Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24685 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 19/10/2017, (ud. 23/03/2017, dep.19/10/2017),  n. 24685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28233/2011 R.G. proposto da:

M.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea De Vivo, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via

Cicerone, n. 66;

– – ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A.;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Roma depositato il 3 agosto 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 marzo 2017

dal Consigliere MERCOLINO Guido.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con Decreto del 3 agosto 2011, il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione proposta da M.G. avverso lo stato passivo del (OMISSIS) S.p.a., negando l’ammissione al passivo di un credito di Euro 204.722,55 per indennità di preavviso e trattamento di fine rapporto.

Pur riconoscendo che la società fallita si era ingiustificatamente sottratta all’obbligo di corrispondere la retribuzione all’attore, il Tribunale ha rilevato che quest’ultimo non aveva provato l’attendibilità della quantificazione dell’importo dovuto, essendosi limitato a depositare conteggi d’ignota provenienza e privi di sottoscrizione, inidonei a consentire il riscontro della fondatezza della pretesa.

2. Avverso il predetto decreto il M. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, si rileva che la notificazione del ricorso, dopo essere stata tentata una prima volta il 9 novembre 2011 nei confronti dell’Avv. Lucio Francario, già curatore del fallimento, il quale ha rifiutato di ricevere la copia dell’atto, dichiarando di non ricoprire più il predetto ufficio, è stata nuovamente richiesta il 16 novembre 2011, ed effettuata con esito positivo il giorno successivo nei confronti del Dott. Z.L., subentrato allo Avv. Francario nelle funzioni di curatore. Benchè il secondo tentativo abbia avuto luogo oltre il trentesimo giorno successivo alla notificazione del decreto impugnato, effettuata il 10 ottobre 2011, e quindi dopo la scadenza del termine di cui al R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, comma 12, la sostanziale continuità del procedimento notificatorio, immediatamente ripreso a seguito della mancata consegna dell’atto e proseguito senza interruzioni nei confronti del nuovo destinatario, consente di escludere la decadenza dall’impugnazione: trova infatti applicazione il principio, enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, qualora la notificazione di un atto processuale, da effettuare entro un termine perentorio, non si sia perfezionata per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha l’onere (anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio) di chiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, il cui esito positivo produce effetto dalla data della richiesta originaria, semprechè la riattivazione del procedimento abbia avuto luogo entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito negativo della notificazione e assumere le informazioni del caso (cfr. Cass., Sez. Un., 15/07/2016, n. 14594; Cass., Sez. lav., 11/09/2013, n. 20380; Cass., Sez. 2, 19/10/2012, n. 18074). Nessun rilievo può assumere, nella specie, la circostanza che l’insuccesso del primo tentativo sia stato determinato dall’errata individuazione non già del luogo in cui doveva essere effettuata la notifica, ma della persona del destinatario, non risultando la relativa indicazione idonea a pregiudicare la corretta instaurazione del rapporto processuale in fase d’impugnazione, avuto riguardo all’esatta identificazione del legittimato passivo nel fallimento e dell’inidoneità della sostituzione del curatore a determinare modificazioni nel centro d’imputazione degli atti e del rapporto processuale (cfr. Cass., Sez. 1, 1/12/2015, n. 24441; Cass., Sez. 3, 22/03/2013, n. 7253; Cass., Sez. 2, 28/05/2009, n. 12655).

2. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del decreto impugnato, rilevando che il provvedimento è stato pronunciato da un collegio del quale faceva parte anche il Giudice delegato al fallimento, in violazione del principio di terzietà ed imparzialità sancito dall’art. 111 Cost. ed in contrasto con il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 99, il quale, coerentemente con la nuova configurazione dell’opposizione allo stato passivo come giudizio d’impugnazione, esclude che il giudice delegato possa far parte del collegio giudicate.

2.1. Il motivo è infondato.

La partecipazione del giudice delegato, che ha pronunciato il decreto di esecutività dello stato passivo, al collegio chiamato a decidere sulla conseguente opposizione, non determina infatti una nullità deducibile in sede di impugnazione, in quanto, al di fuori dei casi in cui il giudice abbia un interesse proprio e diretto nella causa, l’incompatibilità può essere fatta valere soltanto con l’istanza di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di proporre, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c., (cfr. Cass., Sez. 1^, 9/11/2016, n. 22835; 4/12/2015, n. 24178). Nella specie, l’inadempimento del predetto onere preclude definitivamente l’esercizio della facoltà di far valere la violazione della L.Fall., art. 99, comma 10, non essendo stato neppure dedotto che la questione, non trattata dal decreto impugnato, sia stata tempestivamente sollevata nel giudizio di merito. In contrario, non vale sottolineare la natura camerale del procedimento disciplinato dalla L.Fall. art. 99, la quale non risulta incompatibile con la disciplina della ricusazione, dal momento che la predetta disposizione, prescrivendo che la decisione debba intervenire entro sessanta giorni dall’udienza o dalla scadenza del termine eventualmente assegnato per il deposito di memorie, consente alle parti di prendere anticipatamente conoscenza della composizione del collegio giudicante, che deve coincidere con quello individuato in sede tabellare per la prima adunanza in camera di consiglio compresa nel predetto periodo, e quindi di far valere tempestivamente eventuali ragioni d’incompatibilità dei magistrati.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 111 e 113 Cost., censurando il decreto impugnato per aver ritenuto non provato il credito azionato, nonostante il riconoscimento della grave inadempienza della società fallita, tale da giustificare le dimissioni per giusta causa di esso ricorrente, senza tenere conto dell’avvenuta produzione della documentazione già allegata all’istanza d’insinuazione al passivo e dei conteggi redatti da uno studio contabile. Premesso che tali conteggi erano stati effettuati sulla base della predetta documentazione, osserva che gli stessi non erano stati contestati dal curatore, rimasto contumace nel giudizio di opposizione, affermando che l’attinenza della controversia ad un rapporto di lavoro imponeva al Tribunale l’esercizio dei suoi poteri istruttori ufficiosi, non avente carattere discrezionale.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’omissione, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, osservando che il decreto impugnato si è limitato a confermare la decisione del Giudice delegato, senza valutare adeguatamente i presupposti di fatto e gli elementi desumibili dagli atti e dai documenti allegati al ricorso.

5. I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono fondati.

Premesso che, nell’ambito del ragionamento sviluppato a fondamento della decisione impugnata, il rigetto della domanda di ammissione al passivo dei crediti per indennità sostitutiva del preavviso e trattamento di fine rapporto trova giustificazione nella mancata dimostrazione non già dell’esistenza dei crediti, avendo il Tribunale ritenuto provati sia il rapporto di lavoro intercorso con la società fallita che il grave inadempimento della stessa, ma dell’ammontare della pretesa, in quanto risultante da conteggi di ignota provenienza e privi di sottoscrizione, si osserva che tale affermazione si pone in contrasto con l’intervenuta ammissione al passivo, sia pure in misura ridotta, dei crediti per retribuzioni, tredicesima mensilità, permessi e ferie non godute fatti valere con la medesima istanza d’insinuazione, e ritenuti parzialmente provati, in sede di verificazione, in base al riscontro tra i conteggi prodotti dal ricorrente e le risultanze della contabilità aziendale. L’accoglimento di tali domande da parte del Giudice delegato, pur non comportando la formazione di un giudicato interno, neppure a carattere endofallimentare, in ordine alla misura della retribuzione da assumere come riferimento ai fini del calcolo dell’indennità di preavviso e del trattamento di fine rapporto, presupponeva infatti l’avvenuta acquisizione agli atti di elementi di carattere documentale in ordine alla cui sufficienza il Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi, prima di rigettare la domanda di ammissione al passivo degli ulteriori crediti fatti valere dal ricorrente. Se è vero, d’altronde, che nel giudizio di opposizione allo stato passivo, retto dalla disciplina del giudizio ordinario, non è consentito l’esercizio dei poteri istruttori ufficiosi attribuiti al giudice dall’art. 421 c.p.c., neppure quando il credito fatto valere derivi da un rapporto di lavoro subordinato con l’impresa sottoposta alla procedura concorsuale (cfr. Cass., Sez. 1, 30/09/2016, n. 19596; 19/05/2006, n. 11856), è anche vero, però, che il giudice può disporre anche d’ufficio l’acquisizione della documentazione prodotta nel procedimento di verificazione del passivo, alla sola condizione che il ricorrente, a pena di decadenza, indichi specificamente i documenti di cui intende avvalersi, ai sensi della L.Fall., art. 99, comma 2, n. 4, (cfr. Cass., Sez. 6^, 21/ 12/2016, n. 26639; 14/07/2014, n. 16101). Nella specie, peraltro, lo stesso creditore aveva richiamato, nel ricorso introduttivo, la documentazione allegata all’istanza d’insinuazione al passivo, che includeva, oltre ai conteggi ritenuti insufficienti dal Tribunale, anche copia delle buste paga relative alle mensilità di retribuzione non corrisposte dalla società fallita, le cui risultanze non potevano non costituire oggetto di valutazione, ai fini della decisione in ordine alla liquidazione dell’indennità sostitutiva del preavviso e del trattamento di fine rapporto.

6. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dallo accoglimento del secondo e del terzo motivo d’impugnazione, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese processuali.

PQM

rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte; rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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