Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24688 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. III, 05/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24688

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7815/2018 R.G. proposto da:

Istituto Clinico Città Studi S.p.A., in persona del Direttore

Generale, L.A., rappresentato e difeso dall’avv. Laurino

Giovagnoni;

– ricorrente –

contro

Unipol SAI Assicurazioni S.p.A., già Fondiaria Sai S.p.A., in

persona del suo procuratore ad negotia, F.E., rappresentata e

difesa dall’avv.to Vincenzo Paltrinieri;

– controricorrente –

T.C.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Antoniofranco

Todaro, ed elettivamente domiciliato in Roma presso il suo Studio,

via Pinerolo, n. 22;

– controricorrente –

nonchè

C.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5507/2017 pubblicata il 29.12.2017 resa della

Corte d’appello di Milano.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13 luglio

2020 dal Cons. Dott. Marilena Gorgoni.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.A., con atto di citazione notificato il 28 gennaio 2010, conveniva in giudizio la Casa di Cura S. Rita S.p.a. (poi Istituto Clinico Città Studi S.p.a.) e T.A.C., perchè, previo accertamento della responsabilità di entrambi i convenuti per i danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguenti alla cattiva esecuzione dell’intervento chirurgico eseguito in data (OMISSIS) da T.A.C., ottenesse il risarcimento spettantegli.

Costituitasi in giudizio, la società convenuta chiedeva il rigetto della domanda, deducendo che non era stato mosso alcun addebito per carenze della struttura e della organizzazione ospedaliera e che non era stato prospettato alcun difetto o malfunzionamento dei macchinari e della struttura. Chiedeva, altresì, che si tenesse conto che con T.A.C. non sussisteva alcun rapporto di lavoro subordinato e chiedeva di poterlo chiamare in causa al fine di esserne manlevata, nell’ipotesi di condanna.

T.A.C., costituendosi, oltre a contestare il fondamento della domanda di C.A. ed a negare ogni responsabilità, chiedeva, a sua volta, di poter chiamare in causa la Navale Assicurazioni S.p.A. onde essere manlevato e garantito nel caso di accertamento di una qualche responsabilità professionale a suo carico.

Disposta anche la chiamata in causa della compagnia di assicurazioni (nel frattempo trasformatasi in UGF Assicurazioni S.p.A.), essa chiedeva, in via principale, il rigetto della domanda attrice e, in via subordinata, che il danno fosse determinato nella misura rigorosamente provata e, per quanto di sua pertinenza, che fosse comunque contenuto nei limiti del massimale di polizza.

Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 6660/2015, accoglieva la domanda dell’attore e, per l’effetto, condannava in solido i convenuti a corrispondergli Euro 128.996,00, a titolo di danno non patrimoniale, Euro 4.587,98, per spese sanitarie, Euro 6.600,00, a titolo di danno patrimoniale, oltre a rivalutazione e interessi legali, a rifondergli le spese di lite e a farsi carico delle spese di CTU; accertava un riparto interno di responsabilità fra i due convenuti pari al 50% e, dunque, rigettava la domanda di regresso della convenuta contro T.A.C. e compensava interamente le spese fra quest’ultimo e la terza chiamata.

Avverso detta sentenza proponeva appello l’Istituto Clinico Città degli Studi S.p.A., denunciando la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1218 e 2697 c.c., per avere erroneamente il Tribunale ritenuto la responsabilità della struttura medica, che doveva, invece, essere esclusa, essendo rimasta priva di ogni riscontro probatorio, e la violazione degli artt. 1151 e 116 c.p.c. e degli artt. 1218, 1228, 1298, 1299 e 2055 c.c., per non avere il giudice considerato che, data l’esclusiva responsabilità del medico operatore, doveva essere accolta integralmente la domanda di regresso proposta nei suoi confronti.

Proponeva appello anche T.A.C., rilevando la ricorrenza di un vizio di ultrapetizione e lamentando l’erronea valutazione del grado di colpa in ordine alla prestazione professionale ai fini dell’applicabilità della fattispecie di cui all’art. 1900 c.c..

C.A. e UFG Assicurazioni (ora Unipol SAI Assicurazioni) chiedevano il rigetto di entrambi i gravami.

Con sentenza n. 5507/2017, pubblicata il 29.12.2017, oggetto dell’odierno ricorso, la Corte di Appello di Milano rigettava tutti gli appelli, confermava integralmente la sentenza di primo grado, condannava gli appellanti in solido al pagamento delle spese del grado nei riguardi dell’appellato C., condannava T.A.C. al pagamento delle spese nei confronti di Unipol SAI Assicurazioni, compensava quelle tra T.A.C. e ICCS S.p.A..

L’Istituto Clinico Città Studi S.p.A. ricorre per la cassazione di detta sentenza formulando un solo motivo di ricorso.

Resistono con separati controricorsi UnipolSai Assicurazioni S.p.A. e T.A.C..

La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.. Il P.G. non ha depositato conclusioni.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. L’istituto ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1298 c.c. e degli artt. 99,100,115 e 116 c.p.c., in riferimento anche agli artt. 1218,1228,2697 e 2729 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5).

Destinataria di censura è sostanzialmente l’applicazione, nei rapporti tra la struttura e l’operatore sanitario, del disposto dell’art. 1298 c.c., comma 2, con riferimento alla specifica fattispecie del contratto di spedalità, avendo la Corte d’Appello ritenuto intercorrente nei rapporti interni tra i debitori solidali, la presunzione di parità (50%) dell’obbligazione prevista dalla norma in parola, in ragione del mancato accertamento di una responsabilità esclusiva di T.A.C. e/o di una responsabilità in misura percentuale diversa rispetto a quella del nosocomio, ritenendo, peraltro, tale ultimo profilo non oggetto di specifica contestazione.

La tesi è che, accertato che il sanitario aveva sbagliato nel rinvenire nel caso del paziente una indicazione chirurgica a favore dell’intervento eseguito, nel ritenere l’intervento l’unica indicazione possibile, nel non considerare che proprio la non indicazione chirurgica s’attagliava a quel tipo di intervento, e che a causa del suo clamoroso errore aveva provocato uno stato permanente di instabilità a carico del rachide del paziente, comportante la necessità di interventi chirurgici di stabilizzazione, la Corte d’Appello non avrebbe dovuto ritenere non accertata, nè in via esclusiva, nè in diversa percentuale, la responsabilità di T.A.C..

La sentenza impugnata avrebbe ulteriormente errato nel ritenere che il profilo della responsabilità dell’operatore sanitario non fosse stato attinto da specifica censura, avendo invece esso costituito oggetto del secondo motivo di appello, riportato testualmente nel ricorso, per la parte di specifico rilievo.

Il motivo, con il quale nella sostanza si contesta solo il mancato riconoscimento della colpa esclusiva di T.A.C., non essendo stati ravvisati ritardi di esecuzione o atteggiamenti attendistici da parte del personale, anche avuto riguardo per le complicanze insorte dopo l’intervento a causa del formarsi di un ematoma, è formulato in maniera capziosa.

Si rileva infatti che, nel paragrafo 3.1., viene riferita in maniera incompleta la motivazione con cui la Corte territoriale ha enunciato le ragioni del rigetto del primo motivo di appello, con cui la clinica aveva sostenuto di non avere alcuna responsabilità diretta al verificarsi del danno. Nel riferirla, infatti, parte ricorrente omette di riprodurre la parte in cui la Corte territoriale ben spiega di condividere quanto ritenuto sul punto dal giudice di prime cure in ordine alla ricorrenza di una responsabilità del nosocomio ai sensi degli artt. 2049 e 1228 c.c., sulla base del contratto di spedalità stipulato con C.A., avendo assunto su di sè una pluralità di obbligazioni, accogliendolo nella clinica. La Corte d’Appello senza incorrere in alcun errore ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento e della giurisprudenza in materia, posto che la responsabilità della struttura sanitaria è una responsabilità definita a doppio binario, giacchè essa origina da due fatti distinti: quella derivante dall’inadempimento di quegli obblighi che presiedono per legge all’erogazione del servizio sanitario (i quali, ad esempio, danno luogo a responsabilità per infezioni nosocomiali, per difetto di organizzazione e per carenze tecniche, per mancata sorveglianza); quella derivante dall’attività illecita, trovante occasione nell’erogazione del servizio sanitario, imputabile a coloro della cui attività il nosocomio si sia avvalso, ex art. 1228 c.c..

Applicando la giurisprudenza di questa Corte, deve ritenersi che, avendo T.A.C. operato nel contesto dei servizi resi dalla ricorrente, la sua condotta negligente non potesse essere “isolata” dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso era parte integrante, vieppiù considerando che il già citato art. 1228 c.c., fonda, a sua volta, l’imputazione al debitore degli illeciti commessi dai suoi ausiliari sulla libertà del titolare dell’obbligazione di decidere come provvedere all’adempimento, accettando il rischio connesso alle modalità prescelte, secondo la struttura di responsabilità da rischio d’impresa (cuius commoda eius et incommoda) ovvero, descrittivamente, secondo la responsabilità organizzativa nell’esecuzione di prestazioni complesse: così Cass. 11/11/2019, n. 28987, in motivazione.

Ne consegue che, essendosi la ricorrente avvalsa della “collaborazione” di T.A.C. (utilità), era tenuta rispondere dei pregiudizi da costui cagionati (danno): precisando che “la responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova radice non già in una colpa “in eligendo” degli ausiliari o “in vigilando” circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione (Cass., 27/03/2015, n. 6243), realizzandosi, e non potendo obliterarsi, l’avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’assunzione del rischio per i danni che al creditore ne derivino (cfr. Cass., 06/06/2014, n. 12833)” (Cass. n. 28987/2019, cit.).

La Corte territoriale senza incertezze ha affermato, infatti; “è priva di rilevanza ai fini dell’esclusione della responsabilità dell’ICCS la circostanza, evidenziata, invece, dai difensori della clinica, che l’attore non ha mai lamentato difetti o malfunzioanmenti dei macchinari o delle strutture dell’istituto. Nella specie, infatti, la responsabilità di cui si discute non ha un’origine correlabile a problematiche di funzionamento di macchinari o di strutture dell’istituto clinico. Essa nella specie è stata ricollegata (…) all’operato del medico”, su cui la clinica aveva l’obbligo di vigilare (p. 10) ed il cui inadempimento, ex art. 1228 c.c., bastava a ritenere sussistente la responsabilità dell’ICCS (p. 11).

La clinica trascura di prendere in esame tale ratio decidendi e svolge prospettazioni che non mettendola a fuoco non sono in grado di scalfirla, nè sotto il profilo di una eventuale diversa misura delle responsabilità dell’operatore sanitario e della struttura (p. 10 del ricorso), tantomeno ai fini dell’accoglimento della domanda di regresso.

In linea astratta, va sottolineato che spettava alla clinica vincere la presunzione di responsabilità di pari contribuzione al danno da parte dei condebitori in solido, provando la diversa misura delle colpe e della derivazione causale del sinistro: non bastando ad escludere la sua corresponsabilità la mera affermazione che l’inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del medico, ma occorrendo considerare il duplice titolo in ragione del quale la struttura era stata chiamata a rispondere del proprio operato, sicchè sarebbe stato suo onere dimostrare non soltanto la colpa esclusiva del medico, ma la derivazione causale dell’evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un’ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni.

L’accertamento del fatto di inadempimento imputato al sanitario, come in questo caso, non fa venire meno i presupposti nè della responsabilità della struttura ai sensi dell’art. 1228 c.c. (posto che l’illecito dell’ausiliario è requisito costitutivo della responsabilità del debitore), nè della responsabilità della stessa struttura ai sensi dell’art. 1218 c.c., spettando alla struttura l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento, “onere che va tenuto fermo anche in relazione ai rapporti interni tra condebitori solidali proprio al fine di verificare se la presunzione pro quota paritaria possa dirsi superata” (Cass. 05/07/2017, n. 16488); in assenza di prova (il cui onere grava sulla struttura sanitaria adempiente) in ordine all’assorbente responsabilità del medico intesa come grave, ma anche straordinaria, soggettivamente imprevedibile e oggettivamente improbabile “malpractice”, deve ritenersi che correttamente si applichi il principio presuntivo di cui è espressione l’art. 1298 c.c., comma 2.

Nel caso di specie, va considerato che la Corte territoriale ha ritenuto che nè la responsabilità esclusiva di T.A.C. nè una diversa percentuale di responsabilità rispetto a quella affermata dal Giudice di prime cure aveva formato oggetto di specifica contestazione (pag. 11 in fine e 12 all’inizio), con ciò addebitando al secondo motivo di appello, con cui l’ICCS chiedeva che venisse accolta la domanda di manleva e di regresso per l’intero nei confronti di T.C.A., un difetto di specificità. Tale difetto di specificità parte ricorrente vorrebbe superare riproducendo l’incipit del secondo motivo di appello, ma esso, non solo non si occupa del problema di una diversa percentuale di responsabilità, ma, là dove insiste sulla responsabilità esclusiva di T.A.C. lo fa in modo generico e comunque l’assunto soffre della inidoneità segnalata a proposito del paragrafo 3.1.

Va aggiunto che l’intera illustrazione non contiene l’argomentazione della violazione delle norme di diritto indicate nell’intestazione, bensì svolge considerazioni in fatto, sicchè argomenta solo il vizio ai sensi del n. 5, ma in violazione del 348-ter c.p.c., comma 4, secondo cui non può proporsi ricorso per cassazione denunciando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se non facendosi carico di dimostrare che il provvedimento impugnato non si fonda sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione appellata; il che nel caso in esame non è avvenuto.

2. In conclusione il ricorso deve ritenersi inammissibile.

3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

4. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della parte ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuno dei controricorrenti, liquidandole in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Prende atto della domanda di distrazione dell’Avv. Antoniofranco Todaro, difensore di T.A.C., dichiaratosi antistatario e dispone la distrazione delle spese a suo favore.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

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