Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24722 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. II, 03/10/2019, (ud. 03/04/2019, dep. 03/10/2019), n.24722

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19762/2015 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL VIMINALE

5, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GALLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato FABRIZIO LICCHETTA;

– ricorrente –

contro

P.A., V.I., PR.AD.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA GIOVANNI GENTILE, 22, presso

lo studio dell’avvocato GABRIELE GENNACCARI, rappresentate e difese

dall’avvocato CRISTIANO SOLINAS;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 372/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 03/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/04/2019 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza 3.6.2014, respingendo l’appello proposto da S.C., ha confermato la sentenza di primo grado (Tribunale di Lecce sez. dist. Tricase n. 67/2010) che, in accoglimento della domanda riconvenzionale delle convenute V.I., P.A. e Ad. (eredi di Pr.An.), aveva dichiarato acquistata per usucapione una servitù di scolo a carico del fondo dell’attore S. e per giungere a tale conclusione, il giudice del gravame ha osservato:

– che era infondata la censura sul mancato rilievo di un precedente giudicato (costituito, ad avviso dell’appellante, da una sentenza del 1994);

– che appariva corretta la pronuncia di primo grado sul riconoscimento dell’apparenza della servitù, perchè erano stati riscontrati dei fori il cui occultamento non era addebitabile al vicino P., ma all’accumulo di materiale di risulta su confine dal lato interno alla proprietà S.;

– che il materiale istruttorio era stato ben valutato dal Tribunale al fine del riconoscimento della servitù per usucapione.

2 Contro tale sentenza il S. ricorre per cassazione con quattro motivi contrastati con controricorso dalle V. – P..

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Col primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione di norme di diritto – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; Omesso esame circa un fatto decisivo circa l’interpretazione e l’inapplicazione di un precedente giudicato tra le parti avente la medesima natura giuridica in relazione alla sentenza della Corte d’Appello di Lecce n. 141/1994 resa tra le stesse parti e con riferimento all’inesistenza di qualsivoglia diritto, men che meno di servitù di scolo nella proprietà S.C. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, ed in relazione ai criteri interpretativi di cui agli artt. 116 e 324 c.p.c..

La censura, che investe il rigetto dell’eccezione di giudicato, è infondata.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudicato si forma, oltre che sull’affermazione o negazione del bene della vita controverso, sugli accertamenti logicamente preliminari e indispensabili ai fini del deciso, quelli cioè che si presentano come la premessa indefettibile della pronunzia, mentre non comprende le enunciazioni puramente incidentali e in genere le considerazioni estranee alla controversia e prive di relazione causale col deciso. L’autorità del giudicato è circoscritta oggettivamente in conformità alla funzione della pronunzia giudiziale, diretta a dirimere la lite nei limiti delle domande proposte, sicchè ogni affermazione eccedente la necessità logico giuridica della decisione deve considerarsi un “obiter dictum”, come tale non vincolante (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3793 del 08/02/2019 Rv. 652552; Cass. n. 1815/12 e n. 20692/13, ma cfr. già Cass. n. 9775/97).

Nel caso di specie, la sentenza n. 141/94 della Corte d’Appello di Lecce aveva ad oggetto tutt’altra questione (precisamente, la creazione di recinzioni in una zona di terreno in contestazione sul lato prospiciente verso via (OMISSIS)) senza alcun riferimento al tema dello scolo delle acque piovane (cfr. sentenza citata) e quindi la conclusione a cui è pervenuta la Corte di merito con la sentenza oggi impugnata è corretta perchè è evidente che la declaratoria di inesistenza di “alcun diritto sulla fascia di terreno posta a nord della zona oggetto della compravendita” pronunciata con la sentenza del 1994 andava necessariamente collegata all’oggetto di quel giudizio che – lo si ripete – nulla aveva a che vedere col deflusso delle acque piovane.

2 Col secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 5 e con riferimento agli artt. 61,62,116 e 191 c.p.c., con espresso rimando agli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 949,1168,1158 e 2697 c.c., rimproverandosi alla Corte d’Appello di avere erroneamente ritenuto l’esistenza dell’apparenza della servitù, incorrendo in un eclatante “svarione” allorchè ha affermato che era stato lo stesso attore ad occultare con materiale di risulta i fori di scolo: ad avviso del ricorrente, tutti gli atti a disposizione ed i verbali istruttori confermavano invece che il materiale di risulta era stato sversato, dal P..

3 Col terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’interpretazione della CTU e la non adesione alle conclusioni del CTU con riferimento alla inesistenza di minima apparenza dei fori di scolo. Omessa motivazione in relazione alla mancata articolazione di pur minimi passaggi logico-giuridici in ordine alla non adesione alle risultanze e conclusioni tecniche della CTU in relazione agli artt. 360 c.p.c., n. 5 e con riferimento agli artt. 61,62,116 e 191 c.p.c., con espresso rimando agli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 949,1158 e 2697 c.c..

4 Col quarto motivo il ricorrente deduce, infine, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e con riferimento agli artt. 61,62,116 e 191 c.p.c., con espresso rimando agli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 949,1158 e 2697 c.c., criticando la rappresentazione dello stato dei luoghi e la valutazione delle risultanze istruttorie da parte della Corte d’Appello.

Questi tre motivi – ben suscettibili di esame unitario per il comune riferimento all’apparato motivazionale della sentenza impugnata – sono inammissibili.

Le sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 07/04/2014 hanno affermato i seguenti principi:

a) L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;

b) La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Ebbene, le censure in esame, lungi dal segnalare omesso esame di fatti decisivi o il radicale vizio motivazionale nel senso inteso dalla sezioni unite, tendono a criticare la motivazione e a sollecitare una rivisitazione delle risultanze istruttorie con particolare riferimento all’accertamento del requisito dell’apparenza, oggetto di esame da parte della Corte d’Appello, che ha spiegato quali fossero le opere visibili e permanenti (fori esistenti nel muro) e perchè non potesse accedersi alla tesi sostenuta dall’attore secondo cui egli si sarebbe accorto della presenza dei fori solo al momento della rimozione del materiale di risulta addossato sul confine (v. pag. 6 ove si sottolinea la collocazione dei cumuli di materiale di risulta dal lato interno alla proprietà S.). Dare seguito alle censure suindicate significherebbe snaturare il giudizio di legittimità dando ingresso un terzo grado di giudizio di merito.

E’ pertanto inevitabile la reiezione del ricorso, privo perfino di un indice dei documenti sui quali si fonda e dell’indicazione della sede di deposito dei documenti ritenuti rilevanti (come la sentenza n. 191/1004 della Corte d’Appello di Lecce), con addebito di spese alla parte soccombente che – sussistendone le condizioni di legge – è tenuta anche al versamento dell’ulteriore contributo unificato.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi Euro. 3.200,00 di cui Euro. 200,00 per esborsi oltre accessori di legge nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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