Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24710 del 02/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 02/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep. 02/12/2016), n.24710

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24174/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

L.M.P., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 86, presso lo studio dell’avvocato EMILIO

STERPETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ROBERTO BATTAGLIA, giusto mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1726/24/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PALERMO, emessa il 09/04/2014 e depositata il

22/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

Con sentenza n. 1726/24/14, depositata il 22 maggio 2014, non notificata, la CTR della Sicilia rigettò l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Palermo – nei confronti del sig. L.M.P. per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Palermo, che aveva accolto il ricorso del contribuente, volto a conseguire l’annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, che, sulla base di processo verbale di constatazione elevato dalla Guardia di Finanza, aveva accertato per l’anno 2004 maggiori ricavi non dichiarati in capo alla società “La Locanda di San Giorgio di L.M.P. S.n.c.”, della quale la stessa era socia al 50%, con conseguente imputazione, ai fini IRPEF, ad essa socia, del maggior reddito d’impresa in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili.

Avverso detta pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. L’intimata resiste con controricorso.

Con il primo motivo la ricorrente Amministrazione deduce omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto illegittimo l’accertamento perchè per l’anno 2004 l’Ufficio aveva richiamato ed utilizzato dati esposti per l’anno 2003, omettendo qualsiasi valutazione delle considerazioni esposte dall’Ufficio nel ricorso in appello col quale si era esposto che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’accertamento non faceva mero riferimento alle risultanze dell’anno precedente, ma era basato su un’autonoma verificazione del reddito.

Il motivo è inammissibile, non essendo consentito il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua attuale formulazione, applicabile ratione temporis, al presente giudizio, pure avverso le sentenze rese dalle Commissioni tributarie regionali, in caso di c.d. doppia conforme, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., come chiarito dalle sezioni Unite di questa Corte (Cass. 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054).

La CTR ha condiviso, infatti, l’accertamento di fatto espresso dal giudice di primo grado, osservando che “come rilevato dal giudice di primo grado”, nel caso in esame, “sulla scorta della generica affermazione di omogeneità della gestione dell’impresa negli anni 2003 e 2004, sono stati ricostruiti i redditi di quest’ultimo anno sulla scorta delle risultanze contabili dell’anno precedente”.

Resta dunque precluso a questa Corte il controllo sulla correttezza della motivazione in relazione alle doglianze espresse dall’Ufficio nell’atto di appello rispetto all’analogo giudizio di fatto compiuto dalla CTP, pur a fronte dell’ulteriore elemento di riscontro addotto dall’Ufficio in punto di legittimità dell’accertamento, in ragione del fatto che, in presenza di modalità gestionali assolutamente analoghe, per l’anno 2003 si era formato il giudicato in punto di accertamento in capo alla società di un maggior reddito d’impresa per Euro 140.806,00, da ripartire tra i soci secondo le rispettive quote, a fronte di perdita dichiarata di Euro 78.020,00.

A ciò consegue la manifesta infondatezza anche del secondo motivo, con il quale la ricorrente Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, aggiunto dalla Legge di Conversione n. 427 del 1993, e dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo questa Corte affermato il principio che l’adozione del criterio induttivo di cui del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, impone all’Ufficio l’utilizzazione di dati e notizie inerenti al medesimo periodo d’imposta al quale l’accertamento si riferisce; donde la non censurabilità dell’affermazione del giudice tributario che abbia annullato l’accertamento, escludendo la possibilità di desumere il reddito relativo ad un’annualità d’imposta da quello conseguito in anni precedenti, incombendo all’Ufficio l’onere di fornire elementi in senso contrario (cfr. Cass. sez. 5, 15 maggio 2015, n. 9973; Cass. sez. 5, 12 marzo 2008, n. 6579; Cass. sez. 5, 21 dicembre 2007, n. 27008).

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, essendo parte ricorrente Amministrazione pubblica per la quale ricorre il meccanismo di prenotazione a debito delle spese (cfr. Cass. sez. unite 8 maggio 2014, n. 9338; più di recente, tra le altre, Cass. sez. 6-L, ord. 29 gennaio 2016, n. 1778).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente Agenzia delle entrate alla rifusione in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 4500,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2016

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