Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2473 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 31/01/2017, (ud. 10/01/2017, dep.31/01/2017),  n. 2473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 22701/2013 R.G. proposto da:

SOCIETA’ AGRICOLA M. Srl, in persona del legale rappresentante

Sig. M.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Luigi

QUERCIA, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Livia

RANUZZI in Roma, Viale del Vignola, n. 5;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

AGENZIA DELLE ENTRATE Direzione Provinciale di Barletta, in persona

del Direttore provinciale pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Bari n.

30/09/13, depositata il 10 aprile 2013

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 gennaio 2017

dal Cons. Dott. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito l’Avv. Giancarlo Caselli per il controricorrente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle Entrate di Barletta, in esito ad indagine fiscale su questionario inviato alla Società agricola M. Srl, esercente attività di coltivazione, raccolta, trasformazione, confezionamento e vendita di prodotti ortofrutticoli, notificava separati avvisi di accertamento per gli anni 2005 e 2006, in rettifica del maggior reddito d’impresa in ragione di irregolarità formali e sostanziali e per il mancato riconoscimento di costi e spese non documentate e non inerenti.

2. La Commissione tributaria provinciale di Bari, riuniti i ricorsi proposti dalla contribuente, che eccepiva la nullità degli atti impositivi per carenza di motivazione, violazione del principio del contraddittorio e, comunque, infondatezza della pretesa fiscale, annullava gli avvisi di accertamento. La decisione veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale che, esclusa la lesione dei diritti di difesa del contribuente, riteneva legittimo l’accertamento.

3. Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente con otto motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il collegio ha autorizzato la redazione di motivazione in forma semplificata.

5. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. – denuncia ai sensi all’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, per non aver la CTR dichiarato inammissibile l’appello dell’Agenzia delle entrate che non aveva censurato il capo della decisione della CTP di declaratoria della violazione del principio del contraddittorio, sicchè tale statuizione era passata in giudicato.

5.1. Il motivo è infondato.

La L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 4 (disposizione che si riferisce ai “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”) dispone testualmente “Delle osservazioni e dei rilievi del contribuente e del professionista, che eventualmente lo assista, deve darsi atto nel processo verbale delle operazioni di verifica”.

La violazione della norma, ove applicabile, comporta un vulnus al diritto di difesa della parte e a far valere, in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, le proprie pretese ed osservazioni.

La lesione del principio del contraddittorio, peraltro, non è astratta ma resta ancorata, per le fattispecie a cui si riferisce, alle specifiche facoltà e alle modalità specificamente ivi previste.

E’ un dato pacifico, del resto, che il principio del contraddittorio assume una connotazione differente in relazione alle diverse modalità di accertamento previste dalla legge: è particolarmente importante in caso di accertamento fondato su studi di settore per evitare una loro utilizzazione astratta dalla realtà; in caso di accertamento analitico è necessario che siano rispettate le regole previste dalla normativa vigente in materia di accessi e controlli.

Qualora, poi, l’accertamento fiscale avvenga con invio di questionario da parte dell’Amministrazione finanziaria, è proprio quest’ultimo che assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente (v. Cass. n. 22126 del 2013).

Orbene, la decisione della CTP aveva rilevato “… l’Ufficio impositore ha violato il disposto della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 4… nel caso di specie,… non ha redatto alcun processo verbale delle operazioni delle operazioni di ispezione documentale, per cui oltre a violare predetta norma, ha violato altresì il principio del contraddittorio, con il quale il ricorrente avrebbe potuto fornire i chiarimenti e i documenti necessari”.

Con l’atto di appello l’Agenzia delle entrate aveva censurato il capo della sentenza della CTP affermando “la sentenza in esame appare inoltre censurabile sotto il profilo della violazione ed errata interpretazione delle disposizioni contenute nella cit. L. n. 212, art. 12, comma 4…. i giudici di prime cure hanno ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 12 cit. che si riferisce ai diritti e garanzie del contribuente sottoposto a garanzie fiscali”.

La censura, dunque, ha investito il presupposto di fatto, ossia l’applicabilità della disposizione a presidio del diritto vantato dalla contribuente, sottostante alla dedotta violazione del principio del contraddittorio, impedendo il formarsi di un giudicato interno, sicchè non sussiste il lamentato vizio.

6. Con il secondo motivo la contribuente denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, L. n. 212 del 2000, art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3 – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, per non aver la CTR ritenuti affetti da vizio motivazione gli atti di accertamento, atteso che l’Ufficio, pur avendo evidenziato irregolarità nelle scritture contabili, aveva operato immotivatamente un accertamento analitico del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1.

6.1. Con il terzo motivo la contribuente denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, per aver ritenuto la CTR legittimi gli atti di accertamento sulla base di una metodologia analitica in assenza dei presupposti di legge.

6.2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

L’obbligo di motivazione dell’atto impositivo persegue il fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa in modo da poter valutare sia l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an ed il quantum debeatur, sicchè tali elementi conoscitivi devono essere forniti all’interessato, non solo tempestivamente, tramite l’inserimento ab origine nel provvedimento, ma anche con quel grado di determinatezza ed intelligibilità idonei a consentire un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa (Cass. n. 7056 del 2014, Rv. 630415).

La CTR, invero, ha rilevato che “gli atti di accertamento sono stati legittimamente emessi, per la presenza dei presupposti e sono adeguatamente motivati, in quanto consentono di verificare l’iter logico-giuridico seguito dall’ufficio su cui poggia la pretesa fiscale, garantendo il diritto di difesa, dalle argomentazioni proposte dalla contribuente” ed “emerge, inconfutabilmente, che la finalità è stata raggiunta”. Tale motivazione, peraltro, non è apodittica ma è stata specificamente corroborata dalla CTR con l’indicazione degli specifici elementi individuati nell’accertamento, ossia per aver l’Ufficio, tra l’altro, rilevato: 1) gravi irregolarità formali e sostanziali (in particolare, la mancata sottoscrizione e irregolarità nella redazione del libro degli inventari; difformità tra i valori dei beni e altri elementi del bilancio; spese di costruzione del fabbricato, non documentate) evidenzianti l’inattendibilità della contabilità; 2) la capitalizzazione di fatture d’acquisto del tutto generiche e non regolarizzate; 3) imputazione del costo del personale dipendente ad incremento del costo dei fabbricati.

Si tratta, invero, di presupposti che fondano un accertamento ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. c) e lett. d), sicchè non si assiste ad un inammissibile, giudizio ex post della sufficienza della motivazione, in base alla difesa comunque svolta in concreto dal contribuente, quanto, invece, ad un giudizio ex ante argomentato sulla rispondenza degli elementi enunciati nella motivazione a consentire ex se l’esercizio effettivo del diritto di difesa.

Quanto al rilievo che la rettifica del reddito sia stata operata con accertamento analitico ai sensi dell’art. 39 cit., comma 1, nonostante la presenza di irregolarità contabili che avrebbero richiesto un accertamento ai sensi del successivo comma 2, va rilevato che, per consolidata giurisprudenza, il discrimine tra l’accertamento condotto con metodo analitico extracontabile e quello condotto con metodo induttivo “sta, rispettivamente, nella parziale o assoluta inattendibilità dei dati risultanti dalle scritture contabili, laddove nel metodo induttivo le omissioni o le false ed inesatte indicazioni risultano tali da inficiare l’attendibilità e dunque l’utilizzabilità, ai fini dell’accertamento, anche degli altri dati contabili, apparentemente regolari”.

L’eventuale errore qualificatorio sul tipo di accertamento, peraltro, non rileva ex se come violazione di legge, potendo, eventualmente, refluire in un errore sull’attività processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, o in un errore sulla selezione e valutazione del materiale probatorio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, fermo restando che la scelta di un tipo o l’altro di accertamento (ed anche la sua modifica di prospettazione nel corso del giudizio) non è significativa ove non mutino i presupposti di fatto su cui poggiano le due valutazioni e purchè – come nella specie risulta dall’avviso di accertamento riprodotto nel ricorso – siano stati messi in campo fin dall’accertamento originario gli elementi presuntivi attraverso cui sia possibile individuare induttivamente un reddito imponibile diverso rispetto a quello dichiarato (v. Cass. n. 24278 del 2014, Rv. 633556; Cass. n. 19477 del 2016, Rv. 641100).

7. Con il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 4 – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1 – per aver escluso l’illegittimità degli avvisi di accertamento pur se emessi senza la redazione del processo verbale.

7.1. Il motivo è infondato.

Con riguardo ai tributi interni, IRPEF e IRAP, la norma si riferisce agli accertamenti eseguiti mediante accesso ai locali dell’azienda, mentre, nella specie, l’indagine è avvenuta nei locali dell’Amministrazione a seguito di esame della documentazione e delle risposte inviate dalla parte a seguito di inoltro di questionario (cd. indagine “a tavolino”).

Quanto all’accertamento ai fini IVA, tributo armonizzato oggetto di diretta applicazione del diritto dell’Unione europea, la violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione finanziaria comporta la nullità dell’atto purchè il contribuente, in giudizio, “assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto” (Sez. U, n. 24823 del 2015, Rv. 637604 e 637605), onere che, nella specie, non è stato assolto.

8. Con il quinto motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1 – per aver la CTR ritenuto l’inammissibilità della documentazione prodotta solo in giudizio e non esibita in sede di questionario e per non aver considerato l’assenza di una specifica richiesta dell’Amministrazione finanziaria, che si era limitata a richiedere “ogni altra documentazione utile al controllo”, e, comunque, per l’insussistenza di una volontà del contribuente di rifiutare od occultare la documentazione.

8.1. Con il settimo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1 – per non aver la CTR posto a fondamento della decisione la documentazione prodotta in giudizio.

8.2. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

La società, invero, non ha integralmente adempiuto alla richiesta dell’Amministrazione finanziaria, la cui enunciazione (“ogni altra documentazione utile al controllo”) era, peraltro, sicuramente generica ancorchè con un evidente valore di clausola finale a favore della parte contribuente (sulla necessità che l’invito sia puntuale e specifico v. Cass. n. 11765 del 2014, Rv. 630992).

La CTR, tuttavia, in disparte l’asserita inutilizzabilità, ha comunque proceduto ad una valutazione della documentazione prodotta dalla contribuente, giudicandola inidonea a contrastare l’accertamento, trattandosi “di semplici fotocopie, prive degli elementi necessari volti ad attestare le certezza della data di stipula e l’autenticità delle firme, pertanto inidonee ad assolvere l’onere della prova”, sicchè, in coerenza con il principio secondo il quale “in materia di ricorso per cassazione la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre” (Cass. n. 11892 del 2016, Rv. 640192), la doglianza è infondata.

9. Con il sesto motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, lett. b) – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1 – per aver ritenuto obbligo della società di integrare, con l’identificazione dell’atto negoziale sottostante e dei dati di fatto rilevanti, le fatture a contenuto generico ricevute.

9.1. Il motivo è infondato.

Il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, lett. b), pone a carico del cessionario che abbia ricevuto una fattura irregolare l’obbligo sanzionato in via amministrativa – di presentare, entro trenta giorni dalla registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare, che, giusta il rinvio al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, deve contenere tutte le indicazioni normalmente previste per le fatture.

il controllo richiesto al cessionario/committente, dunque, è intrinseco al documento, in quanto correlato alla “regolarità formale” della fattura, ossia alla verifica dei requisiti essenziali individuati nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, tra cui i dati relativi alla natura, qualità, quantità dei beni e servizi, l’ammontare del corrispettivo, l’aliquota, l’ammontare della imposta e dell’imponibile così da permettere l’identificazione dell’atto negoziale e dei dati fiscalmente rilevanti, senza esigere, peraltro, il controllo sostanziale della corretta qualificazione fiscale dell’operazione (v. Cass. n. 26183 del 2014).

10. Con l’ottavo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1 – per non aver la CTR rideterminato sulla base di parametri induttivi il carico tributario.

10.1. Il motivo è inammissibile.

La CTR ha ritenuto la fondatezza dell’accertamento operato, condividendo l’esito e la determinazione del maggior ricavo da parte dell’Ufficio. La contribuente, in realtà, mira solo a contestare la valutazione così operata ed il percorso argomentativo, in vista di una nuova autonoma valutazione dei fatti e delle risultanze di causa da parte della Corte, in sè inammissibile.

12. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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