Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24695 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 03/10/2019), n.24695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 17491/2015, proposto da:

H.A., quale erede di F.L., rappresentata e difesa

dall’avv. Fabio Pace, come da mandato a margine del ricorso, presso

il cui studio è elettivamente domiciliata in Milano, al corso di

Porta Romana n. 89/b;

– Ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Controricorrente –

Avverso la sentenza n. 3630/09/2014 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositata il 03/06/2014 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 maggio

2019 dal Consigliere Rosita D’Angiolella.

Fatto

RITENUTO

che:

H.A., quale erede di F.L., ex dirigente ENEL deceduto nel febbraio 2002, impugnò il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria avverso l’istanza di rimborso Irpef, a suo dire indebitamente ritenuta alla fonte, sull’importo erogato a titolo di corresponsione anticipata della pensione integrativa prevista dall’accordo nazionale del 16 maggio 1985.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma (di seguito, per brevità, CTP), accoglieva la domanda avanzata in subordine condannando l’Ufficio a corrispondere la differenza tra quanto trattenuto e quanto dovuto in applicazione dell’aliquota del 12,50%, oltre interessi.

Tale decisione, appellata dall’Ufficio, veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio (di seguito, per brevità, CTR) sul rilievo che il capitale corrisposto anticipatamente in sostituzione della rendita previdenziale derivante dalla polizza assicurativa convertita in rapporto di previdenza, doveva soggiacere a tassazione con aliquota del 12,50% e non all’aliquota media applicata dal TFR.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate lamentando, tra l’altro, la violazione e falsa applicazione della L. n. 486 del 1985, art. 6.

Con sentenza n. 7725 del 27/03/2013, veniva accolto parzialmente il ricorso, con rinvio ad altra sezione della CTR, richiamandosi il principio di diritto enunciato con Cass. Sez. U. n. 13642 del 2011, secondo cui la ritenuta del 12,50% doveva ritenersi applicabile solo sulle somme rinvenienti dalla liquidazione del cd. rendimento netto, imputabile alla gestione del mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

La CTR adita dal contribuente (l’erede H.A.) in sede di riassunzione, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l’appello dell’Ufficio e dichiarava non dovuto il rimborso delle somme, in quanto “(…) il contribuente non solo non ha provato che una parte del rendimento fosse da assoggettare alla minore aliquota irpef sopra indicata, ma ha addirittura prodotto documentazione che dimostra la correttezza del regime di tassazione separata applicato alla somme da lui percepite (…)”.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione H.A., affidandosi a sei motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente lamenta, in relazione, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 482 del 1995, art. 6, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42, comma 4, del D.L. 31 dicembre 1986, n. 669, art. 1, comma 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16 e 17. Con il secondo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697, 115,167 c.p.c. e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, norma quest’ultima di cui assume la violazione anche nel terzo motivo di gravame in combinato disposto con il D.Lgs. cit., art. 63; con il quarto motivo, denuncia l’illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame su un fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nell’individuazione della tipologia di rendimento in base alla documentazione allegata (certificazione Enel, perizia, controdeduzioni di cui alle memorie), vizio che denuncia anche con il quinto motivo, per la mancata quantificazione del rendimento; con il sesto motivo di ricorso, deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 e degli artt. 384 e 392 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR dato un’applicazione errata ed apparente del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nella sentenza di rinvio. I primi due motivi ed il sesto, strettamente connessi sostenendo la tesi secondo cui il principio affermato dalle Sezioni Unite andrebbe sezionato distinguendo, da un lato, il fondo P.I.A. (il cui rendimento di polizza sarebbe da ritenere comunque sottoposto al regime fiscale di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, ancorchè non ottenuto attraverso la gestione del capitale accantonato sul mercato) e, dall’altro, il fondo denominato FONDENEL (al quale soltanto andrebbe correlato il riferimento al rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato del capitale accantonato)- possono trattarsi congiuntamente; essi sono infondati ed il loro rigetto assorbe l’esame del terzo e del quarto; anche il quinto è infondato.

Occorre anzitutto rammentare che, a decorrere dal 1 gennaio 1986 (in base al CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel, art. 12, comma 4), venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986 (16 aprile 1986), a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).

Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale, con diritto degli aderenti alla liquidazione dell’intero capitale in luogo della rendita vitalizia.

Risulta dalla sentenza della CTR capitolina – nonchè dal principio di diritto enunciato da Cass. n. 7725 del 2013 riportato nella sentenza in epigrafe – che F.L. si è iscritto al Fondo anteriormente al 1993.

Ciò posto, secondo i principi di questa Corte consolidatisi proprio a seguito della sentenza delle Sez. U. 22 giugno 2011, n. 13642, richiamata anche in ricorso, in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) ed art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dal L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 cit., art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

E’ altresì principio consolidato, che il trattamento tributario dei “vecchi” iscritti, quindi prima del 21 aprile 1993, dipende dalla “composizione strutturale delle prestazioni”, che sono appunto composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole misura dal lavoratore) e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato.

Sul punto, la successiva ed attuale giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 26 aprile 2017 n. 10285 e Cass. 18 ottobre 2017, n. 24525; Cass., 7 marzo 2018, n. 5436; Cass. 2 marzo 2018 n. 4941) si è già attestata, con numerosi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario (o comunque di riferimento) del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento.

Pertanto, l’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 (con aliquota del 12,50%), si giustifica in ragione della “equiparazione” tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dall’art. 41 t.u.i.r. (ora 44), comma 1, lett. g – quater) e art. 42 t.u.i.r. (ora 45), comma 4, con applicazione analogica dell’art. 6 suddetto ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione.

Solo se e in quanto, dunque, nei capitali corrisposti possano identificarsi “redditi di capitali derivanti da contratti di capitalizzazione” può giustificarsi l’applicazione del meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, senza possibilità di operare alcuna distinzione tra P.I.A. e Fondenel.

Resta dunque confermato che sono tassabili con l’aliquota del 12,50% ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento.

La CTR ha fatto, dunque, buon governo dei principi esposti che non solo ha avuto cura di richiamare nell’esposizione della sua motivazione, ma che ha applicato rettamente nella parte in cui, indicando gli elementi di fatto caratterizzanti la fattispecie, ha escluso che vi fosse stata la prova di un impiego sul mercato di capitali accontonati e, quindi, ha escluso che il rendimento (derivante da un impiego interno dei capitali stessi) fosse da assoggettare ad un’aliquota minore. Risulta, dunque, rettamente applicato il principio di diritto al quale era tenuta ad uniformarsi, secondo cui il fondo previdenziale Enel (P.I.A.) è sottoposto all’aliquota più favorevole del 12,50% prevista per i redditi di capitali solo per la parte di fondo impiegata sul mercato, con l’onere probatorio gravante esclusivamente sul contribuente che chiede il rimborso.

Le considerazioni fin qui esposte, giovano anche per rimarcare l’infondatezza del quarto e del quinto motivo di ricorso.

La Commissione tributaria, non ha affatto omesso ma ha ben tenuto conto nella sua motivazione del se le somme corrisposte provenissero o meno da un effettivo investimento “nel mercato di riferimento” da parte del fondo del capitale accantonato, con la realizzazione di un rendimento. Ed invero, facendo corretta applicazione dei principi in materia di onere probatorio – nella parte in cui ha specificato che grava, sul contribuente che impugna un’istanza di rimborso l’onere di provare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati finanziari di riferimento – dopo che ha precisato che “è onere del contribuente che chiede il rimborso provare la sussistenza dei relativi presupposti” ha poi ritenuto la documentazione prodotta insufficiente allo scopo, specificando che la stima (OMISSIS), in realtà conferma e non esclude che non vi sia stato impiego dei capitali accantonati sul mercato. Quanto alla certificazione Enel, di cui la ricorrente si duole del mancato esame e dell’irrilevanza datane dal giudice di rinvio, questa Corte ha più volte chiarito che tale documentazione non è idonea ad assolvere l’onere probatorio gravante sul contribuente che agisca per ottenere l’accertamento del suo diritto al rimborso poichè, non contiene alcuna specificazione dei criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (cfr. Cass. 15/03/2017 n. 13278; 16/03/2017 n. 13281; Cass. n. 9246 del 2019).

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le difficoltà sorte per la concreta applicazione del principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13642 del 2011, come ribadito dalla su indicata sentenza di questa Corte n. 7725 del 27/03/2013, che ha dato luogo al giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza qui impugnata, giustificano la compensazione tra le parti del presente giudizio e di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13 cit., comma 1 bis.

PQM

Rigetta il ricorso. Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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