Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24725 del 08/10/2018

Cassazione civile sez. II, 08/10/2018, (ud. 17/05/2018, dep. 08/10/2018), n.24725

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29229-2014 proposto da:

T.A., rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO ALBITES

COEN;

– ricorrente –

contro

COMUNE MOCONESI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio

dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANDREA NICATORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Genova depositata il 31.10.2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/05/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con atto di citazione presso il Tribunale di Chiavari il comune di Moconesi ha convenuto in giudizio T.A. e R.L., chiedendo l’accertamento della titolarità di una servitù di uso pubblico veicolare su una strada sita in località (OMISSIS), la quale percorre alcuni terreni privati tra cui quelli di proprietà delle due convenute (rappresentati catastalmente dalle particelle (OMISSIS) del catasto terreni). Tale strada era stata realizzata nel 1974 su iniziativa di un comitato di cittadini della zona, il quale aveva richiesto al comune un contributo per la costruzione di un tratto stradale che collegasse la loro zona con la strada comunale (OMISSIS). Detto contributo era stato effettivamente erogato dal comune, a condizione della destinazione della strada stessa ad uso pubblico.

2. Si sono costituite in giudizio T.A. e R.L., contestando quanto ex adverso sostenuto e altresì eccependo che la strada in questione era congiunta alla strada comunale tramite un sentiero pedonale, non adibito al transito veicolare. In tal senso hanno chiesto il rigetto dell’avversa domanda in quanto l’interruzione del passaggio pubblico veicolare avrebbe determinato l’insussistenza di una servitù pubblica.

3. Il tribunale di Genova (a seguito della soppressione del tribunale di Chiavari) con sentenza depositata in data 31.10.2013 ha accolto la domanda di parte attrice, ritenendo integrati tutti i presupposti di fatto e di diritto per la costituzione di una servitù di uso pubblico per dicatio ad patriam.

4. Il gravame proposto dalla sola T.A. è stato dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c. dalla corte d’appello di Genova con ordinanza del 24.9.2014 comunicata il 1.10.2014.

5. Per la cassazione della sentenza del tribunale ha proposto ricorso T.A. sulla base di un motivo. Ha resistito il comune di Moconesi con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 825 c.c., per avere il giudicante ritenuto possibile la costituzione di un diritto reale di passaggio pubblico veicolare su strada privata per l’utilità di una strada pubblica veicolare e di un sentiero pedonale, dal momento che, quest’ultima, per essere gravata di un diritto di uso pubblico veicolare, dovrebbe essere inserita nella rete delle strade pubbliche veicolari e collegare due strade aperte al transito pubblico. Nell’ambito del motivo, T.A. si sofferma su statuizioni anche della corte d’appello, nella dichiarata consapevolezza della loro non vincolatività, per essere impugnata la sentenza del tribunale che regge la fattispecie.

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. Dopo alcune argomentazioni di natura giuridica (relative al se l’art. 825 c.c. consenta che una servitù di uso pubblico asseritamente solo veicolare sia funzionale a collegamento tra strade pubbliche veicolari che si avvalga, oltre che di un tratto veicolare asservito, anche di un sentiero solo pedonale pure asservito), il motivo si diffonde in valutazioni circa le risultanze probatorie (p. 12 e 13). Le asserzioni risultano tese a far emergere che il tracciato di cui trattasi effettivamente sia suddiviso nei due tratti anzidetti, richiamando che la corte d’appello (alla cui decisione si dà valore integrativo rispetto alla sentenza impugnata) avrebbe ritenuto possibile la servitù di passo carraio con intermezzo pedonale.

2.2. Il motivo, inammissibilmente, pur essendo formulato in termini di violazione di legge, non richiama espressamente quali passaggi della sentenza del tribunale di Genova – unica statuizione rilevante ai fini in questione – siano in contrasto con l’art. 825 c.p.c.. Del resto, dall’esame della sentenza del tribunale risulta addirittura che la servitù in questione sia “pedonale e veicolare” (p. 3), senza che in alcun modo si distingua tra i tratti ipotizzati dalla ricorrente. Emerge, dunque, con chiarezza che, sotto la veste di una censura di violazione di legge, la ricorrente intende sottoporre alla corte di legittimità, inammissibilmente, una questione in fatto, relativa al se un tratto del percorso non sia carrabile (ciò che, come detto, non consta dalla sentenza impugnata e su cui, del resto, con chiarezza la ricorrente chiede un accertamento in fatto – cfr. p. 14 del ricorso).

2.3. Pacifico dunque essendo che nessuna violazione di legge appare correttamente dedotta, giova richiamare che la doglianza avrebbe potuto porsi come omesso esame di un fatto storico, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1. Si comprende però chè ciò non sia stato possibile, atteso che con l’art. 348-ter c.p.c., commi 4 e 5, si è introdotta una nuova previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, escludendosi che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, e applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) la sentenza di primo grado, l’appello avverso la quale sia dichiarato inammissibile con ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., se la decisione del giudice dell’impugnazione di inammissibilità o di rigetto sia “fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di,fatto, poste a base della decisione” di primo grado. Ratione temporis tale disposizione si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello – come quello in esame – introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11 settembre 2012. Ne deriva che, in base alla novellata formula dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizi su valutazioni fattuali, in caso di doppia conforme, non sono più deducibili in cassazione.

3. In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

PQM

la corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione a favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 2.800 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 2.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2018

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