Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24689 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 03/10/2019), n.24689

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14463/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente – controricorrente incidentale –

contro

Meridiana s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Giovanni Puoti, elettivamente

domiciliata nel suo studio, in Roma, via Panama n. 68;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sardegna depositata il 23 maggio 2011, n. 116/8/11.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 maggio

2019 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

Fatto

RILEVATO

che:

– La Meridiana s.p.a. versò l’IVA, relativamente all’anno 2003, comprendendovi l’ammontare dell’imposta sui diritti “d’imbarco” da essa riscossi nei confronti dei propri passeggeri. Reputando, tuttavia, che i diritti in questione non fossero corrispettivi imponibili a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, la contribuente chiese il rimborso del tributo cautelativamente versato e propose ricorso dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale avverso il rifiuto oppostole dall’Ufficio. La Commissione di primo grado accolse il ricorso, con sentenza che la Commissione tributaria regionale ha parzialmente riformato, per un verso, confermando il provvedimento di rigetto della domanda di rimborso per la somma di Euro 1.011.589,00 e autorizzando, di contro, il rimborso per la somma di Euro 1.882.418,20 pari all’IVA versata nel periodo 1 gennaio 2003 31 agosto 2003 “data la complessità della materia trattata” nonchè “l’incertezza allora esistente, sia nella prassi che nella giurisprudenza, sull’interpretazione della normativa sulla tassazione ai fini IVA dei così detti “diritti di imbarco”; il giudice d’appello ha escluso, altresì, la debenza delle sanzioni e degli interessi moratori.

– La sentenza della Commissione tributaria regionale è impugnata con ricorso per cassazione dell’Agenzia affidato a cinque motivi.

– La contribuente resiste con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale articolato su due motivi, cui l’Agenzia resiste a sua volta con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo del ricorso principale, l’Agenzia delle Entrate denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto la contribuente non decaduta dal diritto al rimborso.

– Con il secondo motivo di censura, l’Agenzia denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 18, comma 2, punto d) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, lett. g), per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente trascurato che il ricorso originario del contribuente è stato proposto contro un atto in realtà inesistente.

– Con il terzo motivo di censura, l’Agenzia denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, comma 1, per avere il giudice d’appello tralasciato di dare rilevanza all’adesione della contribuente alle conclusioni del processo verbale di constatazione;

– Con il quarto motivo di censura, l’Agenzia denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, art. 9, comma 1, n. 6, art. 13, art. 15, n. 3, in relazione alla L. n. 324 del 1976, art. 5 ed al d.L., n. 159 del 2007, art. 39 – bis, aggiunto in sede di conversione dalla L. n. 222 del 2007, per avere il giudice d’appello erroneamente escluso l’assoggettamento all’IVA dei diritti di imbarco per il periodo anteriore alla data dell’1 ottobre 2003.

– Con il quinto motivo di censura, l’Agenzia denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto che l’incertezza esistente nel periodo precedente alla emanazione della Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 31 luglio 2003 costituisce ragione di esonero della contribuente dall’obbligo di pagamento dell’IVA sui diritti di imbarco.

– Con il primo motivo del ricorso incidentale, la contribuente denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 13, in relazione al D.L. n. 159 del 2007, art. 39 – bis, aggiunto in sede di conversione della L. n. 222 del 2007, per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto l’imponibilità dei diritti di imbarco ai fini dell’IVA;

– Con il secondo motivo di censura, la contribuente denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 112 c.p.c., per avere la Commissione tributaria regionale trascurato di pronunciarsi sulla sussistenza, dedotta dalla società e negata dall’erario, di un rapporto di mandato tra vettore e passeggero, nel cui ambito il ruolo del primo è quello di mero intermediario ai fini della riscossione.

– Vanno congiuntamente esaminati, per l’intima connessione logico-giuridica da cui sono avvinti, il quarto e il quinto motivo del ricorso principale e i due motivi del ricorso incidentale.

– A fronte della fondatezza delle due censure dedotte dall’Agenzia, risalta, dalle argomentazioni che seguono, l’infondatezza di quelle proposte dalla contribuente.

– Come affermato da Cass. n. 5362 del 2014 e da Cass. 414 del 2015, in tema di IVA sul corrispettivo del servizio di trasporto aereo, i diritti di imbarco vanno inclusi nella relativa base imponibile, atteso che, indipendentemente dalla portata retroattiva del D.L. n. 159 del 2007, art. 39 – bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 222 del 2007, il loro costo, necessariamente sostenuto dalle compagnie per la prestazione di quel servizio, e dalle stesse addebitato, in via di rivalsa, ai passeggeri, va ad integrare il prezzo del biglietto dai medesimi pagato. A tale principio di diritto questo collegio intende dare continuità.

– Segnatamente i diritti di imbarco sono assoggettabili ad IVA al momento della rivalsa del vettore nei confronti del passeggero. E ciò in quanto, per un verso, quando il vettore trasla il costo della tassa sul passeggero, ingloba la tassa nel corrispettivo del trasporto e, per altro verso, la natura di tassa non esclude l’imponibilità ai fini IVA, essendo noti numerosi casi di confluenza di oneri tributari nella base imponibile dell’IVA medesima (v. Cass. n. 5362 del 2014 cit.). Invero, la L. n. 324 del 1976, art. 1, stabilisce che “il movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile è assoggettato al pagamento dei seguenti diritti: … b) diritto di imbarco per passeggeri”; stabilisce poi l’art. 5, u.c., nel testo applicabile all’epoca dei fatti, che “il diritto è dovuto direttamente dal vettore che se ne rivale nei confronti del passeggero”. Ergo, i diritti d’imbarco devono essere necessariamente corrisposti e devono esserlo dal vettore, il quale ne trasla il costo sul passeggero.

– Hanno precisato le sezioni unite della Corte (Cass. sez. un. 3044 del 2013), che i presupposti delle obbligazioni gravanti a questo titolo sul vettore aereo risultano interamente regolati dalla legge: donde, in un primo tempo, l’individuazione come competente, per le relative controversie, del giudice tributario (Cass. sez. un. 22245 del 2006), e poi, a seguito dell’emanazione della norma d’interpretazione autentica contenuta nel D.L. n. 159 del 2007, art. 39 – bis, (introdotto dalla L. di conversione n. 222 del 2007), che ha escluso la natura tributaria delle relative obbligazioni, l’affermazione che spetta invece al giudice ordinario la giurisdizione sulle controversie riguardanti il pagamento delle tasse e dei diritti aeroportuali in questione (Cass. sez. un. 379 del 2008).

– La medesima ordinanza del 2013 ha ben chiarito la distinzione, già sul piano ontologico, fra il pagamento di tasse e diritti aeroportuali, oggetto dell’odierna controversia ed il pagamento di corrispettivi per l’uso delle infrastrutture e dei beni dell’aerostazione: di qui l’inapplicabilità al caso in esame del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, n. 6, che esclude l’imponibilità dei “servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e negli scali ferroviari di confine che riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto…”, al novero dei quali, dunque, sono estranei i diritti d’imbarco dei quali si discute. La circostanza che il vettore sia tenuto al pagamento dei diritti non appena si verifichi il presupposto di legge, ossia il movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile, comporta che non è utilmente configurabile un rapporto di mandato, perdipiù con rappresentanza, fra passeggero (mandante) e vettore (mandatario) avente ad oggetto il pagamento dei diritti; e ciò in quanto, si ribadisce, la fonte dell’obbligo di pagamento si rinviene nella legge e non già in un qualsivoglia contratto. Di qui l’inapplicabilità dell’ipotesi di esclusione dalla base imponibile dell’IVA contemplata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, comma 1, n. 3, relativa alle “somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purchè regolarmente documentate”.

– Il necessario pagamento dei diritti da parte del vettore comporta altresì che la prestazione del servizio di trasporto necessariamente implichi il costo sostenuto per il pagamento in questione, che va ad integrare il prezzo del biglietto corrisposto dal passeggero. Trova quindi immediata applicazione alla fattispecie il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, nella parte in cui ragguaglia la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi all'”…ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti”. E significativamente, sul punto, la Corte di giustizia, in relazione all’art. 2, punto 1 e art. 11, parte A, n. 1, lett. a), della sesta direttiva, ha ritenuto che la Repubblica francese, avendo autorizzato, a talune condizioni, l’esclusione dalla base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto delle maggiorazioni obbligatorie di prezzo richieste da taluni soggetti passivi per la retribuzione del servizio (c.d. tasse di servizio), è venuta meno agli obblighi che su di essa incombono in base alle richiamate norme (Corte giust. 29 marzo 2001, C-404/99).

– Nè a diverse conclusioni possono condurre le osservazioni, sviluppate dalla contribuente in ordine alla portata dello ius superveniens, che, non avrebbe valore interpretativo, sibbene innovativo e che, qualora sia da qualificare come norma interpretativa, si porrebbe in frizione con gli artt. 3,53,102 e 111 Cost..

– Il Collegio condivide sul punto la qualificazione, reiteratamente operata dalle Sezioni Unite di questa Corte con le ordinanze del 2008 e del 2013 prima richiamate, come norma interpretativa, e per conseguenza retroattiva, del D.L. n. 159 del 2007, art. 39 – bis. La Corte, al riguardo, ha rimarcato che la qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica – al di là del carattere effettivamente interpretativo della previsione esprime univocamente l’intento del legislatore d’imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, dovendosi escludere, in applicazione del canone ermeneutico che impone all’interprete di attribuire un senso a tutti gli enunciati del precetto legislativo, che la disposizione possa essere intesa come diretta ad imporre una determinata disciplina solo per il futuro (Cass. sez. un. 9941 del 2009). Al riguardo, lo Statuto del contribuente espressamente assegna alle norme tributarie interpretative efficacia retroattiva (L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1). Inoltre, ha soggiunto la Corte, ove il legislatore qualifichi come interpretativa una legge, il giudice, chiamato ad applicarla, non può qualificarla come innovativa e circoscriverne temporalmente l’operatività, perchè finirebbe in tal modo per disapplicarla, mentre l’autorità imperativa e generale della legge gli impone di adeguarvisi, il che delinea il confine in presenza del quale ogni diversa operazione ermeneutica deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (Cass., sez. un. pen., n. 34472 del 2012). Difatti, quando è emanata una norma interpretativa, l’interprete si trova al cospetto di tre testi: a. – il testo da interpretare; b. – il testo che specifica qual è la interpretazione da assegnare; c. – il testo che l’interprete ricostruisce come risultato dell’interpretazione del testo sub a. – in base agli elementi del testo sub b. Allorquando il legislatore ritorna su un proprio precedente testo per stabilire in modo vincolante quale ne sia la vera interpretazione, inevitabilmente si deve concludere che, per il legislatore, il testo in questione sin dall’inizio voleva dire quel che è esplicitato con la legge d’interpretazione successiva (in termini, Cass. n. 9561 del 2013). Irrilevanti sono per conseguenza le obiezioni concernenti il preteso carattere innovativo della nuova norma, anche rispetto al diritto vivente affermatosi in virtù della giurisprudenza delle Sezioni Unite, della dottrina e della giurisprudenza di merito maturate antecedentemente alla sua entrata in vigore.

– Ciò posto, manifestamente irrilevanti ai fini della decisione della controversia sono altresì i dubbi di legittimità costituzionale sollevati in relazione alla norma sopravvenuta, anche indipendentemente dall’esame della loro fondatezza. E ciò in quanto l’affermazione della natura tributaria dei diritti d’imbarco, cui tende la società, non gioverebbe alla tesi da essa sostenuta. L’art. 11, parte A, n. 1, lett. a) della Sesta Direttiva, che trova riscontro nel punto dinanzi richiamato dell’art. 13 D.P.R. n. 633 del 1972, il quale va interpretato in maniera conforme alla normativa comunitaria, stabilisce che la base imponibile cui ragguagliare l’IVA è costituita, per le prestazioni di servizi come quelle in questione, “da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo…” (n. 1, lett. a). Al riguardo, il corrispettivo ottenuto o da ottenere per la prestazione di un servizio va inteso come il corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine: “la base imponibile è determinata da quello che il soggetto passivo percepisce realmente come corrispettivo” (Corte giust. 24 ottobre 2013, C-440/12, Metropol Spielstaetten Unternehmergesellschaft, punto 38). Quel che specificamente rileva, peraltro, è che nella base imponibile, a norma dell’art. 11, parte A, secondo paragrafo, lett. a), della sesta direttiva, si devono comprendere “…a) le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa imposta sul valore aggiunto”. Sul punto, la stessa Corte di giustizia, con riferimento all’omologo art. 78, comma 1, lett. a) della direttiva 2006/112, ha chiarito che “…affinchè imposte, dazi, tasse e prelievi possano rientrare nella base imponibile dell’IVA, pur non rappresentando un valore aggiunto e non costituendo il corrispettivo economico della cessione del bene, essi devono presentare un legame diretto con tale cessione” (Corte giust. 28 luglio 2011, C-106/10, punto 33; Corte giust. 22 dicembre 2010, C-433/09, Commissione/Austria, punto 34), successivamente precisando che tale legame diretto è ravvisabile allorquando le tasse, i tributi e i prelievi divengono esigibili dal momento che sono forniti e solo quando sono forniti i servizi (Corte giust. in C-618/11, C-637/11 e C-659/11, TVI – Televisao Independente SA, punto 41).

– Nel caso in questione, la circostanza che l’obbligo di pagamento dei diritti incomba direttamente e necessariamente sul vettore in ogni ipotesi di movimento degli aeromobili privati e delle persone negli aeroporti nazionali aperti al traffico aereo civile ne evidenzia in maniera incontrovertibile il nesso diretto con la prestazione del servizio di trasporto, in base alle precisazioni della Corte di giustizia: il pagamento dei diritti va ad integrare un elemento di costo direttamente connesso alla prestazione del servizio, indipendentemente dalle diverse modalità prescelte per la sua traslazione sul passeggero, di guisa che esso comunque contribuisce a formare la base imponibile dell’imposta, anche qualora s’intendano configurare i diritti che ne sono oggetto come tributo. In definitiva, i diritti d’imbarco sono in ogni caso elementi della base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto.

– Ciò detto la decisione d’appello si mostra erronea anche nella parte – attinta dal quinto motivo del ricorso principale – in cui statuisce l’esonero del contribuente dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto relativamente ai diritti di imbarco nel periodo precedente alla emanazione della Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 31 luglio 2003.

– In tal guisa, la decisione di merito conia una esimente che, con riferimento al pagamento dell’imposta, è ignota all’ordinamento giuridico. Invero, l’incertezza normativa oggettiva, ai sensi del D.Lgs. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, è causa di esenzione dalla responsabilità amministrativa del contribuente, che postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria) attiene esclusivamente all’irrogazione delle sanzioni. In altri termini, la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, ancorchè costituisca espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, quand’anche si colleghi ad una situazione di incertezza interpretativa, non influisce mai sulla debenza dell’imposta, potendo essere valutata ai più ristretti fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni (v. Cass. n. 3108 del 2019).

– Sotto tale aspetto il venire in essere di una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate (o il maturare di una prassi amministrativa) divaricata rispetto ad un orientamento giurisprudenziale ovvero l’adozione di norme di interpretazione autentica, ancorchè si pongano quali elementi rivelatori dell’intertezza in parola (v. Cass. n. 15452 del 2018; Cass. n. 12301 del 2017), non valgono a sancirne una portata esonerativa dal versamento delle imposte.

– Il ricorso principale va dunque accolto in relazione al quarto e al quinto motivo; per converso quello incidentale va respinto con riferimento ad entrambe le censure che lo articolano; la sentenza va cassata e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto dell’impugnazione originariamente proposta dalla contribuente. Ne segue la riaffermazione del seguente principio di diritto: “I diritti di imbarco corrisposti dal vettore aereo, che ne trasla il costo sul passeggero, vanno compresi nella base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto concernente le somme riscosse dal vettore per l’espletamento del servizio di trasporto”.

– La relativa novità della questione comporta la compensazione delle spese inerenti alle fasi di merito; le spese concernenti questa fase seguono, invece, la soccombenza.

PQM

La Corte, assorbiti i primi tre, accoglie il quarto e il quinto motivo del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione proposta dalla società; compensa le spese inerenti alle fasi di merito; condanna la Meridiana s.p.a. al pagamento delle spese inerenti a questa fase, liquidate in Euro 20.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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