Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24703 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 03/10/2019), n.24703

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17980/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente, controricorrente al ricorso incidentale –

contro

PENSION MANAGEMENT (SWF) LIMITED, rappresentata e difesa dall’avv.

Castellani Enrico e dall’avv. Arossa Fabrizio, elettivamente

domiciliata in Roma, piazza del Popolo n. 18, presso lo studio

dell’avv. Arossa Fabrizio;

– controricorrente, ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, sezione n. 6, n.

579/6/14, pronunciata il 27/03/2014, depositata il 26/05/2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 maggio

2019 dal Consigliere Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La società Pension Management (SWF) Limited, con sede legale ad Edimburgo (Regno Unito), impugnò il provvedimento con il quale il Centro operativo di Pescara aveva rigettato diciotto istanze di rimborso del credito di imposta, sui dividendi su titoli azionari emessi da società italiane, avanzate ai sensi della Convenzione per evitare le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329, art. 10, comma 4;

la CTP, con sentenza n. 1753/1/2010, rigettò il ricorso;

2. la CTR dell’Abruzzo, con la sentenza in epigrafe, disattesa l’eccezione della società di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertare l’infondatezza della richiesta di rimborso, per lo spirare del termine D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, ha accolto l’appello della società scozzese, ravvisandone la legittimazione a chiedere il rimborso in quanto essa aveva acquistato le azioni ed aveva incassato i relativi dividendi, che avevano concorso a formare il suo reddito, oggetto di regolare e ordinaria tassazione, come certificato dagli uffici fiscali del Regno Unito, senza beneficiare di alcun trattamento di favore o differenziato;

il giudice d’appello ha soggiunto che il fondo interno che la società aveva costituito era funzionale alla gestione dei suoi investimenti nel settore previdenziale e pensionistico, ma era privo di soggettività giuridica, anche sul piano fiscale, sicchè, diversamente da quanto prospettato dalla difesa erariale, la società scozzese “una volta corrisposto il dovuto allo stato estero” era divenuta portatrice del diritto ad ottenere il rimborso, per “scongiurare la doppia imposizione”;

3. l’Agenzia ricorre per la cassazione della sentenza della CTR, sulla base di tre motivi, cui la società resiste con controricorso – illustrato con una memoria – nel quale articola anche un ricorso incidentale, affidato ad un motivo, al quale, a sua volta, l’Ufficio resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo del ricorso principale, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della decisione per sostanziale carenza di motivazione, l’Agenzia censura la sentenza impugnata, che avrebbe completamente omesso di esaminare la disciplina convenzionale, per stabilire se essa consentisse o meno alla società di ottenere il rimborso del credito d’imposta, preteso per il solo fatto di essere astrattamente soggetta ad imposizione nel Paese di residenza e di avere incluso i dividendi nella propria dichiarazione fiscale, o se, allo stesso fine, fosse necessario dimostrare, altresì, che i dividendi percepiti all’estero erano stati concretamente assoggettati a imposta dal Paese della percipiente;

2. con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della Convenzione stipulata tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni, approvata e resa esecutiva con L. 5 novembre 1990, n. 329, l’Agenzia censura la decisione impugnata per avere, implicitamente, affermato che il credito d’imposta compete per il solo fatto che il beneficiario sia astrattamente assoggettato ad imposizione dal Paese di residenza e abbia, quindi, incluso i dividendi nella propria dichiarazione, indipendentemente dalla dimostrazione dell’effettivo assoggettamento ad imposizione in tale altro Stato, laddove, invece, la corretta esegesi della detta convenzione contro le doppie imposizioni riconosce il beneficio del rimborso del credito d’imposta in caso di concreta applicazione di una duplice tassazione del medesimo reddito, sia nello Stato-fonte che in quello di residenza;

assume, a tale proposito, che un simile principio è stato riconosciuto anche dalla Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo dell’11/11/2011, per la quale: “non vi è doppia imposizione se non c’è effettivo pagamento di imposte nell’altro Stato”; la ratio della disposizione convenzionale, come affermato da questa Corte (Cass. n. 5943/2009; n. 4164/2013): “esige non solo il pagamento e la conseguente riscossione dei dividendi, ma anche la loro tassazione nel Paese beneficiario dei dividendi.”;

nella specie, mancando il presupposto di un’effettiva doppia imposizione, in virtù del regime di esenzione fiscale di cui usufruiscono nel Regno Unito i redditi relativi al ramo pensionistico, la domanda di rimborso non avrebbe potuto essere accolta;

varrebbe ad escludere il presupposto dell’effettiva doppia imposizione anche la concorrente applicazione della normativa comunitaria (Direttiva c.d. “madre-figlia” n. 90/435/CEE) che regola autonomamente il fenomeno della tassazione dei dividendi a carico delle società “madri” e delle società “figlie”, dettando una disciplina complementare, rispetto a quello delle convenzioni bilaterali tra Stati, finalizzata anch’essa a contrastare la doppia imposizione, sia in senso giuridico che in senso economico;

3. con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo della causa, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, si censura la decisione impugnata per non avere esaminato la questione, prospettata dall’Amministrazione finanziaria, relativa all’avvenuto pagamento o meno delle imposte, nel Paese di residenza della percipiente;

3.1. i tre motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono infondati;

secondo la tesi dell’Agenzia, una corretta esegesi della convenzione tra Italia e Regno Unito contro le doppie imposizioni consentirebbe di riconoscere il beneficio del rimborso del credito d’imposta, alla società di Edimburgo, solo se i dividendi sui titoli azionari emessi da società quotate italiane siano stati sottoposti a tassazione dallo Stato della percipiente;

al riguardo questa Corte ha espresso due diversi orientamenti;

3.1.1. per un verso, in passato, trattando dell’art. 10 della convenzione bilaterale italo-svizzera contro le doppie imposizioni (recante la previsione di una competenza impositiva dello Stato di pagamento dei dividendi concorrente con quella principale dello Stato di residenza del percipiente con il limite dell’aliquota massima del 15%) – norma sovrapponibile all’art. 10 della convenzione tra l’Italia e il Regno Unito -, la Corte (Cass. 19/11/2010, n. 23431; conf.: Cass. 19/10/2018, n. 26377; 29/11/2017, n. 28573), ha affermato che: “appare più aderente allo spirito ed agli scopi della suddetta Convenzione ritenere, in forza della disposizione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 75, che la disciplina di cui all’art. 27 del medesimo decreto non trovi applicazione in materia, ed interpretare perciò la norma convenzionale in questione nel senso che la minore imposta ivi prevista è applicabile per il solo fatto della soggezione del dividendo alla potestà impositiva principale dell’altro Stato, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta. La sufficienza del solo fattore in sè della esistenza del potere impositivo principale dell’altro Stato, deve ritenersi infatti coerente con le finalità delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, le quali hanno la funzione di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali, onde evitare che i contribuenti subiscano un maggior carico fiscale sui redditi percepiti all’estero ed agevolare l’attività economica e d’investimento internazionale (Cass. 1231/01, 2532/01);”;

facendo applicazione di questo principio di diritto, non è dunque corretto subordinare il rimborso della ritenuta alla circostanza che la società percipiente estera abbia effettivamente ‘sborsatò, nel Paese UE di residenza, l’imposta sul dividendo proveniente dall’Italia;

è (necessario e) sufficiente, invece, che tale dividendo concorra alla formazione del reddito complessivo, ancorchè non sussista effettivo prelievo fiscale;

3.1.2. per altro verso, la Corte, in numerose pronunce, anche recenti (Cass. 20/02/2013, n. 4164-4165, 23/09/2016, n. 18628, 24/02/2017, n. 4771, 6/10/2017, n. 23367, 15/02/2019, n. 4568), ha affermato che il diritto al credito di imposta sancito dall’art. 10 della convenzione bilaterale: “presuppone la duplice dimostrazione che la società del Regno Unito che riceve i dividendi ne sia “la effettiva beneficiaria” e che la società che “riceve i dividendi ed il credito di imposta sia a tale titolo soggetta all’imposta nel Regno Unito”, gravandone il corrispondente onere probatorio – che investe gli elementi costitutivi del diritto del contribuente beneficiario dei dividendi a non subire una seconda tassazione della stessa ricchezza già tassata in capo alla società, e di conseguire il rimborso di quanto indebitamente pagato sulla società che abbia percepito i predetti dividendi.” (Cass. nn. 4164 4165/2013);

3.1.3. nel caso concreto, tuttavia, la questione di diritto attorno alla quale ruota la critica dell’Agenzia non è dirimente giacchè la CTR, con un accertamento di fatto, privo di incongruenze logiche e, perciò, insindacabile in sede di legittimità, ha riconosciuto che la società scozzese era assoggettata, nel Paese di residenza, all’imposta sul reddito delle società (corporation tax) e che, inoltre, aveva dato prova di avere “corrisposto il dovuto nello stato estero” (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), “come inequivocabilmente certificato dagli uffici fiscali del Regno Unito comprovante l’insussistenza del godimento di qualsivoglia trattamento di favore o comunque favorevolmente differenziato.” (ibidem, pag. 4);

4. con l’unico motivo del ricorso incidentale, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43, la contribuente, nell’ipotesi di accoglimento dei motivi del ricorso principale, censura la decisione impugnata per avere rigettato, in via preliminare, l’eccezione formulata dalla società del Regno Unito di decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere di accertare l’infondatezza della richiesta di rimborso, per decorrenza del termine D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, in relazione alle istanze non rimborsate, e dal potere di chiedere la restituzione degli importi di cui alle istanze rimborsate, per decorso del termine D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 43;

4.1. il motivo resta assorbito per effetto del rigetto del ricorso principale;

5. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

6. atteso che è soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere Amministrazione pubblica, difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna l’Agenzia delle entrate a corrispondere alla contribuente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00, a titolo di compenso, oltre a Euro 200,00 per esborsi, al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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