Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24685 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2011, (ud. 12/10/2011, dep. 23/11/2011), n.24685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SILFAS SRL in persona del legale rappresentante quale Amministratore

unico pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. FERRARI

11, presso lo studio dell’avvocato VALENZA DINO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE;

– intimato –

sul ricorso 13844-2007 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

SILFAS SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 255/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/02/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato VALENZA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato DE STEFANO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Silfas s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino depositata il 21/02/2006 che aveva, accogliendo parzialmente l’appello del Ministero dell’Economia e delle Finanze, riformato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto, salvo che per le imposte addizionali corrisposte nel corso del processo, la domanda della contribuente intesa ad ottenere il rimborso della imposta erariale e relative addizionali pagata in occasione del consumo di energia elettrica utilizzata nella lavorazione di lamierati metallici.

La Corte aveva ritenuto che ricorressero le condizioni di cui al D.L. n. 295 del 1995, art. 4 (utilizzo dell’energia elettrica, quale materia prima, in un processo elettrochimico o elettrometallurgico) e che non fosse necessaria la denuncia di officina, ma che la società non aveva fornito la prova della quantità di consumi di energia elettrica destinata a tal fine specifico; riconosceva pertanto il credito di rimborso delle addizionali solo per i consumi effettuati dopo l’apposizione di idonei contatori e limitatamente agli ultimi due anni essendosi verificata la decadenza di legge.

La ricorrente pone a fondamento del ricorso due motivi fondati su vizio motivazionale e sulla violazione di legge corredato da quesiti.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane hanno resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno presentato memoria. La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente devono essere riuniti il ricorso principale e quello incidentale perchè relativi alla medesima sentenza.

E’anche di preliminare esame il motivo di ricorso incidentale con cui l’Ufficio deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 511 del 1988, art. 6 conv. in L. n. 20 del 1989, D.L. n. 332 del 1989, art. 4 conv. in L. n. 384 del 1989, D.L. n. 250 del 1995, art. 4 conv. in L. n. 349 del 1995 e art. 1 disp. gen. e dei principi in tema di interpretazione di norme eccezionali per avere la CTR ritenuto il procedimento in esame(riscaldamento di lamiere per poi essere lavorate sotto pressa) rientrante nei procedimenti elettrochimici o elettrometallurgici di cui alle superiori norme, non essendo la energia elettrica utilizzata come materia prima ma per riscaldamento delle lamiere.

Il motivo è infondato.

E’ affermazione costante di questa Corte (Cass. n. 6452/2009, n. 22566/2008, n. 22021/2004) il principio secondo il quale l’energia elettrica impiegata negli opifici industriali non è soggetta all’addizionale d’imposta di cui al D.L. 28 novembre 1988, n. 511, art. 6 convertito in L. 27 gennaio 1989, n. 20, si applica, alla luce della norma interpretativa dettata dal D.L. 28 giugno 1995, n. 250, art. 4 come convertito dalla L. 8 agosto 1995, n. 349, limitatamente all’ipotesi di uso dell’energia “come materia prima” nei procedimenti elettrochimici ed elettrometallurgici, ivi comprese le lavorazioni siderurgiche e delle fonderie, e non anche nel caso di uso della stessa in funzione di riscaldamento.

Nel primo dei casi in esame la Corte ha escluso l’applicabilità della esenzione nell’ambito di un processo di grafitazione che utilizza l’energia elettrica per la disaggregazione del carbone, escludendo l’applicazione analogica del superiore principio, e negli ultimi due l’ha esclusa nel processo produttivo relativo all’attività di stampaggio a caldo di spezzoni di barre di acciaio – per la produzione di pezzi di volume e di forma come richieste dalla clientela – quale fonte di riscaldamento per rendere la parte esterna del pezzo da modellare più duttile, così da consentire al pezzo ammorbidito dal calore di acquisire la forma voluta sotto l’azione della pressa, e pertanto non come materia prima insostituibile, ma come semplice fonte di produzione del calore ed, in quanto tale, sostituibile.

E’ solo apparente il contrasto con la sent. n. 22951/2004 che in riferimento ad una ipotesi di stampaggio a caldo di lamiere riconosceva l’uso di energia elettrica quale materia prima, e che va letta in relazione al particolare procedimento di riscaldamento dei lamierati in contestazione, quale accertato in quel giudizio, che comportava che “l’energia elettrica partecipava alla costituzione del prodotto finito e poteva essere, perciò, considerata come una materia prima in quanto veniva inglobata nel reticolo molecolare dell’acciaio, provocando una modifica della struttura cristallina ed il miglioramento delle caratteristiche tecnologiche dei materiali e delle leghe ferrose.” Ora nel caso in ispecie, la sentenza premessi i coretti principi giuridici sulla qualificazione dell’energia elettrica quale materia prima, ha fatto riferimento, in concreto, ad un processo di lavorazione in cui l’impiego dell’energia elettrica comportava la modifica delle molecole del metallo “nel senso di riguardare il reticolo di cristallizzazione del metallo o comunque la reciproca posizione ordinata delle sue molecole, determinando modifica delle caratteristiche fisico meccaniche del prodotto”.

Questo accertamento in fatto, non censurabile in sede di legittimità se non per vizio motivazionale, è stato oggetto di censura sotto tale profilo che però è priva di ogni autosufficienza, facendo riferimento a generiche “difese e relazioni tecniche dell’Amministrazione doganale” da cui risulterebbe che l’impiego dell’energia elettrica per portare allo stato plastico le barre d’acciaio aveva solo funzione di riscaldamento, senza trascriverne il contenuto o comunque riportare o esporre i passaggi fondamentali. E’ invero consolidato insegnamento di questa Corte che la deduzione del vizio motivazionale deve comprendere la indicazione degli elementi non valutati, o valutati insufficientemente o contraddittoriamente che ove correttamente valutati, avrebbero, non con sola probabilità ma con certezza, portato ad una diversa decisione.

Passando ora all’esame del ricorso della contribuente, col primo motivo deduce motivazione insufficiente e contraddittoria; assume, in particolare, la Silfas che la CTR ha rigettato la domanda del quantum di energia elettrica consumata per tale procedimento, non ritenendo proiettabile la percentuale relativa agli anni precedenti, in base all’affermata variabilità della produzione, che ha impedito la possibilità di utilizzare una CTU. Col secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2033, 2697 e 2727 c.c. per avere la CTR richiesto una prova precisa laddove nessuna norma vieta una prova presuntiva.

Entrambi i motivi sono relativi al consumo di energia elettrica relativa agli anni 1991-1996, in ordine ai quali la CTR ha ritenuto non fornita la prova del quantum, e devono essere esaminati congiuntamente per la stretta connessione logica-giuridica.

Il secondo motivo, di esame preliminare, è infondato in quanto la Corte non afferma principi contrastanti con l’ammissibilità di una prova presuntiva anche nel caso in esame, ma effettua un giudizio di fatto sulle risultanze processuali pervenendo ad un giudizio di mancata prova.

Rileva in particolare che mancherebbe la prova delle dimensioni lineari e volumetriche dei particolari da stampare(che incidono sui consumi) e che gl’impianti non avevano subito modifiche(circostanze che assumono la natura del fatto noto di cui all’art. 2727 c.c.) con la conseguenza che non sarebbe possibile dedurre il fatto ignoto(consumi di energia quale materia prima) con le medesime proporzioni del consumo(fatto noto) effettuati nel periodo successivo all’installazione dei contatori specifici.

Un tale giudizio di fatto adeguatamente motivato si sottrae anche alla censura di vizio motivazionale (secondo motivo) tendendo sostanzialmente la contribuente ad un rilettura delle risultanze processuali.

Invero la deduzione del vizio non è corredata dalla indicazione degli elementi non valutati, o valutati insufficientemente o contraddittoriamente che ove correttamente valutati, avrebbero portato ad una diversa decisione.

Questa Corte (Cass. n. 1147/2010 tra le altre) ha, invero, costantemente ritenuto che il ricorrente che nel giudizio di legittimità deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l’onere, sempre in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione (art. 366 c.p.c.), di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate o mal valutate, nonchè di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o più) risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si è formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (così anche Cass. n. 3004/2004) Di poi la deduzione di un consumo minimo, necessario, è questione nuova essendosi sempre discusso nelle fasi di merito della sovrapponibilità dei consumi (o della relativa percentuale) effettuati nel periodo successivo alla installazione dei contatori a quelli effettuati nel periodo precedente (1991-1996).

Anche il primo motivo è, pertanto, infondato. Entrambi i ricorsi devono, pertanto, essere rigettati. La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione Riunisce i ricorsi e li rigetta.

Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 12 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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