Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24691 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 03/10/2019), n.24691

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17136/2012 R.G. proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’avv. Pierantonio

Menapace, elettivamente domiciliato in Roma alla via Mazzini n. 113,

presso l’avv. Rosalba Grasso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia ex lege in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/12 della Commissione Tributaria Regionale

del Veneto, emessa in data 16/1/2012, depositata in data 18/1/2012 e

non notificata;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 maggio

2019 dal Consigliere Andreina Giudicepietro.

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.A. ricorre con sei motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 6/12 della Commissione Tributaria Regionale del Veneto (di seguito C.T.R.), emessa in data 16/1/2012, depositata in data 18/1/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, confermando la sentenza della C.T.P. di Vicenza, sfavorevole al ricorrente, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione determinava una maggiore Irpef, Irap ed Iva per gli anni di imposta 2004 e 2005;

2. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

3. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 28 maggio 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

4. la fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio risulta regolarmente comunicata via Pec all’avv. Mauro Pizzigati, inizialmente difensore del contribuente insieme con l’avv. Luigi Manzi;

successivamente alla fissazione dell’adunanza camerale, nei tre procedimenti instaurati su ricorso di S.A. (recanti i nn. 17136/12, 6763/13 e 14278/15 R.G.) si è costituito quale nuovo difensore l’avv. Pierantonio Menapace, da intendersi in sostituzione dell’avv. Luigi Manzi (che ha rinunziato al mandato), il quale nel solo procedimento n. 6763/13 ha depositato documentazione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. la fattispecie trae origine dagli avvisi di accertamento notificati a S.A., con cui l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Bassano del Grappa, a seguito di accesso presso il contribuente, provvedeva a rettificare le dichiarazioni dei redditi per gli anni 2004 e 2005, sulla scorta delle movimentazioni bancarie sui conti correnti intestati al contribuente;

avverso i predetti avvisi, S.A. aveva proposto distinti ricorsi, riuniti innanzi alla C.T.P. di Vicenza, a seguito dei quali l’Ufficio aveva rinunziato alla pretesa fiscale per alcune movimentazioni, ritenute giustificate;

la C.T.P., secondo quanto riportato in sentenza dalla C.T.R., accoglieva parzialmente i ricorsi, annullando la pretesa fiscale limitatamente alle operazioni bancarie per le quali l’Ufficio aveva rinunziato e confermando per il resto gli accertamenti impugnati;

a seguito del ridimensionamento della pretesa del fisco dopo l’avvio del contenzioso, la C.T.P. non aveva riliquidato le imposte e le sanzioni, ritenendo che l’onere di riliquidare le stesse incombeva sull’Ufficio a seconda dell’esito del giudizio;

a sua volta, la C.T.R., con la sentenza impugnata, rigettava sia il primo motivo di appello, relativo alla giustificazione delle transazioni finanziarie (per il ricorrente interamente giustificate), sia il secondo, relativo alla mancata riliquidazione delle imposte, a seguito della riduzione della base imponibile;

1.2. con il primo motivo di ricorso in cassazione, S.A. denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sotto il profilo della mancata indicazione degli elementi in concreto utilizzati per negare valenza probatoria alle giustificazioni addotte ed ai documenti prodotti dal contribuente, in relazione alle movimentazioni bancarie contestate;

secondo il contribuente, il giudice di appello non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alle ragioni per cui i documenti forniti dal ricorrente non fossero idonei a vincere la presunzione di legge, posta a base dell’accertamento condotto ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32;

1.3. il motivo è inammissibile, perchè difetta di specificità, in quanto il ricorrente non chiarisce quali sarebbero stati i documenti dei quali il giudice non avrebbe adeguatamente rilevato l’esatta e decisiva valenza probatoria;

la doglianza, del tutto generica, non consente al Collegio di valutare se vi sia stata una motivazione insufficiente su fatti decisivi e controversi, così come richiesto dalla specifica previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione vigente ratione temporis;

2.1. con il secondo motivo, il ricorrente denunzia l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sotto il profilo della mancata individuazione del soggetto onerato alla rideterminazione della nuova imposta dovuta dal contribuente e delle relative sanzioni a seguito della parziale rinuncia dell’Ufficio;

secondo il ricorrente, in conseguenza della parziale rinuncia dell’Ufficio all’iniziale pretesa tributaria, il giudice di merito, nel confermare solo parzialmente gli avvisi di accertamento, avendo ritenuto che non fosse necessaria l’emissione di un ulteriore nuovo avviso di accertamento, avrebbe dovuto rideterminare anche l’imposta effettivamente dovuta e le relative sanzioni;

con il terzo motivo, il ricorrente denunzia l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sotto il profilo della mancata individuazione delle modalità di rideterminazione della nuova imposta dovuta dal contribuente e delle relative sanzioni a seguito della parziale rinuncia dell’Ufficio;

sostiene il ricorrente che la C.T.P. di Vicenza aveva ritenuto che spettasse all’Amministrazione l’onere della rideterminazione delle imposte e delle sanzioni, a seguito della sentenza di parziale conferma degli avvisi di accertamento, mentre, contraddittoriamente, la C.T.R. aveva ritenuto che non fosse necessario un nuovo avviso di accertamento, in ciò contraddicendo quanto affermato dal giudice di prime cure, la cui statuizione aveva confermato;

con il quarto motivo, il ricorrente denunzia l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 112 c.p.c., all’art. 111 Cost., all’art. 132 c.p.c., n. 4 ed al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, per la mancata rideterminazione della nuova base imponibile, della relativa imposta e delle sanzioni, a seguito della parziale rinuncia alla pretesa tributaria da parte dell’Ufficio;

secondo il ricorrente, in conseguenza della parziale rinuncia dell’Ufficio all’iniziale pretesa tributaria, il giudice di appello, nel dichiarare parzialmente cessata la materia del contendere, confermando solo in parte gli avvisi di accertamento, ha omesso di rideterminare anche l’imposta effettivamente dovuta e le relative sanzioni;

2.2. i motivi, esaminati congiuntamente perchè connessi, sono infondati e vanno rigettati;

2.3. la questione principale sollevata dal ricorrente, evincibile dai motivi di ricorso in oggetto, riguarda la mancata determinazione, da parte del giudice di appello, della imposta effettivamente dovuta e delle relative sanzioni, nonostante il contribuente avesse avanzato uno specifico motivo di appello sul punto;

la C.T.P., infatti, aveva dato atto della parziale rinunzia dell’Amministrazione Finanziaria alla propria pretesa ed aveva annullato parzialmente l’atto impositivo, riducendo i ricavi accertati in relazione alle operazioni ritenute giustificate dall’Amministrazione, senza effettuare la rideterminazione del quantum dovuto;

il giudice di appello, a sua volta, aveva confermato la decisione di primo grado, che aveva dichiarato la parziale estinzione del giudizio nei limiti di quanto riconosciuto dall’Ufficio (oltre a Cass. sez. 5, n. 2305/05 vedi anche Cass. n. 18054/08), rideterminando i maggiori ricavi accertati;

sulla base della decisione impugnata, quindi, era possibile, con un mero calcolo matematico, determinare conseguentemente il reddito d’impresa imponibile, su cui operare il recupero a tassazione, non essendovi contestazione sull’aliquota d’imposta applicata;

la pronuncia non si pone in contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte, più volta richiamato dal ricorrente e condiviso dal Collegio, secondo cui “il processo tributario è annoverabile tra quelli di “impugnazione-merito”, in quanto diretto ad una decisione sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio, sicchè il giudice, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, non può limitarsi al suo annullamento, ma deve esaminare nel merito la pretesa e ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, restando, peraltro, esclusa dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, ultimo periodo, la pronuncia di una sentenza parziale solo sull'”an” o di una condanna genetica” (Cass. n. 13294 del 28/06/2016, Rv. 640171; in termini, tra le tante, Cass. n. 24611 del 2014, n. 26157 del 2013, n. 13034 del 2012 nonchè Cass., Sez. U., n. 13916 del 2006);

è stato anche osservato che il giudizio tributario non ha natura esclusivamente impugnatoria e di legalità formale, bensì di impugnazione-merito, con la conseguenza che spetta al giudice tributario il potere (dovere) di stabilire i limiti quantitativi di fondatezza della pretesa impositiva emergenti in giudizio, così da adottare – se del caso – una pronuncia sostitutiva sulla sussistenza ed entità dei presupposti del rapporto tributario (cfr. Cass. n. 1728/2018);

nel caso di specie, il giudice di appello, nel condividere quanto affermato dal giudice di prime cure in ordine alla riduzione dei ricavi accertati in relazione alle operazioni giustificate, per le quali l’Amministrazione aveva rinunciato alla pretesa tributaria, non lascia adito a dubbi in ordine al quantum dovuto dal contribuente, anche per imposte e sanzioni, che andranno rideterminate (come, per altro, l’Amministrazione assume di aver fatto con l’iscrizione a ruolo dei due terzi delle minori imposte determinate sulla base della sentenza della C.T.P. di Vicenza) sulla base dei minori ricavi riconosciuti in sentenza;

la doglianza del ricorrente, secondo cui la sentenza avrebbe consentito la sopravvivenza degli avvisi impugnati, in relazione alle imposte ed alle sanzioni ivi indicate, risulta priva di fondamento, perchè non tiene conto del fatto che, in base ai principi appena ricordati, a seguito della sentenza di parziale annullamento, il contribuente è tenuto ad adempiere l’obbligazione tributaria, non già nei termini originari derivati dagli atti, sebbene nei limiti riconosciuti in sentenza;

3.1. con il quinto ed il sesto motivo, il ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, per la mancata rideterminazione della nuova base imponibile, della relativa imposta e delle sanzioni da parte della C.T.R., che, con ciò, era incorsa anche in una causa di nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo modificato solo la base imponibile e non le imposte e le sanzioni contenute nell’originario atto impositivo;

3.2. le censure riferite alla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, non sono fondate, poichè operano un’indebita commistione tra elementi propri dell’atto impositivo e della sentenza impugnata; per quanto fin qui detto, il ricorso deve essere complessivamente rigettato ed il ricorrente è condannato al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate e debito.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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