Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24698 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 03/10/2019), n.24698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9854/2013 R.G. proposto da:

FONDO PENSIONE AGENTI PROFESSIONISTI DI ASSICURAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avv. Giuseppe Tinelli, elettivamente domiciliato

presso il suo studio, in Roma, via di Villa Severini n. 54;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale/di Roma, n.

1249/12, pronunciata il 22/02/2012, depositata il 23/02/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 maggio

2019 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Commissione tributaria di primo grado Sez. di Roma accolse il ricorso del Fondo Pensione Agenti Professionisti di Assicurazione avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria alla sua istanza di rimborso delle somme versate a titolo di acconto e a titolo di saldo dell’IRPEG dovuta, per il periodo d’imposta 1978, sugli interessi maturati sui contributi degli iscritti, ritenendo applicabile l’art. 41 TUIR, che escludeva dalla tassazione, come reddito di capitale, gli interessi moratori e compensativi;

2. la CTC ha accolto il gravame interposto dalla Direzione Regionale delle Entrate del Lazio avverso la decisione d’appello che, a sua volta, aveva confermato la sentenza di primo grado, rilevando che: “l’istanza di rimborso, presentata, in data 1/04/1980, risulta in termini ex art. 38 D.P.R. n. 602 del 1973 (18 mesi dal versamento), per ambedue le quote versate, mentre il ricorso, proposto in data 19/09/1981, risulta tardivo – D.P.R. n. “636 del 2″ (recte: D.P.R. n. 636 del 1972), ex art. 16 nel testo vigente ratione temporis – per superamento del termine di 60 giorni dalla data di formazione del silenzio rifiuto (90 giorni dalla proposizione dell’istanza di rimborso, cioè dall’1/04/1980).” (cfr. pag. 2 della sentenza della CTC di Roma);

3. il contribuente propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza della CTC di Roma, mentre l’Agenzia delle entrate resiste con atto di costituzione, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo del ricorso, denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 22, comma 4, art. 2909 c.c., art. 100 c.p.c., l’ente ricorrente censura la decisione della CTC per avere pronunciato sul merito del gravame dell’ufficio, omettendo di rilevare l’inammissibilità dell’appello di quest’ultimo contro la sentenza di primo grado;

assume, al riguardo, che la Commissione tributaria di primo grado aveva accolto il ricorso introduttivo del contribuente osservando che, con l’entrata in vigore del TUIR, gli interessi compensativi e moratori non erano tassabili come reddito di capitale, con la precisazione che la disciplina del testo unico era applicabile anche ai periodi di imposta pregressi, per esplicita previsione del D.P.R. n. 42 del 1988, art. 36;

sicchè, per evitare la formazione del giudicato sul punto, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto impugnare specificamente tale autonoma ratio decidendi della pronuncia di primo grado;

coll’ulteriore conseguenza della nullità della sentenza della CTC, per non avere rilevato ex officio il profilo d’inammissibilità dell’appello della Direzione Regionale dell’Entrate, che aveva omesso di impugnare tale specifica ratio decidendi della pronuncia di primo grado;

1.1. il motivo è infondato;

nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità dell’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass. 15/01/2019, n. 707);

tale principio di diritto vale a maggior ragione con riferimento alla disciplina dettata dal D.P.R. n. 636 del 1972, art. 22, comma 4, applicabile ratione temporis al caso di specie, il quale, nello stabilire che: “L’atto di appello deve contenere l’indicazione della decisione impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi dell’impugnazione.”, a differenza del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non prescriveva che il motivo di gravame fosse “specifico”;

orbene, dalla lettura dell’atto di appello dell’erario, riprodotto per autosufficienza nel ricorso per cassazione del contribuente, si evince univocamente l’intento impugnatorio dell’intera pronuncia di primo grado, compresa, quindi, la ratio decidendi su cui essa poggiava;

2. con il secondo motivo, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, comma 3, del D.P.R. n. 739 del 1981, art. 7, artt. 24 e 111 Cost., l’ente ricorrente censura la decisione della CTC che, nell’affermare la tardività del ricorso introduttivo, ai sensi del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, per essere stato proposto in data 17/09/1981, oltre il termine di 150 dalla presentazione dell’istanza di rimborso datata 1/04/1980 (ossia oltre il 15/10/1980, computato anche il periodo di sospensione feriale), avrebbe trascurato che, nel corso del giudizio, era entrato in vigore del citato D.P.R. n. 739 del 1981, art. 7, che aveva integralmente sostituito l’art. 16, u.c., prevedendo, che: “Trascorsi almeno novanta giorni dalla presentazione dell’istanza di rimborso, senza che sia stato notificato il provvedimento dell’ufficio tributario sulla stessa, il ricorso può essere proposto fino a quando il diritto al rimborso non è prescritto.”;

ragione per cui, secondo la prospettazione difensiva del fondo ricorrente, posto che al momento della proposizione del ricorso non era ancora maturato il termine di cui all’art. 2946 c.c., il giudice a quo avrebbe dovuto dichiarare la tempestività del medesimo atto d’impulso processuale;

2.1. il motivo è fondato;

la ripetizione delle somme versate dal contribuente a titolo di IRPEG era inizialmente regolata dal combinato disposto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in materia di riscossione delle imposte dirette, e del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, comma 3, sulla disciplina del contenzioso tributario;

la prima norma (art. 38), nella formulazione temporalmente vigente, poneva a carico del contribuente l’onere di presentare apposita istanza all’intendente di finanza, nel termine di diciotto mesi dalla data del versamento;

la seconda norma (art. 16) disponeva che, in tutte le ipotesi di tributi corrisposti “senza preventiva imposizione”, il contribuente che intendesse agire per la ripetizione del pagamento in via giurisdizionale era tenuto a notificare all’Amministrazione un’intimazione a provvedere e, solo dopo che fossero decorsi inutilmente novanta giorni da questa, poteva, nell’ulteriore termine di sessanta giorni, adire la Commissione tributaria di primo grado; nel caso di specie, considerato che è pacifico che l’istanza di rimborso, presentata in data 1/04/1980, riguardante l’annualità 1978, sul piano sostanziale, era tempestiva per ambedue le quote versate, risultando in termini del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38,(18 mesi dal versamento), diversamente da quanto affermato dalla CTC, trova applicazione lo ius superveniens, ossia il citato D.P.R. n. 739 del 1981, art. 7, che, come suaccennato, ha integralmente sostituito l’art. 16, u.c., prevedendo, che: “Trascorsi almeno novanta giorni dalla presentazione dell’istanza di rimborso, senza che sia stato notificato il provvedimento dell’ufficio tributario sulla stessa, il ricorso può essere proposto fino a quando il diritto al rimborso non è prescritto.”;

la norma sopravvenuta, entrata in vigore dal 1/01/1982, ha avuto l’effetto di sostituire il più breve termine di decadenza di 60 giorni (dalla potestà d’impugnare il silenzio-rifiuto), con il più ampio termine di prescrizione (per l’esercizio del diritto di ripetizione dell’indebito), disciplinato dagli artt. 2934 c.c. e s.s., nella specie non ancora maturato al momento dell’entrata in vigore della nuova norma;

un simile approdo ermeneutico del dato normativo si appalesa conforme ai principi di diritto sovranazionale e al precetto della Corte di Strasburgo che ha ripetutamente affermato che gli organi giudiziari degli Stati membri, nell’interpretazione della legge processuale: “devono evitare gli eccessi di formalismo, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel diritto di accesso ad un tribunale previsto e garantito dall’art. 6 della CEDU del 1950” (Corte EDU, II sezione, 28.6.2005, Zednik c. Repubblica Ceca, in causa 74328/01; Corte EDU, I sez., 21.2.2008, Koskina c. Grecia, in causa 2602/06; e Corte EDU, I sez., 24.4.2008. Kemp c. Granducato di Lussemburgo, in causa 17140/05);

nel caso concreto la CTC, discostandosi da tale principio giuridico, ha erroneamente disconosciuto l’esatta portata applicativa della norma sopravvenuta, che appare coerente con l’oggetto del giudizio di rimborso, il quale si sostanzia nella richiesta del contribuente di accertamento dell’inesistenza del credito dell’Amministrazione finanziaria (accertamento negativo del credito) e di condanna della stessa alla restituzione dell’indebito, entro gli ordinari termini di prescrizione;

3. ne consegue che, infondato il primo motivo e fondato il secondo, la sentenza è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR del Lazio, alla quale si demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 3 ottobre 2019

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