Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24724 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. II, 03/10/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 03/10/2019), n.24724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 23020 – 2015 R.G. proposto da:

B.I., – c.f. (OMISSIS) – (figlio ed erede universale di

Ba.An.), elettivamente domiciliato in Roma, alla via dei Due

Macelli, n. 60, presso lo studio dell’avvocato Gabriele Bordoni che

lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

PAVIRANI s.r.l., – c.f./p.i.v.a. (OMISSIS) – in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla

via Taranto, n. 21, presso lo studio dell’avvocato Francesco Tropepi

che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Marco Dori e

all’avvocato Cristiana Senin la rappresenta e difende in virtù di

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e

VELA s.p.a. in liquidazione e concordato preventivo, – p.i.v.a.

(OMISSIS) – (quale incorporante la “Fornaciai” s.p.a.), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, alla via Paolo Emilio, n. 7, presso lo studio dell’avvocato

Fabrizio Piattelli che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato

Alberto Tognini la rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della corte d’appello di Bologna n. 2187/2014;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 10

aprile 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e per il rigetto dei ricorsi incidentali;

udito l’avvocato Alessia Panella, per delega dell’avvocato Gabriele

Bordoni, per il ricorrente principale;

udito l’avvocato Cristiana Senin per la controricorrente “Pavirani”

s.r.l..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto in data 3.4.2003 Ba.An., proprietaria di taluni fabbricati, con circostante terreno, in (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al tribunale di Bologna la “Fornaciai” s.p.a. (ora “Vela” s.p.a.) e la “Pavirani” s.r.l..

Esponeva che al di sotto della sua proprietà era ubicata una galleria, costruita nel 1956, ove già correva una ferrovia decauville per il trasporto di argilla da fornace; che, al di sotto del piano di calpestio della galleria, erano collocati un tubo in acciaio per l’adduzione del gas metano, un cavo per l’alimentazione elettrica di media tensione, una condotta fognaria e un tubo scolmatore, al di sopra del piano di calpestio, tra l’altro, una polifora a cinque condotti, un tubo in PVC per acque bianche ed un tubo in PVC per acque nere.

Chiedeva – tra l’altro – accertarsi e dichiararsi che alcun diritto di servitù gravava sul complesso immobiliare di sua proprietà e condannarsi, conseguentemente, le convenute alla rimozione di qualsivoglia manufatto, conduttura o tubazione costruita o posata lungo il cunicolo ovvero al suo esterno; condannarsi le controparti al risarcimento dei danni sofferti.

Si costituiva la “Pavirani” s.r.l..

Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedeva accertarsi e darsi atto dell’intervenuto acquisto da parte sua per usucapione della piena proprietà del cunicolo nonchè della servitù di costruire e mantenere nel cunicolo sottostante la proprietà dell’attrice “le tubazioni per il passaggio della rete fognaria, di elettrodotto e di tutte le condutture ivi posizionate” (così controricorso “Pavirani”, pag. 4),

Si costituiva la “Vela” s.p.a. (quale incorporante la “Fornaciai”s.p.a.).

Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedeva accertarsi e darsi atto dell’intervenuto acquisto da parte sua per usucapione della medesima servitù.

Assunte le prove orali, espletata c.t.u., con sentenza n. 2838/2007 l’adito tribunale, in accoglimento delle domande attoree, dichiarava l’insussistenza di qualsivoglia servitù a carico del complesso immobiliare di spettanza dell’attrice e condannava le convenute alla rimozione di qualsivoglia manufatto collocato all’interno del cunicolo nonchè al risarcimento del danno – liquidato in Euro 40.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi – cagionato alla Ba..

Proponeva appello la “Vela” s.p.a.

Proponeva separato appello la “Pavirani” s.r.l..

Riuniti i gravami, si costituiva Ba.An..

Con sentenza n. 2187/2014 la corte d’appello di Bologna, in parziale accoglimento degli esperiti gravami ed in parziale riforma della gravata sentenza, in ogni altra parte confermata, rigettava la domanda risarcitoria formulata in prime cure dall’attrice e compensava le spese dell’intero giudizio.

Evidenziava la corte che l’esame del progetto della galleria valeva a smentire l’assunto di “Pavirani”, secondo cui il condotto di fognatura doveva intendersi ab origine integrante un’autonoma servitù di scarico, comprendente, allo stato, le condutture di scarico delle acque bianche e nere.

Evidenziava, in merito all’inesigibilità nei confronti di “Pavirani” dell’ordine di rimozione della polifora di asserita proprietà di “Enel Distribuzione” s.p.a., che la questione doveva reputarsi irrilevante.

Evidenziava che non era stata acquisita prova alcuna degli effetti dannosi correlati alla presenza della conduttura del gas, sicchè era da respingere la pretesa risarcitoria azionata in prime cure dalla Ba..

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso B.I. (figlio ed erede universale di Ba.An.); ne ha chiesto sulla scorta di un unico articolato motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

La “Pavirani” s.r.l. ha depositato controricorso, contenente ricorso incidentale articolato in tre motivi; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed, in accoglimento dell’esperito ricorso incidentale, cassarsi la sentenza della corte di Bologna con ogni susseguente statuizione.

La “Vela” s.p.a. (quale incorporante la “Fornaciai” s.p.a.) del pari ha depositato controricorso, contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed, in accoglimento dell’esperito ricorso incidentale, cassarsi la sentenza della corte di Bologna con ogni conseguente statuizione.

Il ricorrente ha depositato memoria.

La controricorrente “Vela” s.p.a. analogamente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 949,1027,1063,2043,2056 e 1223 c.c. e di ogni altra disposizione in materia di liquidazione equitativa del danno; il difetto di motivazione in ordine al rigetto della domanda risarcitoria ed alla compensazione delle spese legali.

Deduce in primo luogo che il danno correlato alla presenza delle condutture, che hanno creato illecito aggravio per il suo fondo, è in re ipsa, sicchè nessun onere aveva di provarne la sussistenza; che tale danno è da liquidare senz’altro in via equitativa.

Deduce in secondo luogo che l’actio negatoria servitutis esperita dalla sua dante causa ha senza dubbio rilievo prioritario rispetto alla pretesa risarcitoria, sicchè l’accoglimento della prima nonostante il rigetto della seconda avrebbe imposto la condanna delle controparti alle spese di lite.

Il ricorso principale va respinto.

In ordine al primo profilo di censura va premesso, in aderenza alle puntualizzazioni che lo stesso principale ricorrente ha operato, che il “riconoscimento del danno patrimoniale (…) mai (era stato) chiesto da Ba.An. (dante causa del ricorrente), la quale aveva chiesto la valutazione equitativa del danno eminentemente non patrimoniale subito” (così ricorso principale, pag. 10; si veda anche ricorso principale, pag. 9 e pag. 11, ove, rispettivamente, si specifica che “il Giudice di prime cure aveva ritenuto esistente proprio il danno non patrimoniale” e che “il danno (…) veniva quantificato in via equitativa stante la sua natura non patrimoniale”; si veda anche la memoria del ricorrente principale, pag. 6).

Su tale scorta si rimarca quanto segue.

Da un canto non può soccorrere l’insegnamento di questa Corte – siccome da correlare ad un danno di natura certamente patrimoniale – alla cui stregua la lesione del diritto di proprietà, conseguente all’esercizio abusivo di una servitù (nella specie delibata da questa Corte con la menzionata pronuncia, di veduta), è di per sè produttiva di un danno, il cui accertamento non richiede, pertanto, una specifica attività probatoria e per il cui risarcimento il giudice deve procedere ai sensi dell’art. 1226 c.c., adottando eventualmente, quale parametro di liquidazione equitativa, una percentuale del valore reddituale dell’immobile, la cui fruibilità sia stata temporaneamente ridotta (cfr. Cass. (ord.) 13.5.2019, n. 12630).

D’altro canto il danno non patrimoniale, costituendo pur sempre un danno – conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, non potendo mai considerarsi “in re ipsa” (cfr. Cass. 8.10.2007, n. 20987; Cass. (ord.) 9.11.2018, n. 28742, secondo cui il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cd. esistenziale, non può essere considerato “in re ipsa”, ma deve essere provato secondo la regola generale dell’art. 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto; ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico).

Negli enunciati termini, pur ad ammettere che la dante causa del ricorrente non aveva “subito un aggravamento del peso, ma la costituzione illegittima di un peso” (così ricorso principale, pag. 9), si rappresenta quanto segue.

Per un verso è innegabile che l’assunto del ricorrente secondo cui il danno è “in re ipsa”, non è coerente, non è in linea con la caratterizzazione del danno come non patrimoniale dallo stesso ricorrente operata.

Per altro verso, alla stregua dell’operata deduzione (il danno è “in re ipsa”, sicchè non abbisogna di prova), il ricorrente di fatto ha lasciato impregiudicata l’affermazione della corte di merito, secondo cui nessuna prova degli effetti dannosi asseritamente scaturiti dalla presenza della conduttura del gas era stata offerta. Affermazione che, al contempo, svela come del tutto ingiustificata la prospettazione secondo cui la pretesa risarcitoria sarebbe stata immotivatamente respinta.

In ordine al secondo profilo di censura si rappresenta quanto segue.

La regolazione delle spese di lite può avvenire – peraltro – alla stregua della reciproca parziale soccombenza, atta eventualmente a comportarne la compensazione totale o parziale (art. 92 c.p.c., comma 2). E reciproca soccombenza va ravvisata sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, tanto allorchè quest’ultima sia stata articolata in più capi, dei quali siano stati accolti solo alcuni, quanto nel caso in cui sia stata articolata in un unico capo e la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (cfr. Cass. 22.2.2016, n. 3438).

Evidentemente il rigetto della pretesa risarcitoria azionata dall’originaria attrice ha fatto sì che la sua domanda sia stata accolta solo in parte.

Cosicchè si è senz’altro al cospetto di un’ipotesi di soccombenza reciproca. Cosicchè appieno si legittima la compensazione integrale delle spese dell’intero giudizio.

Si badi che, in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, mentre qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in qual misura debba farsi luogo a compensazione (cfr. Cass. 3.3.1994, n. 2124).

Si badi in pari tempo che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass. 31.1.2014, n. 2149).

A nulla vale perciò addurre che “la Corte d’Appello ha accolto totalmente la domanda principale dell’attrice” (così ricorso principale, pag. 11).

Con il primo motivo la ricorrente incidentale “Pavirani” s.r.l. denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1043 c.c..

Deduce che ha errato la corte di merito a non riconoscere, con riferimento alla condotta fognaria ed a quella di scolmatura delle acque, la sussistenza di un’autonoma servitù di scarico a suo favore.

Con il secondo motivo la ricorrente incidentale “Pavirani” s.r.l. denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1061,1146,1158 e 1161 c.c..

Deduce che ha errato la corte territoriale a non riconoscere l’intervenuto acquisto, da parte sua, per usucapione della servitù di scarico.

Deduce segnatamente che, allorquando è divenuta proprietaria dei terreni in (OMISSIS), all’interno della galleria preesistevano, dal 1956, la condotta fognaria, dal 1970, la condotta di scolmatura delle acquee, da circa un ventennio le condotte del gas e dell’elettricità; che le condutture realizzate negli anni 2002/2003 si correlavano alle preesistenti condutture; che dunque, attesa la durata del suo possesso e del possesso dalla sua dante causa (“Edilfomaciaig, ha usucapito la servitù di scarico.

Deduce che ha errato la corte distrettuale a disconoscere il requisito dell’apparenza.

Il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale di “Pavirani” sono strettamente connessi; se ne giustifica perciò la disamina contestuale; ambedue i motivi comunque sono da respingere.

Si premette che la corte d’appello ha precisato che “non constano agli atti argomenti per sostenere l’avvenuta usucapione della proprietà della galleria nè censure all’appellata sentenza per non averla riconosciuta” (così sentenza d’appello, pag. 4).

Ebbene a siffatto passaggio motivazionale non si correla puntualmente l’assunto della “Pavirani”, specificamente veicolato dal secondo motivo, a tenor del quale la corte di merito avrebbe errato allorchè non ha riconosciuto l’intervenuto acquisto per usucapione della proprietà della galleria.

Si premette altresì che i motivi in esame si qualificano in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Invero con entrambi i mezzi di impugnazione la “Pavirani” sostanzialmente censura taluni pregnanti aspetti del giudizio “di fatto” cui la corte distrettuale ha atteso (“la condotta in questione, lungi dall’essere stata ab origine posta al servizio della ferrovia (OMISSIS), (…)”: così ricorso “Pavirani”, pag. 15; “è erronea la pronuncia della Corte d’Appello di Bologna relativa al mancato decorso dei termini di legge per il perfezionamento dell’usucapione”: così ricorso “Pavirani”, pag. 16). Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Su tale scorta gli asseriti vizi motivazionali che i motivi di ricorso veicolano, sono ben vero da vagliare nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Ed in quest’ottica si osserva quanto segue.

Da un canto è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” – tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte territoriale ha ancorato il suo dictum.

Difatti, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte emiliana ha – siccome si è in precedenza evidenziato – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare la corte bolognese ha chiarito che l’atto di sottomissione del 20.2.1956 deponeva nel senso che il condotto di fognatura costituisse un dispositivo al servizio della galleria; che, più esattamente, deponevano in tal senso “l’inserimento del canale tra i vari requisiti costruttivi cui doveva rispondere la galleria, nonchè la specifica caratteristica costruttiva che ne prevedeva il “necessario spurgo” attraverso due pozzetti collocati alle contrapposte estremità” (così sentenza d’appello, pag. 6).

Si badi che, alla stregua dell’operato disconoscimento della prefigurazione ab origine ed in via autonoma della servitù di scarico, la corte bolognese ha appieno confermato il dictum del primo giudice, che, in considerazione del letterale tenore della convenzione per notar P. del 26.5.1952, aveva a sua volta opinato nel senso che gli stipulanti avevano inteso “mantenere la servitù fino a che fossero in attività la cava e la fornace che ne veniva alimentata” (così sentenza d’appello, pag. 4) nonchè nel senso che l'”originario scarico (…) risultava coinvolto nel medesimo destino della ferrovia” (così sentenza d’appello, pag. 5).

In particolare, quanto all’asserito acquisto per usucapione della servitù di scarico, la corte bolognese ha appieno avallato il primo dictum, nella parte in cui l’aveva “esclusa considerando che la perdita dell’utilitas va fatta coincidere con lo smantellamento della linea di trasporto (OMISSIS), avvenuta nel 1989, sicchè non risulterebbe compiuto il termine prescrizionale di acquisizione di una diversa servitù” (così sentenza d’appello, pag. 6). Ed ha precisato che il c.t.u. non aveva concluso nel senso che i manufatti, alla cui stregua la “Pavirani” aveva assunto di aver usucapito la servitù, fossero coevi alla linea di trasporto (OMISSIS), poi smantellata nel 1989.

In particolare, quanto al requisito dell'”apparenza” (necessario ai fini dell’acquisto della servitù per usucapione: art. 1061 c.c.), la corte bolognese ha dato conto analiticamente delle circostanze che valevano ad escluderlo (cfr. sentenza d’appello, pag. 8: “a tal riguardo la Corte osserva (…)”).

D’altro canto, alla luce dei surriferiti rilievi, è innegabile che la corte emiliana ha sicuramente disaminato i fatti decisivi caratterizzanti, in partis quibus, la res litigiosa.

In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge, in partis quibus, il dictum del secondo giudice risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

D’altronde questa Corte spiega quanto segue.

Da un lato che il requisito dell’apparenza, che condiziona l’usucapibilità di una servitù, non consiste soltanto nell’esistenza di segni visibili e di opere permanenti, ma richiede, altresì, che queste ultime, come mezzo necessario all’esercizio della servitù medesima, siano in pari tempo un indice non equivoco del peso imposto al fondo servente, in modo da fondare la presunzione che il proprietario di questo ne sia a conoscenza (cfr. Cass. 18.4.1987, n. 3878).

In quest’ottica la corte emiliana ha chiarito che, siccome correttamente aveva ritenuto il primo giudice, era da escludere il requisito dell’apparenza in difetto di opere, all’esterno della galleria, di significato corrispondente a quello invocato.

Dall’altro che l’accertamento dell’apparenza della servitù, al fine di stabilire se questa possa essere acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, è una “quaestio facti” rimessa alla valutazione del giudice del merito e, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se sorretto (è il caso di specie) da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 5.3.1987, n. 2323).

Con il terzo motivo la ricorrente incidentale “Pavirani” s.r.l. denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto decisivo.

Deduce che la corte d’appello non ha considerato che due dei cinque tubi in PVC della polifora all’interno della galleria sono di proprietà di “Enel Distribuzione” s.p.a., soggetto estraneo al giudizio, e sono utilizzati per la conduzione di una linea elettrica di 15 kw.

Deduce quindi che l’ordine di rimozione è illegittimo, atteso che al riguardo non ha, al pari di “Vela” s.p.a., alcun potere d’intervento.

Con l’unico motivo la ricorrente incidentale “Vela” s.p.a. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 102 c.p.c.; l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Deduce le stesse circostanze addotte dalla “Pavirani” con il terzo motivo.

Il terzo motivo del ricorso incidentale di “Pavirani” e l’unico motivo del ricorso incidentale di “Vela” sono sovrapponibili; se ne impone l’esame simultaneo; entrambi i motivi in ogni caso sono da respingere.

E’ da escludere in primo luogo che “Vela” sia, a rigore, legittimata a dedurre la sussistenza di una servitù di elettrodotto in favore di “Enel Distribuzione” (cfr. controricorso “Vela” pag. 17) e a prospettare il diritto di “Enel Distribuzione” a mantenere le linee elettriche (cfr. controricorso “Vela” pag. 19).

E’ da rimarcare in secondo luogo che, nel caso di servitù le quali, pur avendo lo stesso contenuto, siano distinte perchè poste a servizio di fondi diversi, non è ravvisabile litisconsorzio necessario tra i loro titolari, rispetto all’actio negatoria esperita contro alcuno di essi dal proprietario del fondo servente, anche se questi domandi di essere autorizzato ad eseguire nel suo fondo opere che impediscano l’esercizio dell’attività comune alle diverse servitù (cfr. Cass. 18.2.1977, n. 726; ove si soggiunge che, nell’ipotesi, il giudicato ha efficacia soltanto tra coloro che hanno partecipato al giudizio, sicchè il proprietario del fondo servente non può avvalersene contro quei titolari che ne siano rimasti estranei).

Non si giustifica perciò la denuncia di violazione ovvero di falsa applicazione degli artt. 101 e 102 c.p.c..

E’ da sottolineare in terzo luogo che i mezzi di impugnazione in disamina non si correlano puntualmente alla ratio decidendi cui, in parte qua, è ancorato l’impugnato dictum.

La corte di merito ha difatti precisato – il che rende ingiustificata la denuncia di insufficiente e contraddittoria motivazione – che “nulla invece viene dimostrato quanto alla eventuale necessaria relazione della polifera (…) con l’attività di conduzione dell’energia elettrica” (così sentenza d’appello, pag. 8).

Dal canto loro le ricorrenti incidentali si sono limitate a prospettare, ad addurre, sic et simpliciter, che “i due condotti in parola sono utilizzati per la conduzione, in andata e ritorno, di una linea elettrica a 15 Kw di Enel Distribuzione s.p.a. che alimenta la cabina di trasformazione adiacente al parcheggio pubblico posto a Ovest della linea ferroviaria (OMISSIS)” (così ricorso incidentale “Pavirani”, pag. 19; cfr. analogamente ricorso incidentale “Vela”, pagg. 16 – 17).

E’ da ritenere in quarto luogo che la prospettazione della pacifica proprietà in capo ad “Enel Distribuzione” delle due linee elettriche (proprietà riscontrata, a giudizio di “Pavirani”, dal documento n. 7 dalla stessa s.r.l. allegato; cfr. al riguardo sentenza d’appello, pag. 8) non è in linea con le domande in via riconvenzionale esperite dalle ricorrenti incidentali e volte ad ottenere l’accertamento dell’intervenuto acquisito, per usucapione, della servitù “di costruire e mantenere nel cunicolo in questione le tubazioni per il passaggio della rete fognaria, di elettrodotto e di tutte le condutture ivi posizionate” (così, specificamente, controricorso di “Pavirani”, pag. 4; in senso analogo cfr. controricorso di “Vela”, pag. 7), quindi volte ad ottenere l’accertamento dell’intervenuto acquisito, per usucapione, della servitù pur relativamente alla polifera.

Il rigetto del ricorso principale e dei ricorsi incidentali giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità tra le parti tutte.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e da parte di ciascuna delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale di B.I.; rigetta il ricorso incidentale di “Pavirani” s.r.l.; rigetta il ricorso incidentale di “Vela” s.p.a.; compensa integralmente tra le parti tutte le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e da parte di ciascuna delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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