Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24727 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. II, 23/11/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 23/11/2011), n.24727

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3832/2006 proposto da:

S.M. C.F. (OMISSIS), D.C. VED.

S., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo

studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, rappresentate e

difese dall’avvocato AMADORI Massimo;

– ricorrenti –

contro

C.E. IN D. C.F. (OMISSIS), D.

M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA XX SETTEMBRE 15, presso lo studio dell’avvocato CIDDIO Francesco,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CASARI MARIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 363/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 11/10/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 20-7-1999 S.M. e D. C. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Trento – Sezione Distaccata di Cavalese – D.M. ed C. E. chiedendo dichiararsi lo scioglimento della comunione sui beni immobili di cui alle PP. TT. 417 e 274 in C.C. Daiano.

Le attrici, premesso di essere rispettivamente titolari della nuda proprietà e dell’usufrutto della quota indivisa di 1/5 dei beni immobili di cui alle suddette particene, mentre la proprietà dei restanti 4/5 spettava ai convenuti per la quota indivisa di 1/5 ciascuno, assumevano di aver inutilmente chiesto più volte ai predetti comproprietari di dividere gli immobili.

I convenuti costituendosi in giudizio deducevano che il complesso immobiliare oggetto di comunione tra le parti era costituito da un maso da sempre destinato all’attività agricola e, in particolare, all’attività zootecnica, dove si allevavano circa 30 capi di bestiame e che, avendo il fabbricato una struttura necessariamente unitaria, non era suscettibile di destinazioni diverse; sostenevano di avere pertanto interesse ad ottenere l’attribuzione dell’intera proprietà degli immobili e, conseguentemente, si dichiaravano disponibili al pagamento del giusto prezzo della quota di comproprietà spettante alle attrici.

Il Tribunale adito con sentenza del 12-2-2003 scioglieva la comunione esistente tra le parti attribuendo ai convenuti, per la quota indivisa di 1/2 ciascuno, la proprietà di tutti i predetti beni immobili, accertava e dichiarava i convenuti obbligati in solido al pagamento in favore delle attrici della somma pari ad 1/5 dell’equivalente in euro della somma di L. 159.448.392 oltre rivalutazione ed interessi legali, condannava i convenuti in solido al pagamento in favore delle attrici dell’equivalente in euro della somma di L. 4.935.200 oltre interessi legali, compensava tra le parti le spese di giudizio per la quota di 4/5 e condannava le attrici in solido al rimborso in favore dei convenuti della residua quota di 1/5 di esse.

Proposto gravame da parte di S.M. e di D.C. cui resistevano D.M. ed C.E., la Corte di Appello di Trento con sentenza dell’11-10-2005 ha rigettato l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza S.M. e D. C. hanno proposto un ricorso articolato in tre motivi cui D.M. ed C.E. hanno resistito con controricorso; te parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 194 c.p.c. e art. 90 disp. att. c.p.c. anche in relazione all’art. 101 c.p.c. e art. 24 Cost., nonchè vizio di motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di appello con il quale le esponenti avevano eccepito la nullità della CTU espletata nel primo grado di giudizio per avere il tecnico designato dal Tribunale eseguito il sopralluogo senza aver avvertito il consulente di parte attrice.

Le ricorrenti rilevano che, contrariamente all’assunto del giudice di appello, tale mancata comunicazione della data e dell’ora di svolgimento delle operazioni peritali si era risolta in una violazione del principio del contraddittorio ed in un pregiudizio del diritto di difesa delle attrici, posto che queste ultime non avevano potuto partecipare ad una attività del CTU che riguardava non solo la semplice descrizione dei luoghi, ma anche la valutazione sulla possibilità di divisione dell’immobile; nè tale violazione poteva ritenersi ininfluente per aver potuto il consulente di parte attrice esaminare la bozza di relazione fornitagli dal CTU prima del deposito, ciò essendo avvenuto soltanto l’11-12-2000, ovvero pochissimi giorni prima dell’udienza del 15-12-2000 nella quale lo stesso CTU aveva depositato il suo elaborato.

Le ricorrenti inoltre rilevano che la Corte territoriale ha omesso totalmente di esaminare le ulteriori eccezioni sollevate riguardanti il fatto che il CTU senza autorizzazione aveva richiesto chiarimenti ed acquisito documenti presso la sola parte convenuta tramite un tecnico non ritualmente nominato, e non aveva comunicato alle attrici gli scritti defensionali acquisiti dai convenuti.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata, esaminando il primo motivo di appello con il quale le appellanti avevano eccepito l’omessa comunicazione al loro consulente di parte della data di ripresa delle operazioni peritali dopo un primo incontro svoltosi nello studio del CTU C., avendo quest’ultimo omesso di comunicare telefonicamente al consulente di parte Ce. la data e l’ora del sopralluogo durante il quale egli aveva proceduto all’ispezione del complesso immobiliare oggetto del giudizio di divisione, ha osservato che tale omissione non aveva determinato nella fattispecie alcun pregiudizio del diritto di difesa in quanto il CTU in esito a tale sopralluogo aveva effettuato una descrizione dei luoghi ben noti alle parti, comunque mai contestata dalle stesse appellanti quanto a ubicazione e consistenza del fabbricato e alla sua destinazione ad allevamento del bestiame, ovvero agli elementi di fatto necessari per formulare un giudizio sulla possibilità di procedere alla divisione in natura del bene e sulla determinazione del suo valore; inoltre il CTU, oltre a fornire una valutazione di indivisibilità dell’immobile, aveva poi fornito al giudice tutti gli elementi di fatto per formulare il proprio giudizio sulla possibilità di dividere il fabbricato in due porzioni; infine il giudice di appello ha rilevato che il consulente delle appellanti aveva predisposto un progetto divisionale del quale era stata invocata l’applicazione, e che tale consulente, esaminata la bozza di relazione fornitagli dal CTU prima del deposito, aveva avuto la possibilità di formulare le proprie osservazioni alle quali il CTU aveva replicato.

Orbene è evidente, sulla base di tali rilievi, che l’omessa comunicazione da parte del CTU al consulente di parte delle attrici della data di ripresa delle operazioni peritali non ha determinato alcun concreto ed effettivo pregiudizio del diritto di difesa delle attuali ricorrenti, sia per la natura meramente ricognitiva dello stato dei luoghi dell’attività svolta dallo stesso CTU, sia perchè quest’ultimo aveva fornito tutti gli elementi di fatto anche in ordine alla possibilità di divisione del fabbricato per cui è causa in due porzioni, sia perchè comunque il consulente di parte aveva avuto modo di prendere visione della bozza del progetto divisionale, sia pure soltanto tre giorni prima dell’udienza nella quale il progetto stesso è stato poi depositato; invero le ricorrenti, nel ribadire la lesione del proprio diritto alla difesa, sostengono tale assunto sulla base del semplice rilievo della mancata partecipazione del proprio consulente di parte al sopralluogo disposto dal CTU, senza peraltro dedurre sotto quale specifico profilo tale circostanza abbia comportato, in relazione alle circostanze del caso concreto, un effettivo pregiudizio al diritto di difesa, posto che soltanto in tal caso l’inosservanza dell’obbligo di comunicare la data di prosieguo delle operazioni peritali può dar luogo a nullità della consulenza (Cass. 3-1-2003 n. 15; Cass. 2-3-2004 n. 4271), e si deve aggiungere che tale principio è rilevante per ritenere infondato anche l’ultimo profilo di censura come sopra enunciato.

Con il secondo motivo le ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.c. e art. 116 c.p.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, assumono che il giudice di appello si è limitato a confermare la non divisibilità del bene comune senza offrire nessuna argomentazione sulla proposta delle attrici che prevedeva l’attribuzione ad esse di una parte autonoma dell’edificio sita a piano terra costituita da camera, cucina e corridoio, lasciando ai convenuti tutto il resto dell’immobile; era quindi mancato un rigoroso esame sulla irrealizzabilità del frazionamento o sulla sua realizzabilità a prezzo di notevole deprezzamento o sulla impossibilità della formazione di unità suscettibili di autonomo e libero godimento.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha affermato che il fabbricato oggetto del giudizio di divisione era costituito da un maso destinato all’allevamento del bestiame, composto da stalla, legnaia, fienile, ripostigli ed una abitazione destinata al temporaneo ricovero delle persone adibite alla cura ed alla sorveglianza del bestiame, attività quest’ultima non certo sopprimibile in quanto funzionale rispetto a quella svolta nelle altre parti del maso; inoltre le caratteristiche di queste parti del maso non consentivano un loro adattamento ad alloggio senza l’esecuzione di consistenti e costosi lavori soggetti ad autorizzazione da parte dell’autorità comunale;

infine detti lavori presupponevano la sottrazione della abitazione alla sua destinazione in contrasto con lo strumento urbanistico che prevedeva, nella zona in cui sorgeva il maso, che gli edifici adibiti al servizio dell’agricoltura non potevano essere distolti dalla loro destinazione; di qui la logica conclusione che il fabbricato in esame rappresentava un’unica unità agricola produttiva che non poteva essere frazionata in due quote che mantenessero un valore proporzionale rispetto al valore dell’intero.

Contrariamente all’assunto delle ricorrenti, il giudice di appello ha pertanto analiticamente esaminato la possibilità di un frazionamento del suddetto maso, pervenendo ad escludere tale ipotesi sulla base di uno scrupoloso accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede.

Con il terzo motivo le ricorrenti, deducendo erronea e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., ed insufficiente e contraddittoria motivazione, assumono che erroneamente la Corte territoriale ha rigettato il motivo di appello relativo alla statuizione sulle spese del giudizio di primo grado, compensate per 4/5 e poste a carico delle attrici per il residuo 1/5.

Le ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata avrebbe dovuto distinguere tra le spese necessarie alla divisione, che avrebbero dovuto essere attribuite alla massa da dividersi secondo le rispettive quote di comproprietà, e le spese conseguenti ad una pretesa ingiustificata delle esponenti; orbene rispetto a tale ultimo punto nessuna spesa aggiuntiva poteva dirsi sostenuta, rispetto alle mere operazioni di divisione, fino al deposito della CTU, mentre l’attività difensiva successiva delle esponenti si era incentrata soprattutto sul problema processuale relativo alla perizia d’ufficio;

inoltre il giudice di appello ha ignorato completamente il principio della soccombenza relativamente alla condanna delle controparti al pagamento di una somma per l’occupazione di tutti i beni oggetto di divisione.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha ritenuto di dover condividere il convincimento del Tribunale che aveva compensato i 4/5 delle spese ed aveva posto a carico delle attrici il residuo 1/5 dal momento che costoro avevano sempre insistito per la divisibilità dell’immobile anche dopo il deposito della CTU. In proposito si osserva che, pur essendo indiscutibile che nei giudizi di divisione devono essere poste a carico della massa le spese necessarie allo svolgimento del giudizio nel comune interesse, valgono invece i principi generali sulla soccombenza per quelle spese che, secondo il prudente appezzamento del giudice di merito, siano conseguenza di eccessive pretese o di inutili resistenze, cioè dell’ingiustificato comportamento della parte (Cass. 13-2-2006 n. 3083); orbene nella specie, considerata l’insistenza delle attuali ricorrenti in ordine alla divisibilità o meno dell’immobile comune anche all’esito della CTU, e quindi la loro sostanziale soccombenza riguardo alla questione principale oggetto del giudizio, il giudice di appello ha correttamente ritenuto immune da censure la richiamata statuizione del Tribunale proprio per la preponderanza del giudizio di soccombenza sull’altro principio relativo alla ripartizione delle spese necessarie al giudizio di divisione; del pari la soccombenza sulla suddetta questione è stata ritenuta sia pure implicitamente prevalente sulla soccombenza del D. e della C. all’esito della loro condanna al pagamento di una somma per l’occupazione esclusiva dell’immobile comune, sulla base di un potere discrezionale del giudice di merito insindacabile in questa sede.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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