Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24705 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 19/10/2017, (ud. 22/06/2017, dep.19/10/2017),  n. 24705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13827/2011 proposto da

BANCA CARIGE s.p.a., – Cassa di Risparmio di Genova Imperia, quale

incorporante di Banca Cesare Ponti s.p.a. (CF (OMISSIS)), in persona

del legale rapp.te p.t., rapp.to e difeso per procura a margine del

ricorso dall’avv. Guido Rinaldini e dall’avv. Antonio Pacifico,

elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma alla

v. Giuseppe Ferrari n. 11;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, (CF (OMISSIS)), in

persona del curatore, rapp.to e difeso per procura a margine del

controricorso dall’avv. Nicoletta Austoni, elettivamente domiciliato

in Roma alla via degli Scipioni n. 268/A presso lo studio dell’avv.

Alessio Petretti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2525 del 2010 della Corte di Appello di

Milano, depositata in data 10 settembre 2010;

letta la requisitoria trasmessa dal P.G. in data 29.5.2017 che ha

concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello

incidentale;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 22 giugno 2017 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza n. 2525 del 2010 la Corte di Appello di Milano respingeva l’appello principale proposto dalla Banca Cesare Ponti s.p.a. e quello incidentale del Fallimento (OMISSIS) s.r.l. avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Lecco, accogliendo la domanda del Fallimento, aveva revocato L. Fall., ex art. 67, comma 2, i versamenti effettuati dopo il 30.9.2010 dalla società (OMISSIS) s.r.l. sul conto corrente di corrispondenza intrattenuto con l’istituto di credito, condannando quest’ultimo a corrispondere all’attore la somma complessiva di Euro 172.943,89, oltre agli interessi legali;

osservava la Corte che la prova della conoscenza dello stato di insolvenza era stata correttamente desunta dal tribunale tenendo conto dell’arco di tempo che normalmente intercorre tra le revoche degli affidamenti bancari e la conoscenza di esse da parte del sistema bancario, tanto che concludeva che le revoche operate da altri istituti di credito erano venute a conoscenza dell’appellante dopo circa due mesi dalle rispettive date;

osservava, inoltre, che correttamente il tribunale aveva escluso che fosse stata fornita la prova dell’affidamento di Lire 150.000.000 per apertura di credito, rilevando che tale dimostrazione non poteva nè essere desunta dal contenuto di una lettera raccomandata del 23.6.99 con la quale la banca aveva comunicato al cliente la concessione dell’affidamento (ben potendo tale affidamento essere riferito ad un diverso finanziamento di pari importo rimborsabile in 36 rate, tanto più che tale missiva condizionava l’operatività del finanziamento alla formalizzazione di alcune garanzie, del cui rilascio, però, non era stata fornita alcuna prova), nè dalla prova per testi, in quanto questi ultimi si erano limitati a confermare il contenuto della lettera del 23.6.99;

veniva – altresì – disattesa la prospettazione dell’istituto, secondo la quale il Tribunale aveva revocato anche partite bilanciate, non avendo l’appellante fornito alcuna prova dell’esistenza di accordi diretti ad assegnare alle rimesse la funzione di creare una provvista per operazioni speculari a debito;

la Corte, infine, respingeva anche l’appello incidentale proposto dalla curatela osservando -da un lato- che nella quantificazione delle somme da restituire alla banca giustamente il Tribunale aveva tenuto conto della data della registrazione dell’operazione e non del criterio della valuta (trattandosi di uno dei criteri usualmente applicati dalle banche per contabilizzare i versamenti sui conti correnti dei clienti), e dall’altro che doveva presumersi, come correttamente ritenuto dal primo giudice, che la banca fosse venuta a conoscenza dello stato di insolvenza solo dopo che le era pervenuta la segnalazione della Centrale dei Rischi – che normalmente perviene ai destinatari dei flussi informativi non prima di due mesi dalla data del fatto segnalato – e dopo che si erano manifestati gli altri indici dello stato di insolvenza (quali il mancato pagamento delle rate di mutuo ed il mancato pagamento per mancanza di provvista dell’assegno emesso dalla (OMISSIS));

avverso tale sentenza la Banca Carige s.p.a., incorporante la Banca Cesare Ponti s.p.a., propone ricorso per cassazione affidato a 5 motivi; il Fallimento propone ricorso incidentale affidato a due motivi;

il P.G. in data 29.5.2017 ha depositato la propria requisitoria domandando, previa riunione dei ricorsi, il rigetto di entrambi;

le parti hanno depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo la banca lamenta l’insufficiente, l’illogica e la contraddittoria motivazione su risultanze processuali inerenti alla conclusione del contratto di apertura di credito (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5), ben potendo desumersi l’esistenza dell’affidamento dall’operatività del conto corrente che, come desumibile dalla stessa relazione peritale, consentiva l’accredito immediato degli importi di cui agli effetti presentati, con valuta alla scadenza, senza dover attendere l’effettivo incasso;

con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 117, comma 2 T.U.B., nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, avendo la Corte omesso di considerare la deroga, consentita da tale norma, alla necessità della prova scritta per dimostrare l’esistenza dell’affidamento, trascurato di considerare le risultanze della prova testimoniale e l’assenza di qualsiasi collegamento tra la missiva del 23.6.99 ed il finanziamento rimborsabile a rate di cui alla richiesta datata 6.7.99;

con il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 2, avendo la Corte errato nel ritenere rimesse solutorie gli accrediti di importi messi a disposizione della banca in relazione alla presentazione di effetti nell’ambito dell’apertura di credito concessa;

con il quarto motivo si duole dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), avendo la Corte trascurato di considerare che se la banca avesse avuto anche solo il sentore dello stato di decozione, non avrebbe effettuato l’accredito immediato delle somme, ma quantomeno avrebbe atteso l’effettivo incasso degli effetti presentati, dovendosi inoltre escludere che l’istituto, alla data del 30.9.2000, conoscesse lo stato di insolvenza, tenendo conto della tempistica dei c.d. flussi di ritorno provenienti dalla Centrale dei Rischi; con il quinto motivo lamenta l’omessa, l’insufficiente e la contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in cui sarebbe incorsa la Corte nel non considerare le inesattezze della c.t.u., ben evidenziate e specificate nella consulenza di parte, nel conteggio di alcune rimesse che avrebbero assunto la natura di mere operazioni contabili o comunque vennero operate non allo scopo di ridurre il debito ma per fornire la provvista per il pagamento di assegni di pari importo;

con il primo motivo di ricorso incidentale il fallimento si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 1852 c.c.) e dell’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’applicabilità, ai fini della quantificazione delle somme revocabili, del criterio della data di registrazione e non di quello della data della valuta;

con il secondo motivo la curatela lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta revocabilità delle rimesse solo a decorrere dalla data del 30.9.2000;

il primo motivo è infondato: il ricorrente si sofferma, infatti, su un tema (riguardante la possibilità di desumere l’esistenza dell’affidamento dalla concreta operatività del conto, destinato all’anticipo degli effetti s.b.f.) che non risulta mai prospettato o affrontato (almeno nei termini in cui è esposto e per le conseguenze che il ricorrente vorrebbe ricavare) nel corso del giudizio;

il secondo motivo è infondato: in realtà la Corte territoriale non ha mai sostenuto l’esclusività della prova documentale ai fini della dimostrazione del contratto di apertura di credito ma si è semplicemente soffermata sulla ritenuta insufficienza dell’unico documento valorizzato dalle parti (ossia la lettera raccomandata del 23.6.99), per affermarne l’inidoneità sotto il profilo dimostrativo e ciò a cagione sia dell’equivoco tenore letterale del documento (in ciò confermando quanto già ritenuto dal Tribunale) sia dei risultati della prova per testi (la cui valutazione è compito riservato esclusivamente al giudice del merito);

anche il terzo motivo è infondato potendo ribadirsi quanto osservato in relazione al primo: la circostanza che i versamenti eseguiti sul conto non costituivano rimesse in senso tecnico (trattandosi, a dire del ricorrente, degli accrediti di importi messi a disposizione dalla banca in relazione alla presentazione degli effetti s.b.f.) è questione nuova che mai risulta prospettata in tali termini alla Corte territoriale (tanto più che tale carattere, secondo il ricorrente, poteva desumersi da quanto rilevato dal perito già nel corso del giudizio di prime cure);

anche i rilievi svolti in tema di scientia decoctionis attraverso il quarto motivo sono infondati: le considerazioni esposte a tal proposito dalla Corte territoriale, che da un lato ha considerato sufficiente l’arco temporale di due mesi per consentire il perfezionamento del c.d. flussi informativi di ritorno e dall’altro ha valorizzato, unitamente a tale elemento, altri fattori comunemente considerati sintomatici della scientia decoctionis (quali il mancato pagamento di un assegno per mancanza di fondi, il richiamo di alcuni effetti cambiari con manifesta intenzione di chiederne il protesto, il mancato pagamento in data 31.8.2000 delle rate di rimborso del finanziamento concesso), integrano un quadro indiziario più che rassicurante che il ricorrente tenta invano di superare con considerazioni che mirano a contestare, per altro in modo non convincente, solo una limitata porzione del ragionamento (cioè la reale sufficienza del bimestre a consentire la conoscenza delle informazioni di ritorno);

il quinto motivo è infondato perchè non coglie la reale ragione posta dalla Corte a fondamento della dichiarata non condivisione circa la tesi delle partite bilanciate, ossia la mancanza di prova circa l’esistenza di un accordo volto a creare la provvista per una speculare e successiva operazione di debito: secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, “in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente bancario, per potersi escludere la revocabilità di rimesse affluite su un conto scoperto, in quanto dipendenti da operazioni bilanciate, è necessario il venir meno della funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi intercorsi tra il “solvens” e raccipiens”, che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di prelievo o di pagamenti mirati in favore di terzi, così da potersi escludere che la banca abbia beneficiato dell’operazione sia prima, all’atto della rimessa, sia dopo, all’atto del suo impiego” (Cass. n. 17195 del 2014);

con il primo motivo del ricorso incidentale la curatela si duole dell’adozione da parte della Corte di merito del seguente criterio (scelto tra i tre proposti dal c.t.u.): “riclassificazione del conto secondo il c.d. saldo disponibile con adozione della data contabile per l’addebito di insoluti”; secondo il curatore, invece, il criterio corretto imporrebbe di riclassificare il conto secondo la data della valuta;

il motivo è infondato;

come precisato da Cass. n. 4762 del 2007, “in tema di revocatoria fallimentare, per determinare la revocabilità delle rimesse del fallito in un conto corrente bancario, il criterio cui fare riferimento è quello della disponibilità sul conto da parte del correntista al momento della rimessa, che non coincide necessariamente nè con il saldo per valuta, nè con quello contabile delle operazioni risultanti dall’estratto conto. A tal fine, quando nel periodo considerato emergano solo operazioni di rimesse di titoli all’ordine o di carte commerciali, può legittimamente presumersi la coincidenza del saldo disponibile con il saldo per valuta, salva la prova da parte della banca dell’anteriorità del pagamento da parte del terzo rispetto alla valuta, o comunque dell’anteriore disponibilità da parte del cliente; quando, invece, nel periodo considerato emergano solo operazioni implicanti disponibilità immediata da parte del correntista, il dato contabile coincide con quello di disponibilità; quando, infine, nel suddetto periodo appaiano sul conto sia operazioni su titoli, sia movimenti per i quali la disponibilità coincide con la data dell’operazione (prelievi o versamenti in contanti, emissione di assegni da parte del correntista), il saldo disponibile deve essere ricostruito secondo un’interpolazione tra i dati per valuta e quelli contabili, a seconda del tipo di operazione”;

alla luce di tale ventaglio di possibilità (coincidenza del saldo disponibile con il saldo per valuta, o con il saldo contabile o ricostruzione mediante il sistema dell’interpolazione), sarebbe stato onere del ricorrente incidentale specificare quale delle tre ipotesi si sia verificata nel caso in esame, precisando se nel periodo considerato emergevano dal conto solo operazioni di rimesse di titoli all’ordine o carte commerciali, o solo operazioni implicanti la disponibilità immediata da parte del correntista o contemporaneamente operazioni su titoli e movimenti per i quali la disponibilità coincide con la data contabile;

il secondo motivo di ricorso incidentale è inammissibile: è vero infatti che la Corte di merito ha ritenuto sussistente la scientia decoctionis a partire dal 30 settembre 2000, ma è anche vero che esaminando l’argomentazione resa dalla Corte (in relazione al secondo motivo di appello incidentale) si evince chiaramente come la stessa non abbia svolto un ragionamento meccanicistico ed automatico (fondato cioè sulla considerazione che alla scadenza del secondo mese il flusso informativo si sia perfezionato), ma sulla circostanza, costituente una valutazione di merito insindacabile in questa sede, secondo la quale occorrerebbe considerare in primo luogo che la segnalazione perviene ai destinatari “non prima di due mesi dalla data del fatto segnalato” ed ulteriormente il momento in cui si erano verificati gli altri indici dell’insolvenza, sicchè esaminando nel complesso tali elementi e la relativa collocazione cronologica, la Corte ha conseguentemente stabilito la data a partire dalla quale la banca non poteva non essere a conoscenza dello stato di insolvenza;

le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;

atteso il rigetto del ricorso principale ed incidentale si ritiene che sussistano i presupposti per la compensazione per le spese di giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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