Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24721 del 02/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 02/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep. 02/12/2016), n.24721

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22053/2015 proposto da:

INTERFINANCE S.P.A. (quale cessionaria del credito del Fallimento

(OMISSIS) S.r.l.), C.F. (OMISSIS), in persona dell’Amministratore

Delegato e Legale Rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA SABOTINO 2-A, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO PARIS, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIAN MARIA VOLPE

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 216/3/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di GENOVA, emessa il 17/12/2014 e depositata il

16/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito l’Avvocato Filippo Paris, per la ricorrente, che chiede

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., all’esito della quale parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

La CTR della Liguria, con sentenza n. 216, depositata il 16 febbraio 2015, non notificata, accolse l’appello proposto da Interfinance S.p.A. (di seguito Interfinance) quale cessionaria del credito del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Genova, che aveva accolto il ricorso proposto dalla Interfinance avverso il provvedimento con il quale, sull’istanza di rimborso di credito IVA del quale la società si era resa cessionaria, l’Agenzia delle Entrate, operando la compensazione del credito di Euro 126.506,00 chiesto a rimborso, con debiti pregressi anteriori al fallimento della (OMISSIS) S.r.l., portati da otto cartelle di pagamento per l’importo complessivo di Euro 56.911,22, aveva disposto il rimborso nella differenza di Euro 69.592,97.

Avverso la sentenza della CTR Interfinance ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza e del procedimento, omessa motivazione: violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, assumendo che la motivazione, operata per relationem ai principi espressi da questa Corte nelle citate pronunce nn. 27885, 27886 e 27887 del 2013, si risolverebbe in motivazione meramente apparente, essendosi la CTR limitata a richiamare le enunciazioni del principio di diritto, senza effettuare alcun collegamento con il caso concreto, che presentava specificità diverse da quelle dei casi nei quali la Corte si era espressa.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 56 (L. Fall.), del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 27 e 74 bis e del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 4, in tema di detrazione, rimborso e dichiarazione IVA, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo la prevalenza, in ragione del criterio della specialità, delle norme tributarie succitate sulle norme di diritto comune e fallimentare, di modo che la compensazione ex art. 56 della fallimentare non potrebbe trovare applicazione allorchè la dichiarazione IVA sia stata presentata dal curatore del fallimento, trasferendosi, con la detta dichiarazione il credito IVA dal fallito al patrimonio della procedura, di modo che, seppure soggetto a verifica da parte dell’Agenzia delle Entrate, esso deve essere trattato come appartenente alla massa dei creditori, legittimati ad utilizzarlo per il tramite del curatore in forza della disciplina specialistica.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la mancata valutazione della prova costituita dalla dichiarazione del D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 74 bis e omesso esame di tale dichiarazione, presentata dal curatore nell’anno 2000, riferita alle operazioni effettuate dal fallito nella frazione d’anno antecedente la dichiarazione di fallimento, con conseguente disapplicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, succitati artt. 27 e 74 bis e del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 4, ed erronea applicazione dell’art. 1241 c.c. e L. Fall., art. 56.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Questa Corte (cfr., più di recente, Cass. sez. lav. 2 giugno 2016, n. 11508), in tema di motivazione della sentenza, ha avuto modo di affermare che ove la sentenza richiami un orientamento giurisprudenziale, è necessario un puntuale riferimento al precedente che, anche se non trascritto nelle sue parti significative, sia tale da consentire di enucleare, attraverso la sua lettura, il percorso logico-giuridico per pervenire alla decisione.

La pronuncia della CTR della Liguria ha trascritto le parti più significative delle richiamate pronunce, rese peraltro in controversie che vedevano quale controparte dell’Agenzia delle Entrate la stessa Interfinance S.p.A. e, soprattutto, diversamente da quanto dedotto dall’odierna ricorrente, ha ritenuto di farne applicazione sul presupposto che fossero “inerenti situazioni di fatto del tutto conformi alla sentenza” appellata dinanzi alla CTR della Liguria.

Detta circostanza è stata contestata da parte ricorrente. Sennonchè, se è vero che le situazioni non fossero pienamente sovrapponibili, essendo state rese le richiamate pronunce in giudizi relativi a provvedimento di fermo, è innegabile che è comune alle fattispecie il dato di fatto essenziale sul quale s’innesta il principio di diritto addotto dal giudice tributario d’appello a fondamento della decisione assunta, cioè che il credito IVA fosse maturato per la sua gran parte (largamente maggiore del controcredito opposto in compensazione dall’Amministrazione finanziaria) in capo alla (OMISSIS) S.r.l. anteriormente alla dichiarazione di fallimento intervenuta con sentenza del Tribunale di Genova del 10 agosto 2000.

Principio che, come ricordato dalla sentenza in questa sede impugnata, si esprime nel senso che al fine di accertare la sussistenza del requisito della reciprocità di cui alla L. Gall., art. 56, occorre aver riguardo, onde accertare la titolarità dei rispettivi crediti, esclusivamente al fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte, da ciò discendendo che la compensazione nel fallimento, secondo la succitata norma, è ammissibile ove ricorra l’anteriorità del fatto genetico dell’obbligazione alla dichiarazione di fallimento, anche quando il controcredito divenga liquido ed esigibile dopo l’apertura della procedura concorsuale.

Il secondo e terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono del pari infondati.

Anche a voler convenire con la memoria di parte ricorrente in punto di qualificazione in termini di mere difese riguardo alle deduzioni in punto di diritto svolte dalla società per la prima volta in grado d’appello e solo in sede di memoria, le menzionate pronunce di questa Corte n. 27885, 27886 e 27887, depositate il 13 dicembre 2013 richiamate dalla CTR a sostegno del proprio decisum non hanno fatto altro che ribadire, in relazione alla specifica opposizione di compensazione a credito IVA, Il principio generale secondo il quale “la disciplina contenuta nella L. Fall., art. 56, rappresenta una deroga al concorso, a favore di soggetti che si trovino ad essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’etto compensativo si produce e ferma restando l’esigenza dell’anteriorità del fatto (genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte” (cfr. Cass. sez. unite 16 novembre 1999, n. 775 e successiva giurisprudenza conforme).

Nè, d’altronde, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, è rilevabile un preteso contrasto tra i principi esposti dalle citate pronunce nn. 27885, 27886 e 27887 del 2013, riferite all’applicabilità della L. Fall., art. 56, all’ipotesi di compensazione di crediti fiscali eterogenei, come quelli, nella specie di otto cartelle varie), e la citata, dalla ricorrente, Cass. sez. 5, 9 maggio 2014, n. 10059, che si riferisce, in obiter dictum, all’ordinario regime di detrazione – rimborso di eccedenza IVA, che è cosa diversa da quella propria dell’oggetto della presente decisione.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti di legge per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4500,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2016

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