Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24733 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. II, 23/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 23/11/2011), n.24733

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FONDAZIONE UBERTO BONINO E MARIA SOFIA PULEJO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. FALZEA Angelo,

Natalino Irti e Salvatore Ruggero Arena, elettivamente domiciliata

nello studio del secondo in Roma, Via Andrea Vesalio, n. 22;

– ricorrente –

contro

G.D.C.L.S.F., rappresentato

e difeso, in forza di procura speciale a margine del controricorso,

dagli Avv. LA ROSA Salvatore, Marcello Spagna e Nicolo Lipari,

elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, Via

Cadlolo, n. 118;

– controricorrente –

per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione, Sezione

Seconda Civile, 5 maggio 2010, n. 10848.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi gli Avv. Natalino Irti, Salvatore Ruggero Arena e Nicolò

Lipari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 19 febbraio 1993, G. d.C.L.S.F. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Messina, La Fondazione Uberto Bonino e Maria Sofia Pulejo, chiedendo: (a) dichiararsi la convenuta Fondazione decaduta, per non avere eseguito l’inventario nei termini di legge, dal diritto di succedere, quale erede testamentaria, a P.M. S., deceduta il (OMISSIS), e, quindi, dichiarare aperta la successione legittima della de cuius e dichiarare la devoluzione dell’eredità in favore dell’attore, unico erede legittimo, il quale aveva manifestato la volontà di accettare l’eredità; (b) dichiarare che il patrimonio relitto della de cuius era costituito da una serie di appartamenti e botteghe; (c) condannare la Fondazione a rilasciare detti beni in favore dell’attore; (d) condannare la Fondazione a rendere il conto del godimento di tali beni ed a corrispondere i frutti percetti e percipiendi di tali beni dalla data di apertura della successione, oltre a interessi e rivalutazione monetaria.

Il Tribunale di Messina, con sentenza in data 13 marzo 2001, dichiarò inammissibile la domanda volta all’accertamento dell’inefficacia dell’accettazione ereditaria operata dalla Fondazione; rigettò le ulteriori domande dell’attore; dichiarò la validità dell’acquisto da parte della Fondazione – per la disposizione contenuta nel codicillo in data 13 agosto 1972 e, in subordine, a titolo di usucapione abbreviata o almeno ordinaria – dei beni immobili della de cuius; rigettò le domande risarcitorie avanzate in via riconvenzionale dalla Fondazione.

2. – L’attore propose gravame, che fu respinto dalla Corte d’appello di Messina con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 4 dicembre 2003.

2.1. – La Corte territoriale riconobbe in capo all’appellante la legittimazione attiva all’azione di petizione dell’eredità di P.M.S., ritenendo, per un verso, accettazione espressa dell’eredità medesima l’assunzione del titolo di erede operata dal G. nelle procure generali alle liti rilasciate in data 10 ottobre 1980 e 15 ottobre 1980; per l’altro, affermando la legittimazione dell’appellante a far valere la eventuale decadenza della Fondazione dal beneficio di inventario e dunque dal diritto di accettazione dell’eredità, sulla base della negazione della tesi secondo la quale i soli legatari ed i creditori del defunto, e non anche i coeredi, sarebbero legittimati a far valere detta decadenza.

Sul punto della natura della attribuzione testamentaria in favore della Fondazione, la Corte ritenne la questione non preclusa dal giudicato richiamato dall’appellante, di cui al giudizio definito con sentenza della Cassazione 11 luglio 1980, promosso da P.M. E. e proseguito dal figlio ed erede G. nei confronti dell’Istituto Opere di Religione al fine di conseguire l’eredità di L.R., zia della P., in cui era stata chiesta la declaratoria di inefficacia della disposizione testamentaria con la quale la de cuius aveva nominato erede l’istituenda fondazione “Giovanna e Rosa Loffredo, in memoria del fratello V. marchese di (OMISSIS)” ed esecutore testamentario lo IOR, e la devoluzione dell’eredità alla P. quale erede legittima. In tale giudizio, era intervenuta la Fondazione Uberto Bonino e Maria Sofia Pulejo, assumendo di essere, per successione di P.M. S., anch’essa nipote della de cuius, erede legittima in pari grado di P.M.E. nella successione di L. R., chiedendo la devoluzione dei beni ereditari anche in suo favore.

Ebbene, la Corte di merito escluse che il giudicato di cui alla sentenza di questa Corte che aveva posto fine al giudizio ricordato precludesse la cognizione e la decisione della questione relativa alla natura – istituzione di erede o legato – dell’attribuzione testamentaria disposta in favore della Fondazione Bonino-Pulejo. Ciò in quanto, per un verso, posto che la cosa giudicata riguarda l’oggetto del processo, individuato attraverso i soggetti, il petitum e la causa petendi, nella specie il precedente giudizio, rispetto a quello in cui era stato invocato il giudicato, presentava differenti petitum, causa petendi e in parte anche soggetti; per l’altro, il punto della decisione della Corte d’appello di Roma relativo alla natura dell’attribuzione testamentaria di P.M.S. in favore della Fondazione, risolto nel senso che questa fosse stata chiamata all’eredità anche di L.R. quale erede di P.M.S., era stato impugnato per cassazione dal G. ed, essendo stato il relativo motivo di ricorso dichiarato da questa Corte assorbito ed in concreto non esaminato, la questione era rimasta impregiudicata.

La Corte d’appello di Messina – esclusa, dunque, l’invocabilità del giudicato da parte del G. – ritenne, invece, legataria, e non erede, la Fondazione Uberto Bonino e Maria Sofia Pulejo, per avere avuto l’attribuzione di cui si tratta ad oggetto singoli beni immobili, mentre nel testamento era stato istituito erede universale il marito della P.: nomina confermata nel codicillo del 13 agosto 1972, che conteneva lasciti a favore di vari legatari, il cui soddisfacimento era posto a carico del B. in quanto erede universale.

Al riconoscimento del titolo particolare dell’attribuzione testamentaria a favore della Fondazione, con relativo acquisto di diritto, senza necessità di accettazione da parte della stessa, dei beni immobili alla stessa attributi, conseguiva l’infondatezza della domanda dell’appellante volta alla dichiarazione della decadenza della Fondazione, per tardiva redazione dell’inventario, dalla qualità di erede di P.M.S. ed al conseguimento da parte del G. quale erede legittimo dei beni in questione.

3. – Con sentenza 5 maggio 2010, n. 10848, la sezione Seconda civile di questa Corte ha accolto il ricorso principale del G. e rigettato quello incidentale condizionato della Fondazione, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Palermo.

La Corte ha dichiarato fondato l’unico motivo di ricorso proposto dal G., con cui erano state dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. La Corte ha rilevato che l’accertamento concernente l’attribuzione alla Fondazione della qualità di erede di P.M.S., coperto da giudicato per effetto delle sentenze della Corte di cassazione n. 4442 del 1980 e n. 9057 del 1987, “costituisce un punto fondamentale comune ai tre giudizi, rappresentando, come esattamente rilevato dal ricorrente, la logica premessa del suo concorso nella successione di P.M. S. nel presente giudizio, e nelle successioni di entrambe le defunte L.R. e L.G. nei giudizi già conclusi”.

In particolare, esaminando l’eccezione, sollevata dalla difesa della controricorrente in sede di discussione, relativa al difetto di interesse del G. a ricorrere per intervenuta usucapione, la Corte ha ritenuto che “la censura non può trovare ingresso nel presente giudizio, in quanto la circostanza non è mai stata fatta valere nelle fasi precedenti, nè nel ricorso. Senza considerare che essa appare implicitamente esclusa dalle precedenti sentenze cui si è fatto dianzi riferimento”.

4. – Per la revocazione della sentenza di questa Corte la Fondazione ha proposto ricorso, con atto notificato il 16 novembre 2010, sulla base di due motivi.

Il G. ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (errore di fatto, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ. e art. 395 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, riguardante la mancata proposizione, nei precedenti gradi di giudizio, della questione dell’usucapione abbreviata o ordinaria dei beni immobili della de cuius) ci si duole che la Corte di cassazione abbia giudicato la questione dell’usucapione “circostanza mai fatta valere nelle fasi precedenti” del giudizio, senza considerare che la domanda volta a far valere l’acquisto dei beni ereditari a titolo originario fu proposta in primo grado dalla Fondazione ed accolta dal Tribunale di Messina. Tale capo di sentenza – prosegue la ricorrente Fondazione – fu dal G. impugnato, insieme con quello concernente il giudicato esterno, dinanzi alla Corte d’appello, la quale, respingendo il gravame, ha dichiarato “l’infondatezza in radice (con assorbimento delle questioni di cui agli ulteriori motivi di appello) della domanda del G. volta alla dichiarazione della decadenza (per tardiva redazione dell’inventario) della Fondazione nella qualità di erede di P.M.S. ed al conseguimento da parte del G. quale erede legittimo dei beni immobili in questione”, e reputato assorbite le ulteriori censure rivolte alla sentenza del Tribunale, e, dunque, anche quella concernente l’acquisto dei beni ereditari a titolo di usucapione. E poichè il G. ha proposto, nel ricorso per cassazione, un unico motivo, riguardante l’efficacia del giudicato esterno, sarebbe del tutto erroneo affermare che l’acquisto dei beni ereditari a titolo di usucapione sia, appunto, “circostanza mai fatta valere nelle fasi precedenti”.

Si sostiene che, sollevata, nell’udienza di discussione, eccezione di carenza di interesse al ricorso del G. per intervenuta usucapione – questione rilevabile d’ufficio -, la Corte di cassazione avrebbe dovuto esaminare, insieme con gli atti del giudizio di cassazione, anche gli atti depositati nel fascicolo d’ufficio, e così rilevare che la domanda di accertamento dell’usucapione era stata proposta in primo grado, accolta dal Tribunale, e reputata assorbita dalla Corte d’appello.

1.1. – Il motivo non coglie nel segno.

Esso muove dal presupposto che la sentenza impugnata abbia giudicato “la questione dell’usucapione circostanza mai fatta valere nei gradi precedenti”: una decisione – si sostiene da parte della ricorrente – che deriverebbe da un’erronea percezione intorno al fatto del valersi dell’usucapione da parte della Fondazione, non controverso perchè risultante dalle sentenze di primo e di secondo grado, segnalato dalle parti nel ricorso e nel controricorso e riproposto, nella forma di eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse del G., nell’udienza di discussione.

In realtà la Corte di cassazione si è limitata a rilevare – correttamente – che un problema di difetto di interesse, in sè, non era mai stato sollevato nè nei precedenti gradi di merito nè nel controricorso e ricorso incidentale condizionato della Fondazione.

Non si tratta in questa sede di verificare se la questione del difetto di interesse ad agire fosse deducibile per la prima volta in cassazione: problema che, involgendo un aspetto relativo alla interpretazione ed alla applicazione di una regola processuale, non rileverebbe comunque come errore di fatto idoneo ad integrare gli estremi dell’errore revocatorio contemplato dall’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, richiamato dall’art. 391 bis cod. proc. civ..

Invero, proponendo per la prima volta, in sede di discussione, una questione di difetto di interesse ad agire o a ricorrere, ricollegandolo ad un tema – quello dell’usucapione abbreviata o almeno ordinaria certamente già oggetto della materia del contendere e di un accertamento, non irretrattabile, da parte del giudice di primo grado (come da conto, puntualmente, la sentenza impugnata, a pag. 3, dedicata allo svolgimento del processo), la Fondazione intese sollevare un profilo pregiudiziale di preclusione alla decidibilità nel merito del ricorso, sul rilievo che l’accertamento dell’intervenuto acquisto a titolo originario da parte della Fondazione dei beni de quibus era destinato a paralizzare ogni dibattito in sede di cassazione sulla vicenda successoria a titolo derivativo.

In realtà, detta preclusione – come esattamente evidenziato dalla sentenza di questa Corte – “appare implicitamente esclusa dalle precedenti sentenze”.

Infatti, una volta riconosciuto (a conferma della decisione di primo grado) il titolo particolare della attribuzione a favore della Fondazione, la Corte d’appello di Messina, con la sentenza n. 504 del 4 dicembre 2003, non affrontò in chiave decisoria anche la contestazione, mossa dall’appellante G. con il quinto motivo di gravame, del riconoscimento dell’acquisto, da parte della Fondazione, della proprietà dei beni ereditari di P.M. S. a titolo originario, per usucapione abbreviata e comunque ordinaria, ma dichiarò la questione espressamente assorbita.

Ne consegue che l’acquisto a titolo originario da parte della Fondazione – destinato a tornare oggetto di dibattito nel giudizio di rinvio – non costituiva, nel giudizio deciso con la sentenza fatta oggetto di richiesta di revocazione, un fatto incontestato idoneo a precludere l’esame del motivo di ricorso, esclusivamente vertente, per effetto dello sviluppo processuale avutosi con la decisione d’appello, sulla qualità di erede o di legataria della Fondazione.

2. – Con il secondo mezzo si deduce errore di fatto, ai sensi dell’art. 391 bis cod. proc. civ. e art. 395 cod. proc. civ., comma 1, n. 4, riguardante documenti non depositati dalle parti e posti a fondamento della decisione. La sentenza impugnata – accogliendo il motivo unico, volto a far valere il giudicato esterno – avrebbe posto a fondamento della decisione documenti (sentenza della Corte d’appello di Messina 10 dicembre 1985, n. 310, e sentenza della Corte di cassazione 4 dicembre 1987, n. 9057) mai depositati in giudizio dal G., nè in altro modo acquisiti al processo. Nei giudizi di merito – sostiene la ricorrente – la difesa del G. reputava che il giudicato esterno fosse costituito soltanto dalle sentenze della Corte d’appello di Roma 26 luglio 1978, n. 3298, e della Corte di cassazione 5 marzo 1980, n. 4442, relative alla successione di L.R., e soltanto tali sentenze depositò.

Nel giudizio di cassazione, invece, il motivo di ricorso muoveva altresì dalla sentenza della Corte d’appello di Messina 10 dicembre 1985, n. 310, e dalla sentenza della Corte di Cassazione 4 dicembre 1987, n. 9057, che tuttavia non furono depositate nei gradi precedenti e neppure nel giudizio di cassazione, sicchè la Corte non avrebbe potuto tenerne conto ai fini della decisione. La sentenza impugnata – ponendo a fondamento della decisione tali sentenze – avrebbe implicitamente reputato che esse fossero acquisite al processo, cadendo in tal modo in un errore di fatto che ne determina la revocazione.

2.1. – Anche tale censura è infondata.

Va premesso che la Corte di cassazione, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, ha fatto leva, per valutare l’esistenza di un giudicato esterno, esclusivamente sulle precedenti sentenze della Corte di cassazione, senza considerare, direttamente, la sentenza della Corte d’appello di Messina 10 dicembre 1985, n. 310. Ciò risulta, per tabulas, dal testo della motivazione della sentenza impugnata per revocazione, ove si legge: “Nella specie, in cui i giudizi da prendere in esame ai fini della decisione sulla eccezione di giudicato sollevata dal G. sono ben tre, e cioè quello presente e quelli definiti con le due richiamate sentenze di questa Corte n. 4442 del 1980 e n. 9057 del 1987, le parti tra le quali essi sono stati instaurati sono le stesse (il G. e la Fondazione), come identico è il rapporto giuridico oggetto dei giudizi (la successione di P.M.S.), e l’accertamento concernente l’attribuzione alla Fondazione della qualità di erede di P.M.S., coperto da giudicato per effetto delle due menzionate sentenze di questa Corte, costituisce un punto fondamentale comune ai tre giudizi, rappresentando, come esattamente rilevato dal ricorrente, la logica premessa del suo concorso nella successione di P.M.S. nel presente giudizio, e nelle successioni di entrambe le defunte L.R. e L. G. nei giudizi già conclusi”.

Tanto premesso, si tratta a questo punto di stabilire se costituisca errore di fatto revocatorio l’avere la Corte di Cassazione tenuto conto, ai fini di delineare la portata del giudicato esterno, di una propria sentenza (nella specie, la n. 9057 del 1987), menzionata dal ricorrente ma dal medesimo non depositata in giudizio.

Al quesito deve darsi risposta negativa, perchè nel caso in cui il giudicato esterno fra le stesse parti si sia formato a seguito di una sentenza della Corte di cassazione, i poteri cognitivi del giudice di legittimità possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche mediante la ricerca del Collegio giudicante (Cass., Sez. 5^, 24 gennaio 2007, n. 1564; Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2007, n. 14014; Cass., Sez. 5^, 15 aprile 2011, n. 8614).

3. – Il ricorso è pertanto inammissibile, per infondatezza dei motivi veicolati a sostegno della richiesta di revocazione.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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