Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24705 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. III, 05/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24705

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28744/2017 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO

SEGNERI 14, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO FASSARI,

rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO DE MEO;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT CREDIT MANAGEMENT BANK SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2307/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/07/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che

G.G., in proprio e quale erede di D.B.L., si opponeva all’esecuzione immobiliare promossa dalla Banca di Roma s.p.a., incorporante per fusione la Banca Mediterranea s.p.a., in forza di un mutuo ipotecario, deducendo la sopravvenuta estinzione del credito;

il Tribunale accoglieva l’opposizione ritenendo sussistente la prova dell’avvenuto adempimento;

Unicredit Credit Management Bank, s.p.a., incorporante per fusione Aspra Finance s.p.a., succeduta nel credito alla originaria titolare, appellava contestando l’idoneità delle prove documentali dall’opponente;

La Corte di appello riformava la decisione osservando che:

a) i documenti prodotti dalla difesa della G. dimostravano il c.d. “passaggio in sofferenza” contabile della posizione creditoria in parola, e non la sua definizione per intervenuto pagamento;

b) il possesso esclusivo dei documenti in discussione in capo alla banca, contrastava con la pretesa natura di quietanze, non rilasciate, invece, al debitore;

c) i “modelli di pagamento”, depositati dallo stesso istituto di credito, riportavano la stessa dizione e data, e non era verosimile che fossero stati pagati 370 milioni di vecchie Lire il medesimo giorno e per cassa, in contanti, senza neppure la segnalazione prevista dalla normativa antiriciclaggio;

d) nei modelli non erano conteggiati gli interessi moratori, di cui al contempo non risultava rinuncia da parte creditrice;

e) la banca aveva prodotto corrispondenza con cui il creditore, senza che ricevesse riscontro, successivamente alla data riportata nei modelli, sollecitava il pagamento di capitale e interessi moratori, facendo espresso riferimento al “passaggio in sofferenza” del credito;

f) sempre successivamente alla data indicata nei modelli, erano state acquisite agli atti missive, con attestazione di ricevuta della banca, con cui il coniuge dell’opponente e comutuatario D.B.L., riconosceva il debito, per capitale e interessi moratori;

g) restava quindi assorbita la necessità di vagliare la querela di falso avanzata dalla banca con riguardo ad alcune missive, provenienti dal medesimo istituto e prodotte dall’opponente che ne indicava la valenza di riconoscimento dell’estinzione integrale del debito;

avverso questa decisione ricorre per cassazione G.G., articolando due motivi;

Rilevato che:

con il primo motivo si prospetta l’omesso esame di fatti decisivi e discussi, rappresentati da:

1) la perizia contabile officiosa svolta in prime cure in cui si era constatato che i modelli erano documenti prodotti in copia fotostatica non autenticata, sicchè non poteva concludersi che si trattava di documenti in possesso esclusivo della banca, non trattandosi degli originali; il Tribunale aveva infatti indicato come non fosse certo che i modelli non fossero stati redatti in doppia copia, valorizzando il dato insieme alla distanza temporale tra inadempimento, risalente al 1997, e precetto, del 2001, alla mancanza di documenti da cui poter desumere che tra le parti fosse pacifica l’esistenza di una “posizione in sofferenza”, e alle missive provenienti dalla originaria Banca Mediterranea che supportavano la conclusione dell’estinzione anticipata del debito;

2) le missive del luglio e agosto del 1997 attestanti, da parte della banca creditrice, l’estinzione del debito, oggetto di querela di falso, non ammessa perchè ritenuta assorbita dalle altre risultanze istruttorie; con il secondo motivo si prospetta la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 112,115 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe dato seguito alle sole deduzioni difensive della banca, obliterando il tenore letterale dei documenti – recanti la dicitura “pagamento rata mutuo” – di cui, nonostante ciò, era stata disconosciuta la valenza di quietanza, in contrasto con il residuo quadro probatorio e, in specie, con le missive della banca attestanti l’estinzione del debito, laddove le missive con cui sarebbe per converso stato riconosciuto il debito erano state in parte allegate a corredo della querela di falso i ma non acquisite come materiale probatorio, in altra parte risultate nel fascicolo di primo grado parte opposta ma mai oggetto di produzione, come confermato dalla totale mancanza di rilievo ad opera del consulente tecnico d’ufficio e del Tribunale che, come detto, aveva anzi negato vi fosse alcun documento da cui poter evincere che tra le parti non fosse contestata la “posizione a sofferenza”, sicchè la decisione di seconde cure aveva pronunciato su diverso e irrituale materiale istruttorio;

Rilevato che:

i due motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

in primo luogo, va evidenziato che alla fattispecie è applicabile la previsione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che dev’essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè in cassazione è denunciabile con ipotesi che si converte in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dando luogo a nullità della sentenza – solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”; nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, ossia in manifeste e irresolubili contraddizioni, nonchè nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”; esclusa qualunque rilevanza di semplici insufficienze o contraddittorietà, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., 12/10/2017, n. 23940, e succ. conf.);

come visto, la Corte di appello nega valenza di prova dell’estinzione anticipata del debito ai modelli bancari di pagamento, in forza di molteplici elementi istruttori, riassunti in parte narrativa, vagliati, pertanto, per apprezzare la concludenza o meno del tenore letterale emergente dagli stessi;

da questo punto di vista le censure si risolvono in una richiesta di rilettura istruttoria, inammissibile in sede di legittimità, a cominciare dal sollecito di nuovo apprezzamento delle indicazioni riportate dalla consulenza contabile officiosa;

quanto al possesso esclusivo dei modelli, inoltre, risulta nuova la deduzione che si trattasse di fotocopia non autenticata o che potesse esserci una redazione in doppio originale, poichè non si dimostra che tali deduzioni siano state rese oggetto di allegazione assertiva della parte, in primo così come in secondo grado;

peraltro, tutto ciò non incide sull’ulteriore osservazione indiziaria della Corte di appello per cui si era trattato di produzione ad opera del creditore e non del debitore;

quanto alle missive oggetto di querela di falso, poi, non se ne riporta il compiuto contenuto in ricorso, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, da intendere, al riguardo, quale elemento di necessaria specificità della censura (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);

quanto sopra, d’altro canto, già supera la pretesa violazione descritta nel secondo motivo, censurandosi solo uno degli elementi posti dalla Corte di appello a base delle sue conclusioni (quale riassunto alla lettera f) della parte narrativa), ma resta fermo che in ricorso (a pag. 15) si rinvia, sul punto, alla comparsa di costituzione in prime cure e all’atto di appello, senza specificare neppure se vi sia stata o meno, in primo grado, integrazione istruttoria ex art. 184 c.p.c., con conseguente ulteriore difetto di necessaria specificità della censura;

non deve disporsi sulle spese stante la mancata difesa di parte intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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