Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24729 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2020, (ud. 28/01/2020, dep. 05/11/2020), n.24729

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13680-2012 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA A. GRAMSCI 14,

presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA GIGLIO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO LEONE, giusta procura in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE GENERALE, in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 140/2011 della COMM. TRIB. REG. della

Lombardia, depositata il 28/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2020 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione dei motivi terzo e quinto;

udito per il ricorrente l’Avvocato FEDEGRETTI per delega

dell’Avvocato LEONE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. C.L. (di seguito, il ricorrente o il contribuente) propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria, contro la sentenza resa dalla CTR della Lombardia n. 140/19/11, depositata il 28 novembre 2011, che aveva rigettato l’appello dallo stesso proposto nei confronti della sentenza della CTP di Milano, con la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso la cartella di pagamento relativa al credito di Euro 477.483,29 dell’autorità fiscale portoghese, emessa su richiesta dello Stato estero ai sensi della direttiva 76/308/CE, art. 6, in materia di cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione Europea per il recupero di crediti tributari.

2. All’esito dello scrutinio dei motivi di impugnazione, la CTR riteneva che:

– le doglianze mosse dal ricorrente relativamente alla illegittimità della procedura (mancata trasmissione del titolo esecutivo e illegittima formazione dei ruoli) investivano l’operato dell’autorità portoghese e non quello dell’amministrazione italiana che, su sua richiesta, gli aveva consegnato copia dell’intero fascicolo trasmesso dal Portogallo;

– riguardando le contestazioni il fondamento della pretesa tributaria del fisco portoghese, esse non attenevano alla cartella di pagamento impugnata;

– per completezza, la CTR rilevava che: a) la cartella conteneva tutti gli elementi necessari per consentire al ricorrente di acquisire le informazioni sul fondamento giuridico della pretesa tributaria e riportava gli elementi che devono essere contenuti nel ruolo; b) il contribuente non aveva contestato in Portogallo il credito, nè l’esecuzione delle procedure di recupero; c) la mancata allegazione dell’originale o di copia conforme del titolo esecutivo emesso in Portogallo concerneva i rapporti tra gli Stati e non comportava la nullità dell’atto;

– erano inammissibili, perchè proposte per la prima volta in sede di gravame, le denunce relative alla violazione del D.M. n. 179 del 2005, art. 9 e dell’art. 123 c.p.c.: in ogni caso, quanto alla prima, osservava che si trattava di norma abrogata; quanto alla seconda, che l’uso della lingua italiana era previsto per gli atti processuali e non per i documenti di causa.

3. L’agenzia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è titolato ” Art. 360 c.p.c., n. 1: motivi attinenti alla giurisdizione; violazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 2; questione di legittimità costituzionale “. Con richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 760/2006, si argomenta che rientrava nella competenza del giudice italiano la questione relativa alla legittimità della procedura di formazione dei ruoli, così che la mancata allegazione e/o notificazione del titolo esecutivo comportava la mancanza di motivazione dei ruoli, nonchè la mancanza dei presupposti per l’emissione, con l’ulteriore conseguenza della nullità o annullabilità dei ruoli; la contraria opinione, si osserva, comporterebbe la violazione del “diritto di difesa e del corrispondente diritto di azione in giudizio, solennemente sanciti dagli artt. 24 e 113 Cost.”. L’interpretazione delle norme da parte della CTR si poneva, quindi, in contrasto con gli artt. 23,24,97 e 113 Cost..

2. Il secondo motivo di ricorso è titolato “Art. 360 c.p.c., n. 3: falsa applicazione/violazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 19”: si richiamano, sotto il profilo della violazione di legge, le argomentazioni esposte al punto precedente.

I due motivi, che possono essere esaminati unitariamente perchè sovrapponibili, sono infondati.

Il riparto di giurisdizione trova la sua fonte nella Direttiva 2008/55/CE, art. 12 (di seguito, la Direttiva) il cui comma 1, quando le contestazioni sono relative al credito o al titolo esecutivo, prevede la competenza dello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente, mentre, quella dello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita, scatta quando la contestazione riguarda i provvedimenti esecutivi.

Nello stesso senso si sono espresse le Sezioni unite in fattispecie analoga la cui massima ufficiale, utilizzabile anche nel presente giudizio, così si esprime “In tema di rapporti tra la giurisdizione italiana e quella tedesca in materia tributaria, la Convenzione tra Italia e Germania sull’assistenza giudiziaria in materia tributaria, approvata con R.D.L. 9 settembre 1938, n. 1676, – dettando un criterio successivamente recepito dal D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 69, art. 6, di attuazione della direttiva comunitaria 2001/44/CE, relativa tra l’altro al recupero di crediti connessi ai dazi doganali, all’IVA ed a talune accise – riserva alle autorità tedesche il compito di accertare la sussistenza dei crediti per imposte dovute in Germania, e quindi anche quello di pronunciarsi in ordine all’eventuale prescrizione del debito stesso; qualora peraltro, ai sensi dell’art. 10 della Convenzione, l’autorità tedesca si avvalga della facoltà di rivolgersi a quella italiana per la riscossione dell’imposta, l’autorità italiana deve procedere in conformità alla legge italiana, e quindi mediante la notificazione della cartella esattoriale, la cui impugnazione, trattandosi di un atto emesso da un’autorità italiana e regolato dalla legge italiana, deve aver luogo dinanzi al giudice italiano; poichè in tal caso, pur essendo sorta all’estero, l’obbligazione è riconosciuta e recepita dalla nostra legge come obbligo tributario, e come tale è gestita dall’autorità italiana, la relativa controversia è devoluta al giudice ordinario, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, come sostituito dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, soltanto ove abbia ad oggetto gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento, restando altrimenti attribuita alla giurisdizione tributaria (Sez. U., n. 76/2006), nonchè la giurisprudenza successiva (Sez. U, n. 118189/2008, Rv. 603935 – 01). La CTR si è adeguata ai suesposti principi e ha fatto corretta applicazione della norma.

Insussistente appare l’illegittimità costituzionale denunciata in quanto la Direttiva esplica i suoi effetti nell’ambito dell’ordinamento nazionale e appresta una adeguata tutela del diritto di difesa del contribuente.

3. Il terzo motivo di ricorso è titolato “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione di legge, con riferimento al combinato disposto del D.Lgs. n. 69 del 2003, artt. 4 e 5, del D.M. 22 luglio 2005, n. 179, art. 9 (di attuazione del D.Lgs. n. 69 del 2003), della Direttiva 2008/55/CE, artt. 5 e 7 (già Direttiva 76/308/CE a sua volta modificata dalla Direttiva 2001/44/CE), della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 7, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 123 c.p.c.”.

3.1. In relazione alla violazione del D.Lgs. n. 69 del 2003, artt. 4 e 5, del D.M. 22 luglio 2005, n. 179, art. 9, della Direttiva 2008/55/CE, artt. 5 e 7, si sostiene la illegittimità della iscrizione a ruolo posta in essere senza che la richiesta di recupero del credito dell’autorità portoghese fosse stata accompagnata dalla trasmissione del titolo esecutivo, in copia conforme e con traduzione in italiano, nonchè senza la prova della notifica del titolo esecutivo; si contesta che la CTR abbia dichiarato inammissibili le censure relative alle violazioni dell’art. 123 c.p.c. e del D.M. n. cit., art. 9, quest’ultima concernendo soltanto una precisazione non preclusa in appello.

3.2. In relazione alla violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 7; del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, del D.L. n. 321 del 1999, art. 1, comma 1, Lett. f), si afferma che l’amministrazione avrebbe dovuto preliminarmente verificare la correttezza formale della richiesta formulata dall’autorità portoghese: non solo l’amministrazione non aveva notificato gli atti costituenti il presupposto della cartella di pagamento, ma non li aveva resi nemmeno disponibili al contribuente così inducendo ad escludere la loro esistenza; la mancata indicazione dell’anno di imposta rendeva nullo il ruolo.

3.3. La complessa censura è infondata in tutte le sue deduzioni. La CTR ha correttamente valutato che nessuna norma impone che, a pena di nullità, alla cartella di pagamento sia allegato il titolo esecutivo. Sia la “Direttiva 2008/55/Ce del Consiglio del 26 maggio 2008 sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi, dazi, imposte ed altre misure” (che “A fini di razionalità e chiarezza” ha proceduto alla codificazione della direttiva 76/308/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1976, modificata in modo sostanziale a più riprese), sia la L. n. 69 del 2003, applicabile al recupero delle imposte sui redditi e ai dazi (art. 1, comma 2) nella parte in cui appresta un’assistenza più ampia (Direttiva, art. 23), prevedono che la domanda di recupero del credito, contenente le indicazioni previste dal comma 3, deve essere “accompagnata” da un esemplare ufficiale o da una copia certificata conforme del titolo esecutivo (Direttiva, art. 7) ovvero dall’originale o dalla copia conforme del titolo (L. n. 69, art. 5), ma non prevedono che il documento sia allegato alla cartella, in analogia con quanto previsto per il diritto interno giusto il principio enunciato nella Direttiva, art. 6.

Occorre sul punto considerare che il titolo esecutivo è atto prodromico all’emissione del provvedimento esecutivo da parte dello Stato membro. La Direttiva, art. 8, nel prevedere che “Il titolo esecutivo è riconosciuto direttamente e trattato automaticamente come uno strumento che consente l’esecuzione del credito dello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita” evidenzia come esso riguardi i rapporti tra Stati e non quelli con il contribuente, il quale trova la sua tutela nella possibilità a) di contestare il credito nello Stato membro, dal momento che l’azione di recupero è possibile a condizione che il credito non sia contestato (Direttiva, art. 7, comma 2, lett. a), “se il credito o il titolo esecutivo non sono contestati nello Stato membro in cui ha sede”), b) di proporre autonoma contestazione ai sensi della Direttiva, art. 12, comma 2, innanzi all’organo competente dello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente, in conformità delle norme di legge vigenti in quest’ultimo.

Perspicuamente, la CTR ha sottolineato che “il contribuente non ha sostenuto di avere contestato il credito de quo in Portogallo; nè ha contestato l’affermazione delle Autorità Portoghesi e dell’Agenzia delle Entrate circa l’avvenuto avvio delle procedure di recupero nei confronti della società portoghese ” C. & O. LDA”/; e che la cartella conteneva tutti gli elementi necessari per consentire al ricorrente di acquisire le informazioni sul fondamento giuridico della pretesa tributaria e riportava gli elementi che devono essere contenuti nel ruolo.

La mancata contestazione del credito da parte del contribuente consente di riconoscere carattere formale e non sostanziale alla mancata “allegazione” del titolo esecutivo.

3.4. In merito alla violazione del D.M., art. 9, si tratta di norma che non trova applicazione nella controversia, che è interamente disciplinata dalla Direttiva.

3.5. La violazione dell’obbligo di traduzione infine non sussiste atteso che la regola – art. 122 c.p.c. – che impone l’uso della lingua italiana nel processo civile è sancita per i soli atti processuali in senso stretto (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 marzo 2013, n. 6093, Rv. 625480-01; Cass. Sez. 1, sent. 16 giugno 2011, n. 13249, Rv. 619248-01). Nel processo tributario, come in quello civile, la lingua italiana è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non anche per i documenti prodotti dalle parti, relativamente ai quali il giudice ha, pertanto, la facoltà, e non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore ex art. 123 c.p.c., di cui si può fare a meno allorchè non vi siano contestazioni sul contenuto del documento o sulla traduzione giurata allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, mentre, al di fuori di queste ipotesi, è necessario procedere alla nomina di un traduttore, non potendosi ritenere non acquisiti i documenti prodotti in lingua straniera. (Sez. 5, Sentenza n. 12525 del 17/06/2015, Rv. 635748 – 01). Nè il ricorrente al di là della doglianza formale indica quale concreto pregiudizio abbia subito.

3.6. Quanto (pag. 15, punto 3.3.) alla violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 123 c.p.c., dell’art. 2462 c.c.: o eventualmente, ex art. 360 c.p.c. n. 4, si afferma che: – l’agenzia aveva omesso di dimostrare la legittimità della formazione dei ruoli impugnati, sia quanto alla notifica degli atti prodromici sia relativamente all’escussione del credito in Portogallo nei confronti della società; – la documentazione menzionata nella richiesta dell’autorità portoghese non era stata prodotta; – l’obbligo di traduzione della documentazione straniera rilevava d’ufficio; – la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 123 c.p.c. costituiva anche error in procedendo.

La doglianza è infondata. La CTR ha preso in esame le questioni dedotte ed ha valutato correttamente che le doglianze dovevano essere mosse dinanzi alle autorità amministrative e giurisdizionali portoghesi. Ha inoltre affermato che la cartella di pagamento consentiva al ricorrente di riconoscere l’origine dei crediti vantati dal Portogallo e conteneva tutti i dati necessari per acquisire informazioni. Infine, che essa conteneva tutti gli elementi previsti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 12, comma 3, come modificato dalla L. n. 212 del 2000.

4. Il quarto motivo di ricorso è rubricato “Art. 360 c.p.c., n. 3: falsa applicazione della Direttiva 2008/55CE del 26/5/2008, art. 12″. Sì contesta l’assunto della CTR circa la giurisdizione del giudice portoghese che avrebbe dovuto essere coordinato con la sentenza delle Sezioni unite citata, e si afferma che non vi era azione giudiziaria esperibile nello stato estero. La censura è infondata nei termini esposti al precedente par. 1 e 2, in quanto la CTR ha applicato correttamente la Direttiva, art. 12.

5. Il quinto motivo di ricorso è rubricato ” Art. 360 c.p.c., n. 5: omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio: mancata allegazione del titolo esecutivo straniero, in copia conforme o in originale ” e censura l’affermazione della CTR secondo cui gli adempimenti che si assumono omessi riguardavano i rapporti tra gli Stati; si contesta, nuovamente, l’affermazione dell’ufficio secondo cui in primo grado era stata allegata la copia autentica del titolo esecutivo emesso dall’autorità portoghese atteso che il documento prodotto riguardava una mera richiesta amministrativa rivolta all’autorità italiana per il recupero del credito.

Il motivo è infondato nei termini già esposti. La CTR ha reso una corretta motivazione in quanto l’allegazione del titolo riguarda il rapporto con lo Stato, e non è prevista a pena di nullità, e non quello con il contribuente.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 10.000 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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