Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24707 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 03/10/2019), n.24707

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15932/2014 R.G. proposto da:

P.A., n. q. di titolare dell’impresa individuale Autoelite

di P.A., rappresentato e difeso dal Prof. Avv. Giovannini

Alessandro e dell’Avv. Di Meo Stefano, elettivamente domiciliato

presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Pisanelli n. 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ope legis

in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana n. 123, depositata il 16 dicembre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 giugno

2019 dal Cons. Leuzzi Salvatore.

Fatto

RILEVATO

Che:

– Con due avvisi di accertamento notificati all’odierno ricorrente in qualità di titolare dell’impresa Autoelite di P.A., l’Agenzia delle Entrate gli contestò, per gli anni d’imposta 2003 e 2004, l’errata applicazione del regime speciale del margine di utile su operazioni imponibili a fini IVA (oltre ad applicargli le relative sanzioni pecuniarie). Le contestazioni si riferivano ad operazioni inerenti dieci autovetture in relazione alle quali si contestava l’indebita applicazione del regime speciale del margine, in luogo del corretto regime ordinario.

– Avverso detti atti impositivi il contribuente propose ricorso dinanzi alla CTP Lucca, accolto con sentenza n. 74/4/2010. La decisione della CTR della Toscana ha, di contro, in accoglimento dell’appello erariale, ritenuto irregolare il ricorso al regime speciale.

– Contro la sentenza d’appello, il Paperini n. q. propone ricorso affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, spiegando, altresì, ricorso incidentale articolato su tre motivi.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– Con il primo motivo di ricorso principale, la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’illegittimità della sentenza impugnata per falsa applicazione del D.L. n. 41 del 1995, art. 36 (conv. con L. n. 85 del 1995), per avere, la CTR escluso l’applicabilità del regime del margine nonostante ne ricorressero i presupposti e ne constasse la relativa prova.

– Con il secondo motivo di ricorso principale, la parte ricorrente denuncia l’illegittimità lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto adempiuto l’adempimento dell’onere della prova della pretesa tributaria da parte dell’erario, ancorchè detta prova facesse difetto.

– Con il primo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 112 c.p.c. (vizio di ultra petizione), per avere la CTR escluso l’applicabilità delle sanzioni in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, nonostante la ditta contribuente ne avesse chiesto la disapplicazione sulla base di altre norme e segnatamente del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6 e della L. n. 212 del 2000, art. 10.

– Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate lamenta la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, per avere la CTR disapplicato le sanzioni, non per obiettive condizioni di incertezza, ma solo sulla base della presenza di orientamenti difformi presso la giurisprudenza di merito.

– Con il terzo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate lamenta, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la CTR disapplicato le sanzioni trascurando che l’obbligo di diligenza a carico del contribuente … nel caso di specie non risulta essere stato rispettato”.

– I due motivi del ricorso principale, intimamente connessi, sono suscettibili di trattazione unitaria; essi sono infondati e vanno disattesi.

– In forza del D.L. n. 42 del 1995, art. 36, e del diritto dell’Unione Europea (ora Direttiva 2006/11/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, artt. 311-325), limitatamente a quanto rileva ai presenti fini, per i rivenditori di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione nonchè di beni mobili usati suscettibili di reimpiego nello stato originario previa riparazione (come i veicoli aventi i requisiti di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 38, comma 4, conv. con L. n. 427 del 1993), l’IVA relativa alla rivendita è commisurata alla differenza tra il prezzo dovuto dal cessionario del bene e quello relativo all’acquisto, aumentato delle spese di riparazione e di quelle accessorie. Ferma restando, però, la facoltà del contribuente di applicare l’imposta nei modi ordinari, per ciascuna cessione. Ai fini dell’applicabilità del detto regime è necessario che l’acquisto sia stato effettuato da un privato consumatore, oppure da soggetto che non abbia potuto detrarre l’imposta (perchè la cessione del bene da parte sua è esentata) o che abbia agito nel proprio Stato membro in regime di franchigia ovvero che abbia sua volta assoggettato la cessione al regime del margine. Lo scopo del regime del margine è di evitare la doppia imposizione e le distorsioni di concorrenza tra soggetti passivi nei detti settori (“considerando” 51 della direttiva IVA). Implicherebbe difatti doppia imposizione assoggettare ad imposta, per l’intero prezzo, la cessione di detti beni od oggetti da parte di un soggetto passivo rivenditore, allorchè il prezzo al quale quest’ultimo ha acquistato il bene stesso incorpora un importo di IVA assolto a monte da soggetto appartenente ad una delle categorie innanzi indicate e che nè esso nè il soggetto passivo-rivenditore sono stati in grado di detrarre.

– Condizione per l’applicazione del regime del margine alla cessione del bene è, quindi, che il bene sia stato acquistato da un soggetto il quale, come appunto quelli sopra menzionati, non ha potuto detrarre l’imposta pagata a monte all’atto dell’acquisto del bene e, pertanto, ha sopportato integralmente l’imposta stessa. L’esistenza del diritto alla detrazione esclude difatti il rischio della doppia imposizione e, quindi, la conseguente possibilità di sottrarre l’operazione al regime normale dell’IVA. Il regime d’imposizione del (solo) margine di utile realizzato in occasione della cessione costituisce quindi un regime speciale facoltativo, derogatorio del sistema generale di cui alla Direttiva 2006/112 e rispetto a questo meno oneroso (contemplando una base imponibile ridotta). Ne consegue che la disciplina concernente il relativo ambito applicativo deve essere interpretata restrittivamente, nei soli limiti di quanto necessario al raggiungimento dell’obiettivo dell’istituto (Corte di giustizia 8 dicembre 2005, causa C-280/04, Jyske Finans; 3 marzo 2011, causa C-203/10, Auto Nikolovi; 19 luglio 2012, causa C160/11, Bawaria Motors; 18 maggio 2017, C-624/15, Litdana).

– Premesso quanto innanzi esplicitato in ossequio alla ratio dell’istituto, mette in conto dare continuità all’interpretazione giurisprudenziale, recentemente sedimentatasi, secondo la quale, in tema di IVA, il regime del margine – previsto dal D.L. n. 41 del 1995, art. 36 (conv. con L. n. 85 del 1995), per le cessioni da parte di rivenditori di beni d’occasione, di oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato – costituisce un regime speciale in favore del contribuente, facoltativo e derogatorio rispetto al sistema normale dell’imposta, la cui disciplina deve essere interpretata restrittivamente e applicata in termini rigorosi. Pertanto, qualora l’amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la massima diligenza ragionevolmente esigibile da un operatore accorto, in proporzione al caso concreto, al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto (Cass. Sez. Un. 21105 del 2017; Cass. n. 32402 del 2018).

– Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole (Cass. n. 21105 del 2017 cit.).

– Pertanto, qualora l’Amministrazione contesti, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il cessionario abbia indebitamente fruito di tale regime, spetta a quest’ultimo dimostrare la sua buona fede, e cioè non solo di aver agito in assenza della consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale, ma anche di aver usato la massima diligenza ragionevolmente esigibile da un operatore accorto, in proporzione al caso concreto, al fine di evitare di essere coinvolto in tali situazioni, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto.

– Con particolare riferimento alla compravendita di veicoli usati, dunque, rientra nella detta condotta diligente l’individuazione dei precedenti intestatari dei veicoli, nei limiti dei dati risultanti dalla carta di circolazione, eventualmente integrati da altri elementi di agevole e rapida reperibilità, al fine di accertare, sia pure solo in via presuntiva, se l’IVA sia già stata assolta a monte da altri senza possibilità di detrazione. Nel caso di esito positivo della verifica, il diritto di applicare il regime del margine deve essere riconosciuto, anche quando l’amministrazione dimostri che, in realtà, l’imposta è stata detratta. Nell’ipotesi, invece, in cui emerga che i precedenti proprietari svolgano tutti attività di rivendita, noleggio o leasing nel settore del mercato dei veicoli, opera la presunzione (contraria) dell’avvenuto esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA, assolta a monte per l’acquisto dei veicoli, in quanto beni destinati ad essere impiegati nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa, con conseguente negazione del trattamento fiscale più favorevole (v. Cass. Sez. Un. 21105 del 2017).

– Quest’ultima è esattamente la situazione verificatasi nel caso in esame, in cui si legge nella sentenza impugnata che la contribuente è divenuta cessionaria da cedente nazionale senza verificare se il dante causa di questo, venditore estero della Unione Europea, avesse a sua volta trattato la cessione come intra-comunitaria o meno ai fini IVA essendo i libretti di circolazione inidonei ad escludere da soli i presupposti per il trattamento fiscale favorevole e non potendo ritenersi assolto l’onere di diligenza sulla base del semplice acritico affidamento fatto dall’odierno ricorrente in ordine alla veridicità delle dichiarazione rese dalla società cedente; inoltre, è pacifico che le autovetture cedute al contribuente fossero in origine intestate proprio a società commerciali; dunque, non vi è ragione per non applicare l’insegnamento delle Sezioni Unite.

– Il ricorso principale va in definitiva respinto avuto riguardo ad ambedue i motivi che lo compendiano.

– I primi due motivi del ricorso incidentale si offronto ad una trattazione cumulativa, che ne evidenzia la fondatezza e li rende meritevoli di essere accolti, con assorbimento del terzo motivo di censura.

– La CTR, muove dalla premessa che la circostanza delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione delle disposizioni relative al regime del margine, siccome “deducibili da gravi contrasti giurisprudenziali in subiecta materia” sia suscettibile di “essere rilevata d’ufficio dal Giudice anche se non dedotta in giudizio … riguardando il citato D.Lgs., art. 8, proprio quelle obiettive condizioni”. In tal guisa, riconoscendo ab implicito che nel caso di specie detti elementi non venivano nè dedotti, nè evocati dalla contribuente, i giudici d’appello si sono posti in contrasto con il condiviso orientamento di questa Corte, espresso plurime volte, e in base al quale “In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicchè va escluso che il giudice tributario di merito decida d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, e, di conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto” (v. ex multis Cass. n. 440 del 2015; Cass. n. 4031 del 2012).

– A tanto giova soggiungere che il consolidato insegnamento giurisprudenziale – cui questo Collegio presta adesione – ha incisivamente evidenziato che in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, alla stregua del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, nè all’Ufficio finanziario, “ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere – dovere di accertare la ragionevolezza -di una determinata interpretazione” (da ultimo, Cass. n. 23845 del 2016). Sotto un profilo oggettivo, inoltre, l’incertezza presuppone “una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare” (v. ex multis Cass. n. 4522 del 2013).

– Orbene, sotto il profilo oggettivo non è decisiva l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di merito come pure la presenza di atti esplicativi emanati dall’Amministrazione finanziaria in materia, situazioni molto frequenti, mentre sotto il profilo soggettivo manca nel caso in esame ogni riferimento al giudice quale destinatario della norma tributaria asseritamente incerta; infine, la sentenza gravata, ha contraddittoriamente ritenuto esistente la causa di non punibilità per le sanzioni irrogate negli avvisi, dopo aver affermato che, in applicazione dell’ordinario onere di diligenza, sostanzialmente attraverso l’esame delle carte di circolazione dei veicoli acquistati, la ditta ricorrente in via principale avrebbe dovuto constatare l’insussistenza dei presupposti soggettivi per l’applicazione del regime del margine.

– La complessità della questione trattata – che ha imposto un intervento delle Sezioni Unite di questa Corte successivo alla presentazione dei ricorsi per cassazione – postula la compensazione integrale delle spese dell’intero processo. Si da atto dell’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie i primi due motivi del ricorso incidentale, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente; compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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