenza della Corte si è attestata su una posizione i cui contenuti si possono riassumere nei termini seguenti:

a) nelle azioni di responsabilità per danni cagionati da organi o da dipendenti di società partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici, si è affermato in linea generale che il danno arrecato al patrimonio sociale, avuto riguardo alla natura di ente privato della società ed all’autonomia giuridica e patrimoniale di essa rispetto al socio pubblico, comporta che la giurisdizione debba essere attribuita al giudice ordinario, non essendo configurabile nè un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, nè un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti;

b) sempre su un piano generale, la giurisdizione di quest’ultima è stata viceversa affermata, sia quando l’azione di responsabilità miri al risarcimento di un danno che – come nel caso del danno all’immagine – sia stato arrecato al socio pubblico direttamente, e non quindi quale mero riflesso della perdita di valore della partecipazione sociale conseguente al danno arrecato alla società, sia quando essa trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio o li abbia comunque esercitati in modo tale da pregiudicare il valore della partecipazione;

c) a fondamento di questa conclusione si sono poste, com’è noto: c1) l’affermazione (Cass. sez. un. n. 26283 del 2013) che “la giurisdizione della Corte dei conti in tema di risarcimento dei danni arrecati dai gestori o dagli organi di controllo al patrimonio della società potrebbe fondarsi soltanto: o su una previsione normativa che eccezionalmente lo stabilisca, quantunque si tratti di danno arrecato ad un patrimonio facente capo non già ad un soggetto pubblico bensì ad un ente di diritto privato – previsione certo possibile, ma che allo stato non appare individuabile in termini generali nell’ordinamento -; oppure sull’attribuzione alla stessa società partecipata della qualifica di ente pubblico, onde il danno arrecato al suo patrimonio potrebbe qualificarsi senz’altro come danno erariale.”; c2) il rilievo che quest’ultima è soluzione che è “però ben difficilmente predicabile, perchè trova un solido ostacolo nel disposto della L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 4 a tenore del quale occorre l’intervento del legislatore per l’istituzione di un ente pubblico”, così esprimendosi “un principio di ordine generale, ove si consideri la molteplicità e la rilevanza degli effetti giuridici potenzialmente implicati nel riconoscimento della natura pubblica di un ente”, con la conseguenza che “se in via di principio può ammettersi che un siffatto riconoscimento sia desumibile anche per implicito da una o più disposizioni di legge, occorre nondimeno che la volontà del legislatore in tal senso risulti da quelle disposizioni in modo assolutamente inequivoco.” (le parole fra virgolette sono sempre della decisione da ultimo ricordata)”;

d) all’interno di siffatto quadro generale sono state individuate, proprio nella logica della volontà legislativa inequivoca, situazioni particolari, nelle quali si è dato rilievo alla natura speciale dello statuto legale di talune società partecipate da enti pubblici (Rai Radio televisione italiana s.p.a., ENAV s.p.a. ed A.N.A.S.) e si è, invece, affermata la sussistenza della giurisdizione contabile sulle azioni di risarcimento del danno cagionato da componenti del consiglio d’amministrazione e da dipendenti, perchè, nonostante la veste di società per azioni, esse hanno la natura sostanziale di ente pubblico con rifermento ai presupposti giustificativi di quella giurisdizione;

e) accanto a queste ipotesi singolari, connotate dalla peculiarità dello statuto legale della specifica società, la giurisdizione della Corte dei conti è stata ravvisata, poi, anche con riguardo alle azioni di responsabilità proposte nei confronti di organi o dipendenti di un più vasto sottoinsieme di società a partecipazione pubblica: le cosiddette società in house, per tali dovendosi intendere quelle dal cui quadro statutario, vigente all’epoca della condotta ritenuta dannosa, emerga che siano state costituite da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, che esplichino la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e che siano assoggettate a forme di controllo della gestione analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici: si è reputato che una siffatta società, sebbene ai fini dei presupposti giustificativi della giurisdizione contabile, non si ponga davvero in rapporto di alterità con la pubblica amministrazione partecipante, bensì come una sua longa manus, come uno dei servizi propri dell’amministrazione stessa, di talchè il danno arrecato al patrimonio sociale si configura in tal caso come danno direttamente riferibile all’ente pubblico, i cui organi può dirsi facciano capo all’amministrazione medesima.

p.5.10. Rilevano le Sezioni Unite che, esaminando l’odierna questione di giurisdizione all’interno dell’assetto della giurisprudenza appena ricordato, non è certamente possibile collocare la SCR Piemonte fra le società in house (come aveva fatto la deliberazione regionale di approvazione della effimera modifica statutaria, di cui si è detto): è sufficiente osservare che non si tratta di società che è stata costituita per l’esercizio di servizi pubblici, dato che l’attività che per la legge regionale e per statuto detta società esercita non ha quell’oggetto. Sicchè, mancando il requisito della costituzione per l’esercizio di un pubblico servizio (e, dunque, la proiezione dell’attività verso la collettività indeterminata dei consociati riguardo ai quali dovrebbe l’attività di erogazione di un pubblico servizio potrebbe svolgersi nelle forme organizzative proprie di un ente pubblico) non è neppure necessario domandarsi se ricorrano gli altri due requisiti, perchè, se anche ricorressero, il profilo della società in house non si configurerebbe.

Viceversa, si configurano le condizioni per ritenere che si sia in presenza di un soggetto formalmente societario che, sia per le modalità della sua origine e della sua costituzione avvenute per legge, sia per le caratteristiche della sua struttura organizzatoria ed operativa, emergente dalla legge regionale che ne dispose la costituzione e dal modo in cui le sue prescrizioni risultano trasfuse nel suo statuto, presenta particolarità strutturali ed operative tali da giustificare la considerazione della sua soggettività, sempre ai soli fini della sussistenza dei presupposti della giurisdizione contabile, come quella di un ente pubblico regionale.

E ciò per ragioni omologhe a quelle che hanno indotto a ravvisare la giurisdizione contabile nelle ipotesi particolari che si sono sopra ricordate.

Anche nel caso in esame le particolarità di cui si dirà comportano che il patrimonio della SCR Piemonte rivesta (per usare le parole che questa Corte ha usato a proposito dell’ANAS) “i connotati pubblicistici che sono l’indispensabile presupposto della giurisdizione contabile e che, correlativamente, coloro i quali per essa agiscono incidendo su quel patrimonio rientrino nel novero dei soggetti ai quali detta giurisdizione si estende” (Cass. n. 15594 del 2014).

Si è in sostanza in presenza di un caso in cui il riconoscimento della qualità di ente pubblico risulta desumibile per implicito dalla legge (come aveva ipotizzato Cass. sez. un. n. 26283 del 2013), perchè la volontà del legislatore in tal senso risulta in modo assolutamente inequivoco.

p.6. La prima particolarità che viene in rilievo è che la vicenda costitutiva della società ha come fonte originaria una legge dello Stato, di conferimento alla Regione Piemonte, come a tutte le regioni, di un potere che riguardava la costituzione di una entità, quella di una centrale di committenza “regionale”. con la finalità giustificativa del “contenimento e della razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi” in “favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio”.

La finalità di contenimento e razionalizzazione della spesa indicava un’esigenza di economicità di gestione. Il suo correlarsi all’acquisto di beni e servizi per lo stesso ente regionale, per gli enti locali, per quelli del Servizio Sanitario nazionale e per le altre pubbliche amministrazioni infraregionali, individuava l’attività dell’entità da costituirsi al soddisfacimento di esigenze funzionali all’esercizio delle attività delle pubbliche amministrative beneficiarie e, quindi, un carattere servente rispetto ad esse.

Queste esigenze corrispondevano proprio a quelle che, secondo la definizione di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, erano le esigenze soddisfatte dall’attività di una centrale di committenza.

Ogni regione, in base alla legge aveva la possibilità di disporre la costituzione della centrale di committenza con una configurazione e con caratteristiche operative che dovevano risultare funzionali al soddisfacimento di quelle esigenze.

La Regione Piemonte, con la sua L. n. 19 del 2007, per quanto attiene al profilo della configurazione soggettiva scelse di costituire la centrale regionale in forma societaria, ma lo fece con la previsione – come si è veduto richiamando in precedenza la disposizione della legge concernente l’approvazione dello statuto e la sua modificazione – di una permanente soggezione della società sotto il profilo organizzativo al potere della regione e, dunque, dell’ente pubblico regione.

La soggezione, come emerge dal ricordato art. 6 della legge regionale, concerneva anche il modus operandi del nuovo soggetto, che era chiamato a svolgere le attività di interresse regionale individuate da un’apposita deliberazione di programmazione, cui si collegava l’obbligo della giunta deliberante di riferire alla commissione consiliare competente circa i suoi avanzamenti e di presentare gli eventuali aggiornamenti o integrazioni.

In pratica, l’individuazione di che cosa dovesse “fare” annualmente il soggetto neo costituito, non solo non risultava affidata a determinazioni interne ed autonome dei suoi organi, ma, per disposto di legge regionale, spettava ad una deliberazione della giunta regionale, previo parere del consiglio, sicchè l’agire della società dipendeva non da scelte, anche solo formalmente, adottate dagli organi in cui si esprimeva la sua soggettività, ma originanti direttamente dalla Regione, che quegli organi dovevano eseguire.

E la SCR-Piemonte s.p.a. rispetto a tale eterodeterminazione regionale aveva solo la possibilità di proporre alla Giunta regionale “rimodulazioni a seguito di economie realizzate o sulla base di esigenze nuove.”.

Si è già visto, poi, come sempre la legge regionale avesse essa stessa individuato, con l’art. 3, la direzione soggettiva dell’attività da svolgersi da parte della società, riprendendo le tipologie di soggetti destinatari indicate dalla legge statale.

Le caratteristiche, con cui nasceva la società, evidenziavano allora una intentio legis della Regione Piemonte di assicurare, avuto riguardo all’oggetto dell’attività di centrale di committenza, che il nuovo soggetto, nonostante la scelta della forma societaria, avesse in effetti una configurazione effettiva, strutturale e funzionale, non diversa da quella che, nei confronti della Regione, avrebbe potuto avere una centrale di committenza che, come sarebbe stato possibile in ragione dell’attività da esercitarsi, fosse stata istituita: a) o come mera articolazione organizzatoria costituita in seno all’amministrazione regionale, cioè come un mero apparato di essa privo di personalità giuridica; b) o come ente pubblico distinto dalla Regione, ma qualificabile come ente regionale e facente capo ad essa, se si fosse scelto di attribuire all’apparato organizzatorio la soggettività con l’espressa qualificazione di ente pubblico.

Poichè la configurazione come società implicava l’attribuzione di soggettività, la SCR Piemonte risultava in concreto destinata ad operare in guisa non diversa da un vero e proprio sostanziale ente regionale, piuttosto che come un’articolazione dell’apparato amministrativo regionale.

La circostanza che la descritta modalità operativa venne imposta con un atto normativo di natura legislativa e non, come nelle società in house, attraverso la concreta regolamentazione statutaria determinata dall’ente pubblico partecipante senza la forza dell’atto legislativo in sede di determinazione del contenuto dell’atto costitutivo, evidenziava, altresì, al di là del già segnalato scostamento da quella figura, determinato dal non essersi in presenza di pubblici servizi, un fenomeno anche sotto tale profilo non assimilabile, neppure per analogia, a detta figura.

Già l’atto normativo fondante della società, per il suo oggettivo contenuto di individuazione della struttura e dell’attività della società, fu idoneo, dunque, a far assumere alla società stessa una dimensione operativa concreta che l’assimilò a un ente pubblico regionale e che implicò che, agli effetti dei presupposti per la giurisdizione contabile, l’operare degli amministratori ed agenti non potesse considerarsi imputabile alla società nella sua veste di soggetto giuridico di diritto privato, ma ad essa come un sostanziale ente pubblico facente capo alla Regione Piemonte.

p.7. Mette conto di rilevare che il tenore dello statuto della SCR Piemonte nella sua stesura originaria (e, per quel che interessa e come s’è detto rilevante ai fini della decisione) – e non poteva essere altrimenti essendo dovuta l’osservanza della legge – non fece che confermare, con le previsioni che si sono in precedenza richiamate l’enunciata connotazione della società, sia quanto (art. 4) all’individuazione dell’oggetto sociale (allargato in una direzione alle funzioni di stazione unica appaltante con l’intervento della L. n. 136 del 2010, art. 13 e del D.P.C.M. 30 giugno 2011) ed alla previsione (sempre dell’art. 4) dello svolgimento dell’attività in attuazione della programmazione di cui all’art. 6 cit. legge regionale, sia quanto alla totalità della partecipazione pubblica.

Semmai, lo statuto aggiunge elementi – la previsione circa la nomina e revoca dei tre membri del consiglio di amministrazione o dell’amministratore unico da parte della Giunta Regionale e l’attribuzione a quest’ultima della nomina dei sindaci componenti del collegio sindacale, nonchè della modalità di nomina del direttore amministrativo – che, pur essendo quanto al primo ed al secondo previsti dall’art. 2449 c.c. – assumono un rilievo ben più pregnante, se posti in relazione con la spettanza alla Regione della suddetta programmazione: invero, il potere esclusivo circa la nomina e la revoca degli amministratori e dei sindaci della società ed anche dello stesso direttore amministrativo palesa per un verso la necessità di un costante rapporto di fiduciarietà fra l’organo esecutivo della Regione e i soggetti che ricoprono quelle cariche in relazione ad un’attività definita di programmazione, di modo che trova conferma che l’operare della società dovesse aver luogo in guisa non diversa da come sarebbe accaduto se si fosse costituito un apparato organizzatorio della regione oppure un ente espressamente qualificato, giusta la legittimazione legislativa, come pubblico, regolato dalle medesime caratteristiche strutturali ed operative.

p.8. La conclusione che si deve raggiungere è, pertanto, che la SCR Piemonte, pur nella sua formale veste societaria, si connotò fin dall’origine e, per quanto qui interessa, all’epoca dei fatti ascritti al F., come un sostanziale ente pubblico regionale per essere rivelata tale sua qualificazione, sebbene agli effetti della giurisdizione contabile, direttamente dalla legge regionale, nonostante la scelta di essa di configurarla come un soggetto societario. Sicchè, la L.R. Piemontese n. 19 del 2009, sulla base della legittimazione data dalla legge statale, risulta avere istituito implicitamente in modo inequivoco, a quei soli effetti, un ente pubblico, il che giustifica che nei confronti del F. si configuri la giurisdizione erariale.

Le particolarità sopra individuate che hanno giustificato l’indicata conclusione rendono, naturalmente, la fattispecie del tutto immune dai rilievi e dai ragionamenti che hanno indotto questa Corte ad escludere la giurisdizione contabile nella fattispecie concernente la s.p.a. Autostrade del Brennero.

Prive di ogni rilievo, come riassuntivamente ebbe modo già di precisare Cass. sez. un. n. 26283 del 2013, sono pure le argomentazioni che il F. ha prospettato sulla base del D.L. n. 95 del 2012, art. 4, comma 13, terzo periodo, convertito, con modificazioni, nella L. n. 135 del 2012.

p.9. Conclusivamente, si deve rilevare che, connotandosi la SCR Piemonte, agli effetti della giurisdizione contabile, al di là della sua veste formale societaria, come un soggetto che tramite i suoi amministratori e dipendenti, in ragione della sua struttura e delle modalità del suo agire, non doveva operare in modo dissimile da un ente pubblico regionale, l’agire dei medesimi in tesi determinativo di danno al patrimonio della società, si configurava come potenzialmente determinativo di un danno erariale, perchè la società, sotto lo schermo formale della veste assunta, veniva ad operare nel mondo giuridico con una struttura e con modalità di svolgimento della sua attività ascrivibili alla regione, di modo che, l’una e l’altra, sebbene formalmente imputabili alla società ed incidenti sul suo patrimonio, si venivano a configurare, in quanto direttamente ascrivibili alla regione, sebbene nella veste formale della società, su un patrimonio pubblico.

L’eventuale lesione del patrimonio sociale arrecata con l’operato oggetto dell’azione contabile è, salvo verifica in concreto, riconducibile in astratto alla nozione di danno erariale, ancorchè riferita al patrimonio di un soggetto rivestente la figura di soggetto societario. Ciò, perchè tale soggetto è dalla legge considerato, agli effetti della giurisdizione contabile, un sostanziale ente pubblico e, quindi, la funzione degli amministratori, pur essendo il soggetto amministrato una società, è rapporto di amministrazione di un ente pubblico, mentre quello dei dipendenti (e il F. è anche tale) è assimilabile ad un rapporto di servizio con un ente pubblico.

p.10. Dalle considerazioni svolte consegue la declaratoria della giurisdizione del giudice contabile e, sciogliendo la riserva formulata in precedenza, esse rendono a questo punto inutile esaminare il disposto del sopravvenuto D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 12 perchè, sussistendo quella giurisdizione anteriormente alla sua entrata in vigore ed essendo il giudizio oggetto di regolamento davanti ad essa incardinata, non è necessario interrogarsi sul se esso possa in ogni caso aver determinato una sopravvenienza della stessa giurisdizione contabile.

p.11. Il regolamento delle spese del presente giudizio è rimesso al giudice contabile.

PQM

La Corte dichiara la giurisdizione del giudice contabile. Nulla per le spese del giudizio di regolamento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 22 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2016

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