Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2469 del 31/01/2018
Civile Ord. Sez. 6 Num. 2469 Anno 2018
Presidente: DORONZO ADRIANA
Relatore: DI PAOLA LUIGI
rec, L
ORDINANZA
sul ricorso n. 11139-2017 proposto da:
DI NATALE ANGELO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA
20, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO IACOVINO, che lo
rappresenta e difende;
– ricorrente contro
RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA SPA, 06382641006, in persona
del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B,
presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MAURIZIO SANTORI;
– controricorrente avverso la sentenza n. 23348/2016 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE di ROMA, depositata il 16/11/2016;
Data pubblicazione: 31/01/2018
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata
del 05/12/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI DI PAOLA.
Rilevato che:
la sentenza impugnata ha rigettato il ricorso avverso la decisione di appello
che aveva ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad Angelo Di Natale;
c.p.c., il lavoratore, affidato a quattro motivi;
la RAI ha resistito con controricorso;
è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.,
ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio;
la difesa del lavoratore ha depositato memoria in data 27 novembre 2017, ex
art. 380 bis, comma 2, c.p.c., insistendo per raccoglimento del ricorso;
la difesa della RAI ha depositato memoria in data 24 novembre 2017, ex art.
380 bis, comma 2, c.p.c., insistendo per il rigetto del ricorso.
Considerato che:
il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;
Angelo Di Natale – denunciando errore di percezione da parte della Corte – ha
censurato la ritenuta, in sentenza, mancata produzione del cnlg (di cui è invece
affermata, in ricorso, la presenza agli atti), applicabile ai giornalisti
professionisti dipendenti RAI, nonché il mancato esame delle censure di cui ai
quattro motivi contenuti nell’originario ricorso per cassazione e l’errata
percezione del contenuto del ricorso stesso.
Ritenuto che:
l’errore di fatto revocatorio deve essere decisivo (cfr. Cass. n. 24334/2014:
“l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la
conseguenza di una falsa percezione di quanto emerge direttamente dagli atti,
concretatasi in una svista materiale o in un errore di percezione, ma deve anche
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avverso tale decisione ha proposto ricorso per revocazione, ex art. 391 bis
avere carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e
determinante della pronuncia impugnata per revocazione”);
nella sentenza impugnata è stato giudicato fondato il motivo di doglianza
formulato nel controricorso, incentrato sulla violazione dell’art. 366, comma 1, n.
4, c.p.c., sul rilievo – contenuto a p. 4 della sentenza – che la formulazione delle
confuso di plurime violazioni di legge e vizi motivazionali”;
l’effettuato esame degli aspetti salienti relativi ai punti ricavabili dalla “pur carente
formulazione dei primi tre motivi di ricorso”, nel cui ambito è inserita la
constatazione di mancata produzione del cnlg, si pone, pertanto, in chiave
meramente rafforzativa di una statuizione già, comunque, sufficiente a sorreggere
la decisione;
nella predetta sentenza è poi stato ritenuto infondato il quarto ed ultimo motivo,
compiutamente illustrato nella parte introduttiva della sentenza stessa (cfr., in
particolare, il seguente passo: “Osserva che il licenziamento è stato irrogato dal
direttore Risorse Umane in violazione dell’articolo 6 del CNLG, in assenza di
proposta del direttore di testata, il quale non è stato neppure sentito ex art. 50 del
CNI,G”), onde non vi è in radice l’errore di percezione, che presuppone una
svista resa palese dal raffronto tra sentenza ed atti di causa;
comunque, a giustificazione del rigetto del predetto motivo è stata posta in
evidenza, quanto alla procedura prevista per l’intimazione del licenziamento, la
ritenuta – ad opera del giudice di secondo grado – operatività dell’art. 7 St.lav.,
non investita di apposita censura;
il ricorso va così dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio seguono la soccombenza;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto
della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, ammesso al gratuito patrocinio (cfr. Cass. n. 7368/2017),
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censure da 1 a 3 era stata effettuata “mediante affastellamento commisto e
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13
PQM
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle
spese di lite, che liquida in E 200,00 per esborsi, 3.000,00 per compensi
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 dicembre 2017.
Il Presidente
professionali, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15°/0 ed