Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24722 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 05/11/2020), n.24722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. VENGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13919/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla Via

dei Portghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

M.R. e Equitalia Centro s.p.a.;

– intimate –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna, n. 113/15/2012, depositata l’11 dicembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 novembre

2019 dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello proposto da M.R. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Rimini, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla contribuente conto l’atto di pignoramento presso terzi emesso da Equitalia, conseguente agli avvisi di accertamento divenuti definitivi perchè non impugnati, con cui l’Agenzia delle entrate chiedeva il pagamento delle imposte dirette ed indirette relative agli anni 2001 e 2002. Il giudice di appello accoglieva il gravame della contribuente, in quanto questa aveva rinunciato alla cittadinanza italiana con dichiarazione del 14-3-2002 resa dinanzi all’ambasciatore d’Italia in S. Marino, come risultava dall’estratto dell’atto di nascita rilasciato dal Comune di Rimini in data 4-11-2009. Pertanto, la notifica degli atti impositivi in data 15-10-2005, successiva a tale evento, imponeva l’effettuazione della notifica secondo le modalità di cui all’art. 142 c.p.c., anche perchè l’atto di rinuncia alla cittadinanza italiana non era stata “minimamente contestato dall’Ufficio”. L’Agenzia, invece, aveva effettuato la notifica senza utilizzare il procedimento notificatorio di cui all’art. 142 c.p.c., sostenendone la non applicabilità essendo la M. “cittadina italiana”. Peraltro, la Corte costituzionale con sentenza 366/2007 aveva dichiarato l’illegittima costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. f, laddove escludeva l’applicabilità dell’art. 142 c.p.c. per la notifica degli atti dell’amministrazione finanziaria. La notifica eseguita, senza il rispetto delle disposizioni di cui all’art. 142 c.p.c., era inesistente, con conseguente nullità del successivo atto di pignoramento, in quanto non preceduto da valida notifica degli avvisi di accertamento.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Restano intimati la contribuente ed Equitalia Romagna s.p.a..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1 e dell’art. 615 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1”, in quanto la sentenza di secondo grado, come pure quella della Commissione provinciale non hanno pronunciato espressamente sull’eccezione pregiudiziale di rito, sollevata dalla Agenzia delle entrate, secondo cui il ricorso di primo grado doveva essere dichiarato inammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, avendo ad oggetto un atto di pignoramento presso terzi che non era ricorribile dinanzi al giudice tributario, rientrando nella giurisdizione del giudice tributario.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione dell’art. 617 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, in quanto, trattandosi di opposizione agli atti esecutivi, per vizi di notificazione del titolo esecutivo e del precetto, l’opposizione poteva essere presentata entro venti giorni decorrenti dal primo atto di esecuzione ai sensi dell’art. 617 c.p.c. dinanzi al giudice ordinario.

2.1. I due motivi, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.

I due motivi risultano inammissibili per difetto di autosufficienza, in quanto la ricorrente avrebbe dovuto dedurre che tali motivi, già proposti con il ricorso originario, rimasti assorbiti dopo la pronuncia della Commissione provinciale che aveva dichiarato inammissibile il ricorso della contribuente, erano stati però riproposti in sede di controdeduzioni nel giudizio di appello ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 e dell’art. 346 c.p.c..

Inoltre, sulla questione di giurisdizione si è formato il giudicato implicito, non risultando che le parti abbiano impugnato la sentenza del primo giudice per la questione di giurisdizione.

Per questa Corte (Cass., sez 5, 22 maggio 2019, n. 13750), infatti, il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicchè non può validamente prospettarsi l’insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all’esito del giudizio di secondo grado, perchè tale questione non dipende dall’esito della lite, ma da due invarianti primigenie, costituite dal “petitum” sostanziale della domanda e dal tipo di esercizio di potere giurisdizionale richiesto al giudice. Si è, quindi, ritenuto inammissibile il ricorso, in quanto non erano stati trascritti i motivi di appello con i quali era stata contestata la decisione di primo grado sotto il profilo della giurisdizione e non risultando, peraltro, dalla pronuncia impugnata le doglianze sollevate con il gravame.

Nel caso che ci riguarda, la ricorrente non ha riportato le eccezioni riproposte in sede di controdeduzioni nel grado di appello, nè dalla sentenza impugnata è possibile comprendere se l’Agenzia delle entrate abbia o meno riproposto la questione di giurisdizione, rimasta assorbita con la decisione di primo grado che ha dichiarato inammissibile il ricorso per non avere la contribuente impugnato in precedenza gli avvisi di accertamento e gli atti impositivi prodromici al pignoramento presso terzi.

Inoltre, le doglianze sono anche infondate nel merito.

Questa Corte, a sezioni unite, nel delimitare i confini della giurisdizione tributaria, ha, peraltro, affermato che solo con l’atto di pignoramento inizia l’esecuzione, con la conseguente giurisdizione del giudice ordinario. Tuttavia, l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento), è ammissibile e va proposta – ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1 e art. 19, del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57 e dell’art. 617 c.p.c. – davanti al giudice tributario, risolvendosi nell’impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario (Cass. sez. un., 5 giugno 2017, n. 13913; Cass., sez. un., 28 giugno 2918, n. 17126 che dichiara la giurisdizione del giudice tributario anche nel caso di opposizione riguardante l’atto di precetto che si assume violato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento di natura tributaria o degli altri atti presupposti). In questa decisione si sottolinea che il primo atto della esecuzione forzata è costituito proprio dall’atto di pignoramento, ai sensi dell’art. 491 c.p.c. (cfr. anche Cass., sez. un., 8618/2015 che traccia i confini tra la giurisdizione tributaria e quella ordinaria; Cass., sez. un., 14648/2017, ove si afferma che anche il sollecito di pagamento inviato al contribuente non rientra tra gli atti della esecuzione forzata, potendosi assimilare all’avviso di mora di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, comma 2, che è impugnabile dinanzi alle commissioni tributarie).

Anche la Corte costituzionale ha chiarito che la linea di demarcazione tra giurisdizione tributaria ed ordinaria è posta dalla cartella di pagamento e dall’eventuale successivo avviso d’intimazione ad adempiere, sicchè fino a questo limite la cognizione degli atti dell’amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario, mentre a valle la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell’esecuzione (Corte Cost., 31 maggio 2018, n. 114, che richiama proprio il precedente di legittimità suindicato Cass., sez. un., 13913/2017). Si ravvisa, dunque, nel primo atto della riscossione coattiva, quindi nell’atto di pignoramento, in mancanza di precedenti atti ritualmente notificati, quello recante l’esercizio della potestà impositiva, la cui contestazione radica una controversia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario ed onera il contribuente del ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, nel prescritto termine di decadenza. Pertanto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 57, comma 1, lett. a, limitatamente alla parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 50, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c., quindi, per le ipotesi in cui dopo l’inizio della esecuzione, con il pignoramento, emerga che è sopravvenuta una causa di estinzione del debito tributario, come per il caso della “rottamazione” delle cartelle di pagamento ai sensi del del D.L. n. 193 del 2016, ex art. 6.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, in quanto il giudice di appello, nel ritenere necessaria la modalità di notifica di cui all’art. 142 c.p.c., non ha tenuto conto del certificato dell’Ufficiale di Stato Civile della Repubblica di San Marino del 27-11-2008, costituito dall’estratto dell’atto di matrimonio, da cui emerge, da un lato, la separazione dal marito sanmarinese, omologata il 17-3-2005, e dall’altro, la doppia cittadinanza della M., in quanto in tale letto si legge che “gli sposi sono di cittadinanze diverse”.

Il giudice di appello si è, invece, soffermato solo sulle esame dell’estratto per riassunto dell’atto di nascita rilasciato dal Comune di Rimini in data 4-11-2009, recante un’annotazione a margine secondo cui la contribuente in data 14-32002, aveva reso dichiarazione di rinuncia alla cittadinanza italiana davanti all’ambasciatore d’Italia in San Marino.

3.1. Tale motivo è fondato.

3.2. L’art. 142 c.p.c. (notificazione a persona non residente, nè dimorante, nè domiciliata nella Repubblica) prevede che “salvo quanto disposto nel comma 2, se il destinatario non ha residenza, dimora o domicilio nello Stato e non vi ha eletto domicilio o costituito un procuratore a norma dell’art. 77. L’atto è notificato mediante spedizione al destinatario per pezzo della posta con raccomandata e mediante consegna di altra copia al pubblico ministero che ne cura la trasmissione al Ministero degli affari esteri per la consegna alla persona alla quale è diretta”.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, lett. f, prevede, poi, che “le disposizioni contenute negli artt. 142,143,146,150 e 151 c.p.c., non si applicano”.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 4, dispone ancora che “salvo quanto previsto dai commi precedenti e in alternativa a quanto stabilito dall’art. 142 c.p.c., la notificazione ai contribuenti non residenti è validamente effettuata mediante spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’indirizzo della residenza estera rilevato dai registri dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero o a quello della sede legale estera risultante dal registro delle imprese di cui all’art. 2188 c.c.”.

3.3. Per questa Corte, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la sentenza della Corte costituzionale n. 366 del 2007, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 58, commi 1 e 2, e art. 60, comma 1, lett. c), e) ed f), nella parte in cui escludono l’applicazione dell’art. 142 c.p.c. in caso di notificazione dell’avviso di accertamento a soggetti residenti all’estero, iscritti all’A.I.R.E., ha valenza retroattiva, determinando la nullità della notificazione eseguita in precedenza, senza che il rapporto giuridico possa ritenersi “esaurito” per il decorso dei termini per proporre ricorso contro l’atto di accertamento, impugnabile dal contribuente unitamente alla cartella di pagamento, facendo valere proprio il vizio della notifica dell’atto presupposto, come si desume dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, (Cass., sez. 5, 12 gennaio 2018, n. 618).

Si è anche affermato che, in tema di notifica degli atti impositivi a persona non residente, nè dimorante, nè domiciliata nella Repubblica, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 4, previsto per la notifica degli atti impositivi che accertano un maggior credito erariale, costituisce norma speciale rispetto all’art. 142 c.p.c., con la conseguenza che per il contribuente residente all’estero, in paese della UE o extra UE, la notifica & validamente effettuata anche mediante spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’indirizzo della residenza estera rilevato dai registri dell’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Cass., 22 agosto 2017, n. 20256).

Si è anche chiarito che, in tema di notificazione di atti giudiziari, in presenza di informazioni circa l’origine estera del destinatario, deve essere seguita la procedura di cui all’art. 142 c.p.c., concernente la notificazione “a persona non residente, nè dimorante, nè domiciliata nella Repubblica”, e non quella prevista dall’art. 143 c.p.c., non vertendosi in ipotesi di notificazione “a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti”. Pertanto, rientra nell’ordinaria diligenza esigibile da parte del notificante, quale espressione della lealtà processuale, un’attività di indagine coerente con le informazioni disponibili, da svolgersi, al fine di accertare la nuova residenza, mediante verifiche presso l’ufficio consolare di riferimento di cui alla L. n. 470 del 1988, art. 6, non essendo, al contrario, sufficiente la ricerca effettuata presso un ufficio anagrafico nazionale privo di qualsiasi correlazione soggettiva col destinatario straniero (Cass., sez. 2, 31 gennaio 2019, n. 2966).

Pertanto, in caso di residenza all’estero è possibile effettuare la notifica di un atto impositivo sia ai sensi dell’art. 142 c.p.c. sia, in via alternativa, mediante la notifica all’estero presso la residenza estera con lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Inoltre, si è ritenuto che, qualora un soggetto, residente all’estero, abbia domicilio in Italia, non trova applicazione diretta l’art. 139 c.p.c., che disciplina le notificazioni da eseguirsi a persone residenti, dimorate e domiciliate in Italia, ma, rivestendo le risultanze anagrafiche solo un valore presuntivo in relazione all’abituale effettiva dimora, accertabile con ogni mezzo anche contro tali risultanze, può ritenersi corretta, alla stregua di una interpretazione sistematica del menzionato articolo e dell’art. 142 c.p.c., nonchè del principio di effettività della notifica, la valorizzazione del suddetto domicilio quale collegamento rilevante del notificando con il luogo, sito in Italia, idoneo a far considerare valida la notifica ivi effettuatagli (Cass., 25 settembre 2013, n. 21896).

Inoltre, per questa Corte la notifica a mezzo del servizio postale, quando raggiunga lo scopo di portare a tempestiva conoscenza dell’atto il destinatario, senza violare il diritto di difesa ed al contraddittorio, può essere validamente eseguita presso la Repubblica di San Marino, in quanto la Convenzione dell’Aja, relativa alla notifica all’estero di atti giudiziari in materia civile e commerciale, adottata il 15 novembre 1965 e resa esecutiva in Italia con legge di ratifica n. 42 del 1981, che prevede espressamente la facoltà di ricorrere a tale modalità di notifica, è stata ratificata anche dalla Repubblica sanmarinese mediante un decreto del 26 febbraio 2002, a firma “Capitani reggenti”, mentre il successivo atto con cui la stessa ha dichiarato di opporsi alla possibilità di notifica diretta a mezzo posta non risulta essere stato adottato con legge, ma costituisce un atto meramente amministrativo – peraltro, privo di sottoscrizione – e, perciò, inidoneo a ridurre l’ambito applicativo della suindicata Convenzione (Cass., sez. 6-2, 29 gennaio 2019, n. 2482).

Nel caso in esame, però, la notifica è stata effettuata in Italia, senza l’utilizzo delle modalità di cui all’art. 142 c.p.c., sul presupposto che la contribuente avesse la doppia cittadinanza sia Italiana che della Repubblica di San Marino.

La Commissione regionale ha ritenuto sussistere la doppia cittadinanza in base ad “un estratto per riassunto dell’atto di nascita, rilasciato dal Comune di Rimini in data 4 novembre 2009, dal quale risulta, con annotazione a margine che la contribuente…in data 14.3.2002 ha reso dichiarazione di rinuncia alla cittadinanza italiana davanti all’ambasciatore d’Italia in S. Marino….”.

Il giudice di appello, però, non ha in alcun modo tenuto conto del certificato dell’Ufficiale di Stato Civile della Repubblica di San Marino del 27-11-2008, costituito dall’estratto dell’atto di matrimonio, da cui emerge, da un lato, la separazione dal marito sanmarinese, omologata il 17-3-2005, e dall’altro, la doppia cittadinanza della M., in quanto in tale letto si legge che “gli sposi sono di cittadinanze diverse”.

La sentenza è stata pubblicata l’11-12-2012, sicchè trova applicazione il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. 83/2012, in vigore per le sentenze pubblicate a decorrere dall’11-9-2012, sicchè correttamente è stato formulato come omesso esame di un fatto decisivo e controverso tra le parti.

4.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il terzo motivo di ricorso; dichiara infondati i motivi primo e secondo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

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