Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24699 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 23/11/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 23/11/2011), n.24699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.G., rappresentato e difeso dall’Avv. MARRA Alfonso

Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge

presso la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale

dello Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via

dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Napoli n.

3879/08 depositato il 29 marzo 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 7 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.G. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha rigettato il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Campania dal 12.10.1990 al 3.12.2009.

L’intimata Amministrazione ha proposto controricorso.

Il Collegio ha disposto la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i plurimi motivi di ricorso che possono essere trattati congiuntamente il ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto insussistente il patema d’animo conseguente alla durata del giudizio amministrativo in considerazione della sua condotta processuale negligente.

Il ricorso non è fondato.

Premesso che “In tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente” (Sez. 1, Sentenza n. 19666 del 13/09/2006), il giudice a quo ha dato rilievo, al fine di escludere la sussistenza del patema d’animo, non già alla sola condotta neghittosa tenuta dalla parte che non ha sollecitato la decisione (idonea di per sè sola a giustificare unicamente una diminuzione del quantum) ma al disinteresse all’esito del giudizio talmente evidente da provocare la perenzione del medesimo, avendo il ricorrente omesso di attivarsi per richiedere la fissazione dell’udienza pur a fronte della certezza che nessuna decisione sul merito sarebbe stata assunta in base alla disposizione secondo cui “A cura della segreteria è notificato alle parti costituite, dopo il decorso di dieci anni dalla data di deposito dei ricorsi, apposito avviso in virtù del quale è fatto onere alle parti ricorrenti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza con la firma delle parti entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso medesimo. I ricorsi per i quali non sia stata presentata nuova domanda di fissazione vengono, dopo il decorso infruttuoso del termine assegnato, dichiarati perenti con le modalità di cui alla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 26, u.c. introdotto dal comma 1 del presente articolo (L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9, comma 2).

Essendo tale motivazione sufficiente a giustificare la decisione sono assorbiti i motivi che attengono ad ulteriori argomentazioni addotte dal giudice del merito.

Il ricorso deve dunque essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 1.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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