Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24719 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 05/11/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 05/11/2020), n.24719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20314-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI PAISIELLO

33, presso lo studio dell’avvocato NICASTRO ROSAMARIA – STUDIO DI

TANNO NICASTRO E ASSOCIATI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 685/2014 della COMM. TRIB .REG. di MILANO,

depositata il 06/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIS UMBERTO che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

CONSIDERATO

Che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 685/02/2014, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 6.02.2014, con la quale era rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la decisione del giudice provinciale di annullamento della cartella di pagamento, notificata a R.C., con la quale erano stati richiesti gli interessi maturati nel periodo di sospensione di una precedente cartella.

La controversia traeva origine da un avviso di accertamento, impugnato dal R.. Al contribuente era stata notificata anche la cartella di pagamento relativa agli importi iscritti a ruolo a titolo provvisorio. La cartella, a sua volta impugnata, era stata sospesa sia dal giudice provinciale in data 2.09.2009, sia dalla Agenzia, con atto del 16.09.2009, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 39.

All’esito del giudizio di primo grado sull’avviso di accertamento, che aveva limitato le pretese del fisco nei confronti del contribuente, confermando per gli altri importi la legittimità dell’atto impositivo, l’Amministrazione aveva notificato al R. la cartella oggetto del presente giudizio, con cui aveva chiesto il pagamento degli interessi maturati nel periodo di sospensione sulle somme riconosciute dal giudice tributario.

Il contribuente, contestandone la spettanza, aveva impugnato anche questo atto. La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 313/23/2012, aveva accolto il ricorso del R.. La decisione era stata appellata dall’Ufficio dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che aveva rigettato l’impugnazione con la sentenza ora al vaglio della Corte.

L’Agenzia censura la pronuncia con unico motivo, dolendosi della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 39 e 21, nonchè degli artt. 1282 e 1224 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (sic), per aver erroneamente disconosciuto il diritto della Amministrazione agli interessi, maturato durante il periodo di sospensione della cartella, sul credito erariale riconosciutole all’esito del ricorso introdotto contro l’avviso di accertamento.

Ha dunque chiesto la cassazione della sentenza.

Si è costituito il contribuente, che preliminarmente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso e nel merito la sua infondatezza.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

E’ innanzitutto infondata l’eccepita inammissibilità del ricorso. Il contribuente afferma che con l’unica censura l’Ufficio invoca l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, pur in assenza di vizi processuali. Sennonchè il motivo di ricorso, che nella rubrica lamenta la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, è volto a denunciare un error iuris in iudicando, ed il tenore di tutto il suo impianto argomentativo volge alla censura dell’errore sull’interpretazione di norme sostanziali e non di errori processuali. Il richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è da considerarsi pertanto una mera svista, che non incide sulla ammissibilità della domanda. D’altronde costituisce orientamento consolidato che l’omesso richiamo o l’erroneo richiamo ad uno dei vizi di impugnazione della sentenza dinanzi al giudice di legittimità non è motivo di inammissibilità del ricorso, dovendo qualificarsi dal tenore e dal contenuto del motivo la critica concretamente portata alla pronuncia impugnata.

Nel merito il motivo di ricorso è fondato nei termini appreso chiariti.

E’ indubbio che la sospensione giudiziale dell’atto impugnato sia ben distinta dalla sospensione amministrativa prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 39. Diversi sono i presupposti, distinte sono (e finalità. Nè, in tema di decorrenza e determinazione del tasso d’interesse sulle somme corrispondenti al credito erariale riconosciuto all’esito del giudizio, alla sospensione giudiziale può analogicamente applicarsi la disciplina che l’art. 39 cit. prescrive per l’ipotesi di sospensione amministrativa.

E’ altrettanto chiaro che, una volta intervenuta la sospensione giudiziale dell’atto impugnato, regolata dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 47, è inutile quanto ininfluente, ai fini della disciplina degli interessi maturati nel corso della sospensione dell’atto medesimo, l’adozione della sospensione amministrativa della riscossione, prevista dall’art. 39 cit.. Nel caso di specie la sentenza impugnata, senza che la circostanza sia stata contestata dalla Agenzia, ha affermato che di tale sospensione è in ogni caso mancata la sua comunicazione al contribuente, come invece previsto dalla norma.

Ciò chiarito, la decisione del giudice regionale, che ha negato il diritto agli interessi, sostenendo che essi spettino solo per l’ipotesi della sospensione amministrativa, di cui all’art. 39 cit., e non nel caso della sospensione giudiziale, di cui all’art. 47 cit., è parimenti errata.

In materia tributaria questa Corte ha affermato che, qualora il ricorso del contribuente sia accolto solo parzialmente e la sentenza di merito confermi la legittimità del titolo impugnato, l’intervenuta sospensione giudiziale della riscossione di cartelle di pagamento non determina la necessità di una nuova iscrizione a ruolo per gli interessi intanto maturati sull’importo dell’imposta dovuta, fondandosi tale pretesa sul principio generale di cui all’art. 1282 c.c., comma 1, secondo cui i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto nella misura del tasso legale, salvo che la legge o il titolo dispongano diversamente (Cass., sent. n. 15970/2014). Ed infatti deve escludersi che il provvedimento di sospensione sia idoneo ad incidere sulla natura del credito portato dalla cartella, facendone perdere i caratteri della liquidità ed esigibilità, indispensabili per la insorgenza del diritto agli interessi corrispettivi, previsti dall’art. 1282 c.c..

La decisione del giudice regionale, che si pone in insanabile contrasto con il principio di diritto ora enunciato, va pertanto cassata.

Poichè dagli atti non è dato evincere nè quale tasso sia stato applicato per gli interessi sulle somme riconosciute all’esito del giudizio avverso l’avviso di accertamento, nè se il contribuente abbia contestato il quantum degli interessi oltre che l’an, il processo va rinviato dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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