Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24717 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/11/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 23/11/2011), n.24717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 6285/2010 proposto da:

T.P., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’Avvocato TRENTI Laura, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MERCK SHARP & DOHME ITALIA S.P.A., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati MARESCA Arturo,

BOCCIA FRANCO RAIMONDO, che la rappresentano e difendono, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO X PHARMA S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 98/2010 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata

il 03/02/2010 R.G.N. 961/09;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato TRENTI LAURA;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI RENATO, che ha concluso chiedendo che la Corte di

Cassazione, riunita in Camera di consiglio, in accoglimento del

ricorso voglia dichiarare la competenza del Tribunale di Venezia,

conclusioni confermate anche dal Dott. BASILE TOMMASO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. T.P. convenne in giudizio, dinanzi al giudice del lavoro del Tribunale di Veneziana Merck Sharp & Dohme Italia spa e il Fallimento X-Pharma srl, chiedendo che venisse accertata l’illegittimità della cessione di ramo d’azienda che aveva comportato il suo passaggio dalla prima alla seconda società, successivamente fallita, con una serie di conseguenze retributive e contributive.

2. Si costituì solo la Merck Sharp & Dohme Italia spa, eccependo l’incompetenza territoriale del Tribunale di Venezia, essendo il rapporto sorto in Roma, città in cui aveva sede la società, mentre nessuna dipendenza aziendale si trovava nel circondario di Venezia, e comunque non potendo il foro della dipendenza essere fatto valere dopo sei mesi dalla cessione del ramo d’azienda.

3. Con provvedimento del 3 febbraio 2010, il Tribunale di Venezia ha ritenuto fondata l’eccezione e si è dichiarato incompetente, affermando la competenza territoriale del Tribunale di Roma.

4. La dott.sa T. ha proposto ricorso per regolamento di competenza.

5. La Merck Sharp & Dohme Italia spa ha depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 47 c.p.c., nonchè memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

6. I Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso e l’affermazione della competenza del Tribunale di Venezia.

7. Sono infondate le eccezioni preliminari sollevate dalla Merck Sharp & Dohme Italia spa di inesistenza e di nullità della procura alle liti e del ricorso.

8. La prima eccezione concerne la procura. La società assume che la stessa non sarebbe valida perchè non contiene uno specifico riferimento al ricorso per regolamento di competenza. La procura della ricorrente nei confronti dell’avv.sa Laura Trenti si esprime in questi termini: “delego l’avv. Laura Trenti a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio in ogni fase e grado, anche di appello, nonchè di ricorso per cassazione, opposizione ed esecuzione, conferendole ogni facoltà del mandato alle liti a norma dell’art. 84 c.p.c., compresa quella di appellare, proporre ricorso per cassazione,………..”.

9. Tale procura speciale abilita quindi l’avvocato alla difesa “in tutte le fasi” del giudizio “compreso il ricorso per cassazione”. In tate spettro d’azione processuale è inequivocabilmente ricompreso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 47 c.p.c.. Non vi era alcuna necessità di specificazione ulteriore.

10. La seconda eccezione è di nullità del ricorso per violazione dell’art. 125 c.p.c., come novellato dal D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, comma 8, lett. a), convertito con modificazioni, dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24.

11. La norma codicistica novellata prevede che il difensore nel ricorso “indica il proprio codice fiscale”. Nel ricorso per regolamento di competenza è indicato il codice fiscale della parte e non quello del difensore. La tesi della società è che tale omissione comporti la nullità del ricorso.

12. La tesi non può essere condivisa.

13. L’art. 125 c.p.c., comma 1, novellato, così dispone: “Salvo che la legge disponga altrimenti, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso, il precetto debbono indicare l’ufficio giudiziario, le parti, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni o l’istanza, e, tanto nell’originale quanto nelle copie da notificare, debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in giudizio personalmente, oppure dal difensore che indica il proprio codice fiscale”.

14. L’inciso finale (“difensore che indica il proprio codice fiscale”) ha indubbiamente una valenza imperativa desumibile dal verbo “indica”, sebbene meno intensa di quella prevista per gli altri requisiti formali imposti dalla norma con le espressioni “debbono indicare” e “debbono essere sottoscritti”.

15. Tuttavia, per la mancata indicazione del codice fiscale non è prevista la nullità dell’atto (art. 156 c.p.c., comma 1: “Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge”), nè può ritenersi che tale omissione integri la mancanza di uno dei “requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo” (art. 156 c.p.c., comma 2: (la nullità) “può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”).

16. Quanto alla competenza territoriale, il ricorso è fondato e deve essere accolto per le seguenti considerazioni.

17. L’attività lavorativa della Dott.sa T. è stata di coordinamento e supervisione dell’informazione scientifica del farmaco.

18. Il Tribunale ha ritenuto che “la circostanza che fosse incaricata di svolgere attività di “area manager” nell’ambito del Triveneto e che l’attività fosse svolta avvalendosi di materiale aziendale collocato presso la sua abitazione (computer, stampante, linea adsl) non è sufficiente a ravvisare nel caso di specie una dipendenza aziendale collocata nel domicilio della ricorrente, mancando la riferibilità all’azienda del luogo in questione”. Il Tribunale precisa inoltre che la disposizione di cui all’art. 413 c.p.c., va intesa nel senso di “attribuire rilievo alla località nella quale sono radicati gli interessi lavorativi tanto del lavoratore che dell’azienda”.

19. La posizione non può essere condivisa.

20. L’art. 413 c.p.c., comma 1, individua il giudice territorialmente competente per le controversie di lavoro indicando tre fori speciali alternativi: il luogo in cui è sorto il rapporto, quello in cui si trova l’azienda, quello in cui si trova la dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore.

21. Il problema interpretativo nel caso in esame è quello di stabilire cosa debba intendersi per “dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore”.

22. Di tale espressione è necessario dare una interpretazione estensiva per almeno due ragioni.

23. In primo luogo, perchè ormai da tempo l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro tende a rendere elastico il rapporto tra lavoro e luoghi e strutture materiali. Molti lavori, specie nei servizi, vengono svolti fuori dai luoghi tradizionali (l’azienda agricola, la fabbrica, l’ufficio, ecc.) e vengono svolti con l’ausilio di pochi mezzi e strumenti materiali. Molte persone lavorano a casa propria e solo con un “personal computer” e tuttavia lavorano alle dipendenze di una organizzazione aziendale, flessibile ma non per questo evanescente: si pensi alle penetranti possibilità di controllo dei tempi e dei contenuti della prestazione che un collegamento informatico consente. L’interprete nel valutare il concetto di dipendenza non può non tener conto di tale evoluzione.

24. La seconda ragione attiene alla “ratio” dell’art. 413 c.p.c.. Il legislatore del 1973 ha concepito le regole sulla competenza territoriale del giudice del lavoro guidato dalla finalità di coniugare il rispetto del principio del giudice naturale con la possibilità di rendere il meno difficoltoso possibile l’accesso alla giustizia del lavoro. Ha sicuramente usato come bussola il principio costituzionale sul diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il particolare rispetto dovuto al lavoro, quale si evince da numerose norme della Costituzione, a cominciare dall’art. 1 e dall’art. 4 che riconosce il diritto al lavoro e impegna la Repubblica a “promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.

25. In tale ottica, il legislatore ha operato due scelte di fondo. In primo luogo, quella di offrire una molteplicità di soluzioni, individuando più fori alternativi, tra i quali il ricorrente può scegliere. In secondo luogo, quella di avvicinare il luogo del giudice al luogo di lavoro. Ciò a fine di rendere meno difficoltoso promuovere e seguire il giudizio (è superfluo sottolineare quanto sia più difficile sul piano economico e logistico partecipare ad un processo lontano dal luogo di vita). Ma vi è anche un interesse generale dell’ordinamento a che il giudice sia vicino al luogo della controversia, che nelle cause di lavoro è il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa (si pensi alle difficoltà che riguardano lo spostamento dei testimoni, in genere persone che hanno potuto osservare il lavoro e che quindi sono anch’essi tendenzialmente dimoranti nella medesima zona; alla eventualità di ispezioni dei luoghi da parte del giudice; ad eventuali attività di ausiliari del giudice).

26. Per queste ragioni l’espressione “dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore” deve essere interpretata in senso estensivo, come articolazione della organizzazione aziendale (dipendenza) nella quale il dipendente lavora (addetto), che può anche coincidere con la sua abitazione se dotata di strumenti di supporto dell’attività lavorativa.

27. Sul punto la giurisprudenza è concorde e, attenuando alcune difformità che possono considerarsi ormai datate, è divenuta particolarmente omogenea.

28. Gli ultimi arresti di questa Corte sono in linea tra loro: cfr.

in particolare Cass., 16 novembre 2010, n. 23110; 21 gennaio 2010, n. 1018; 16 novembre 2010, n. 23110.

29. In tali decisioni, occupandosi proprio della competenza territoriale delle cause degli informatori farmaceutici, si è costantemente richiamata la necessità di “una nozione particolarmente ampia del concetto di dipendenza aziendale”, che “non solo non coincide con quello di unità produttiva contenuto in altre norme di legge, ma deve intendersi in senso lato, in armonia con la mens legis mirante a favorire il radicamento del foro speciale nel luogo della prestazione lavorativa”.

30. Condizione minima, ma sufficiente a tal fine, è che l’imprenditore abbia configurato tale organizzazione del lavoro e che l’azienda disponga in quel quel luogo di un nucleo di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, cioè destinato al soddisfacimento delle finalità imprenditoriali, “anche se modesto e di esigue dimensioni”; è sufficiente che in tale nucleo operi anche un solo dipendente e non è necessario che i relativi locali e le relative attrezzature siano di proprietà aziendale, ben potendo essere di proprietà del lavoratore stesso o di terzi.

31. Ancor più consistente è la convergenza nelle soluzioni in concreto adottate: si è ritenuta sussistente la “dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore” anche nella residenza del lavoratore quando questi svolga l’attività lavorativa in tale luogo, avvalendosi di strumenti destinati all’attività aziendale, individuati in genere proprio, come nel caso in esame, in un “computer” collegato con l’azienda e nei relativi strumenti di supporto (stampante, adsl, ecc.).

32. Tali elementi sono idonei a distinguere queste situazioni da quelle, concernenti i lavoratori parasubordinati di cui all’art. 414 c.p.c., n. 3, in cui il foro competente è individuato con il mero riferimento al domicilio del lavoratore, senza alcun bisogno che in tale luogo venga svolta l’attività lavorativa e sia individuabile una articolazione aziendale nel senso lato prima precisato.

33. Nel caso in esame, dagli atti si desume, e il Tribunale nel suo provvedimento nè da conto, che la ricorrente svolgeva l’attività lavorativa per l’azienda nella sua abitazione, avvalendosi di strumentazione ivi collocata (computer, stampante, linea adsl, ecc…). Di conseguenza, alla stregua dei principi di diritto su richiamati (dai quali il Tribunale di Venezia si è consapevolmente discostato, dichiarando di non condividerli), deve affermarsi la competenza territoriale di quel Tribunale.

34. Tale competenza non è esclusa dall’applicazione dell’art. 413 c.p.c., comma 3, in base al quale la disciplina sulla competenza territoriale di cui al comma 2 “permane dopo il trasferimento d’azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purchè la domanda sia proposta entro sei mesi dal trasferimento o dalla cessazione”. Nel caso in esame, infatti, tra le parti è pacifico ed il giudice ne da atto, che la dipendenza non è cessata, mentre il trasferimento di ramo d’azienda è oggetto di contestazione ed il giudizio, come scrive il giudice di Venezia nel suo provvedimento ricostruendo il contenuto della domanda, è volto proprio all’accertamento che la cessione era meramente apparente.

35. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e deve essere dichiarata la competenza territoriale del giudice del lavoro del Tribunale di Venezia dinanzi al quale era stato iniziato il giudizio.

Le spese del regolamento devono essere poste a carico della parte che ha infondatamente eccepito l’incompetenza territoriale. Vanno compensate nei confronti della parte rimasta intimata, ricorrendo giusti motivi in tal senso.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso e dichiara la competenza territoriale del Tribunale di Venezia. Fissa il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza per la riassunzione del giudizio. Condanna la Merck Sharp & Dohme Italia spa alla rifusione alla ricorrente delle spese del regolamento di competenza, liquidandole in 40,00 Euro, nonchè 2.000,00 Euro per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali. Compensa le spese in relazione all’intimato fallimento x pharma srl.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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