Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24698 del 14/09/2021

Cassazione civile sez. lav., 14/09/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 14/09/2021), n.24698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1826/2015 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 74/C,

presso lo studio dell’avvocato SAVERIO MENNITI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO TORCHIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA – UFFICIO

SCOLASTICO REGIONALE PER LA CALABRIA, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso il cui Ufficio domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 747/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/07/2014 R.G.N. 1317/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA

Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis,

convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020 n. 176, ha

depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 747/2014, decidendo sull’impugnazione proposta da G.S. nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca oltre che dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, confermava la pronuncia di prime cure che aveva respinto la domanda del G., direttore generale dei servizi amministrativi presso l’Istituto Tecnico Industriale di (OMISSIS), intesa ad ottenere il riconoscimento (giusta domanda dell’1/12/2005) del diritto a permanere in servizio fino al compimento del 70 anno di età.

2. Riteneva la Corte territoriale che in nessuno degli atti richiamati dall’appellante fosse individuabile un’autorizzazione alla permanenza in servizio del G., trattandosi di atti da cui, al contrario, si evinceva che la procedura autorizzatoria era ancora in itinere.

Escludeva che, a fronte dell’istanza del G. dell’1/12/2005, potesse configurarsi un decorso temporale rilevante ai fini della disciplina del silenzio-assenso, non venendo in considerazione atti amministrativi in senso stretto, ma solo atti di gestione del rapporto di lavoro con conseguente inapplicabilità della L. n. 241 del 1990.

3. Per la cassazione della sentenza G.S. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

4. Il MIUR e l’Ufficio Scolastico Regionale della Calabria hanno depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

5. Il Collegio ha proceduto in Camera di consiglio ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con L. n. 176 del 2020, in mancanza di richiesta di discussione orale.

6. Il Procuratore generale ha formulato le proprie motivate conclusioni, ritualmente comunicate alle parti, insistendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 33, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente ritenuto insussistenti le condizioni per il suo mantenimento in servizio.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato il discutibile, illogico e contraddittorio comportamento delle Amministrazioni intimate, manifestatosi anche attraverso provvedimenti favorevoli al ricorrente fino al definitivo ingiustificato diniego.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 20 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Censura la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto l’insussistenza d’un provvedimento di autorizzazione idoneo a consentire la permanenza in servizio presso l’Istituto Superiore (OMISSIS) e l’inapplicabilità della normativa del silenzio-assenso.

2. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente stante l’intrinseca connessione, presentano profili di inammissibilità e sono comunque infondati.

2.1. Gli stessi, infatti, denunciano violazioni di norme di diritto, ma non formulano le censure così come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, trascurando di considerare che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’elencazione delle norme di diritto asseritamente violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (v. Cass. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. 15 gennaio 2015, n. 635; Cass. 1 dicembre 2014, n. 25419; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038).

2.2. Nella specie, i motivi, nonostante la veste formale della denuncia di violazione e falsa applicazione di legge, nella sostanza censurano quelli che sono stati accertamenti in fatto della Corte territoriale concernenti la sussistenza o meno di un’autorizzazione che, nel caso specifico, avrebbe potuto impedire l’operatività della nuova regola preclusiva della possibilità di chiedere il trattenimento in servizio sino al compimento dei settant’anni.

2.3. Occorre premettere che il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 33, convertito in L. n. 248 del 2006, ha al comma 1, abrogato il secondo, terzo, quarto e quinto periodo del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 16, comma 1 (introdotti con la L. n. 186 del 2004, art. 1-quater) che consentivano ai pubblici dipendenti di chiedere il trattenimento in servizio sino al compimento di settant’anni.

La suddetta norma ha altresì previsto, al comma 2, che: “I dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, con esclusione degli appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia, del personale delle forze armate e delle forze di polizia ad ordinamento militare e ad ordinamento civile, del personale del corpo nazionale dei vigili del fuoco, nei confronti dei quali alla data di entrata in vigore del presente decreto sia stata accolta e autorizzata la richiesta di trattenimento in servizio sino al settantesimo anno di età, possono permanere in servizio alle stesse condizioni giuridiche ed economiche, anche ai fini del trattamento pensionistico, previste dalla normativa vigente al momento dell’accoglimento della richiesta”.

Dall’entrata in vigore della suddetta normativa non era quindi più possibile il trattenimento in servizio dei dipendenti fino ai 70 anni d’età, fatta salva la disposizione transitoria di cui alla seconda parte del medesimo comma 2.

2.4. Il ricorrente, invero, aveva presentato domanda l’1/12/2005 e, dunque, prima della suddetta abrogazione.

2.5. La questione sottoposta all’esame della Corte con il primo motivo di ricorso coinvolge, da un punto di vista formale, la disciplina transitoria di cui al comma 2 sopra citato ma, di fatto, attiene alla ritenuta mancanza di un provvedimento autorizzatorio, necessario – secondo quanto previsto da tale disposizione transitoria – per poter permanere in servizio oltre i limiti di età.

2.6. Ne’ si rinvengono nella decisione impugnata errori in diritto.

2.7. In materia di trattenimento in servizio oltre i limiti di età, questa Corte ha già affermato che il relativo diritto è condizionato alla facoltà della P.A. di accogliere la richiesta in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali ed in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti (v. Cass. 7 ottobre 2013, n. 22790; Cass. 16 ottobre 2017, n. 24372).

Il dipendente, poi, può vantare non già un diritto soggettivo, ma un mero interesse all’accoglimento della richiesta (v. Cass. 1 luglio 2014, n. 14946).

Per costante giurisprudenza di questa Corte, inoltre, in tema di rapporto di lavoro privatizzato, gli atti e procedimenti posti in essere dall’Amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, secondo una precisa scelta legislativa (nel senso dell’adozione di moduli privatistici dell’azione amministrativa) che la Corte costituzionale ha ritenuto conforme al principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. (sentenze nn. 275 del 2001 e 11 del 2002).

A tale autorizzazione si riferisce, come detto, la disposizione transitoria di cui al D.L. n. 223 del 2006, citato art. 33, comma 2, che fa, appunto, salva la situazione di coloro nei confronti dei quali alla data di entrata in vigore del decreto sia stata accolta e autorizzata la richiesta di trattenimento in servizio sino al settantesimo anno di età.

2.8. Orbene, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto che il G. non avesse alcun diritto soggettivo ad essere trattenuto in servizio presso l’Istituto Superiore (OMISSIS), ma un mero interesse subordinato all’autorizzazione dell’Amministrazione.

2.9. Ne’ è condivisibile, alla luce della richiamata giurisprudenza di questa Corte, l’assunto del ricorrente che invoca la normativa sul silenzio-assenso anche nell’ambito dei rapporti pubblici privatizzati e ciò proprio perché la L. n. 241 del 1990, si applica agli atti amministrativi propriamente detti, non agli atti – ormai di natura privatistica – di gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze d’una pubblica amministrazione (cfr. Cass. 18 febbraio 2005, n. 3360; Cass. 22 febbraio 2006, n. 3880; Cass. 17 settembre 2008, n. 23741; Cass. 22 agosto 2013, n. 19425).

Dunque, correttamente è stata esclusa l’applicabilità della L. n. 241 del 1990, ed in particolare la disciplina del silenzio-assenso.

Le norme della L. n. 241 del 1990, riguardano, infatti, i procedimenti strumentali all’emanazione da parte della P.A. di atti autoritativi, destinati ad incidere sulle situazioni giuridiche soggettive dei relativi destinatari e caratterizzati dalla situazione di preminenza dell’organo che li adotta. Dette norme, quindi, non sono applicabili agli atti concernenti il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, i quali sono adottati nell’esercizio dei poteri propri del datore di lavoro privato, connotati dalla supremazia gerarchica, ma privi dell’efficacia autoritativa propria del provvedimento amministrativo (cfr., in tal senso anche Cass. 27 giugno 2013, n. 16224; Cass. 28 settembre 2016, n. 19183; Cass. 28 dicembre 2018, n. 33557).

2.10. Per il resto, il ricorrente sviluppa censure di merito che tendono ad una rivalutazione dei fatti, non consentita in questa sede.

3. Ne’ miglior sorte ha la denuncia di omesso esame.

3.1. Il secondo motivo, si colloca, infatti, fuori del perimetro del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, come delineato da questa Corte a Sezioni Unite nella decisione n. 8053 del 7 aprile 2014 dovendosi ricordare che non costituiscono “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, gli elementi istruttori dei quali si lamenti il mancato esame o valutazione da parte della Corte d’appello, in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Corte di cassazione, ossia invocando un nuovo giudizio di merito, oppure definendo come “fatto decisivo” indebitamente trascurato dalla Corte d’appello quello che, in realtà, non è altro che il compendio dei materiali di causa (v. anche Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass. 8 novembre 2019, n. 28887).

Anche di recente le Sezioni Unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 c.p.c., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2019, n. 33373; Cass., Sez. Un., 16 novembre 2020, n. 25950).

3.2. Il ricorrente, nella specie, chiede una rivalutazione probatoria inammissibile in sede di legittimità.

Peraltro, la Corte territoriale, lungi dall’aver ignorato le circostanze fattuali addotte dall’appellante (quali i provvedimenti depositati in giudizio e la condotta dell’Amministrazione), ha escluso, sulla base della complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, che il dipendente avesse ottenuto il provvedimento di autorizzazione.

Sul punto deve anche ribadirsi l’indirizzo consolidato in base al quale “la valutazione delle risultanze probatorie e la scelta, tra queste, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la decisione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, con la conseguenza che il controllo di legittimità da parte della Corte di Cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo la sua congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova, non essendo conferito alla S.C. il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui e’, appunto, riservato l’apprezzamento dei fatti” (cfr. ex plurimis Cass. 13 marzo 2011, n. 6288; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. 9 agosto 2007, n. 17477).

La valutazione probatoria, come anche l’apprezzamento dei fatti, attiene al libero convincimento del giudice e non al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

4. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

5. Nulla va disposto per le spese del presente giudizio di legittimità, non avendo l’Avvocatura dello Stato svolto attività difensiva ulteriore rispetto al mero atto di costituzione di cui allo storico di lite che precede.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021

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