Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24685 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. III, 05/11/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 05/11/2020), n.24685

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29828/2019 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANNA MARIA GALIMBERTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– intimato –

avverso la sentenza n. 970/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/07/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

M.A., cittadino del Ghana, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politica, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di subire ritorsioni e violenze motivate da ragioni di carattere religioso;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento M.A. proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna, che ne ha disposto il rigetto con ordinanza in data 15/5/2017;

tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza in data 20/3/2019;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’assenza di attendibilità del relativo racconto; 2) dalla mancanza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria secondo tutte le ipotesi legalmente previste, tenuto conto, in ogni caso, che il difetto di attendibilità del racconto del richiedente escludeva la necessità di procedere all’ulteriore valutazione della situazione oggettiva del paese di provenienza, anche con riguardo all’eventuale ricorso dei presupposti per il riconoscimento della c.d. protezione umanitaria;

il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da M.A. con ricorso fondato su quattro motivi d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito in termini mediante controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha ritenuto inattendibile il proprio racconto, in violazione dei criteri legalmente imposti ai fini del riscontro di credibilità del richiedente la protezione internazionale, nonchè dell’onere di cooperazione istruttoria posto a carico dell’organo giudicante, fondando il proprio discorso giustificativo sulla base di argomentazioni del tutto estranee ai doveri imposti al giudice di merito;

il motivo è inammissibile;

osserva al riguardo il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi altresì censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente trascurato di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte della corte territoriale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

osserva il Collegio, al riguardo, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

col secondo e il terzo motivo, il ricorrente si duole del mancato riconoscimento dello status di rifugiato, avuto riguardo ai presupposti di fatto legati alla persecuzione dallo stesso subita nel paese di provenienza, nonchè della protezione sussidiaria, lamentando, in ogni caso, la violazione, da parte della corte territoriale, del c.d. dovere di cooperazione istruttoria, per avere il giudice a quo trascurato di procedere in modo adeguato ed esaustivo all’analisi delle fonti di informazione richiamate con riguardo alle condizioni di sicurezza del paese di provenienza del ricorrente;

il secondo motivo (relativo al riconoscimento dello status di rifugiato) è infondato, là dove il terzo motivo è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati;

varrà preliminarmente considerare come, rispetto alla valutazione in questa sede censurata dal ricorrente, in relazione ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria nelle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), assuma valore dirimente la circostanza, più volte evidenziata dalla corte territoriale, della sostanziale inattendibilità del racconto di vita dell’odierno ricorrente, ciò che esclude in radice la stessa configurabilità dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale rivendicata in relazione ai parametri invocati, attesa la decisiva incidenza, a tali fini, della positiva dimostrazione (nella specie mancata) del concreto riscontro delle circostanze concernenti le vicende strettamente individuali del richiedente;

quanto all’ipotesi di protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) – ferme le considerazioni più sopra riportate, in ordine all’inammissibilità delle censure riferite alla valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente – osserva il Collegio come, secondo l’orientamento fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte (qui integralmente condiviso e fatto proprio, al fine di assicurare una continuità), in tema di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, vada esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento, a nulla rilevando, a tal fine, la ritenuta non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Sez. 1, Ordinanza n. 14283 del 24/05/2019, Rv. 654168 – 01);

sul punto, varrà evidenziare come la protezione sussidiaria, nel caso di cui all’art. 14, lett. c), cit., vada accordata per il sol fatto che il richiedente provenga da territorio interessato da situazioni di violenza indiscriminata: situazioni in cui il livello del conflitto armato in corso è tale che l’interessato, rientrando in quel paese o in quella regione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, C 285/12, Diakitè; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130);

al riguardo, proprio la mancata personalizzazione del rischio preso in considerazione dall’art. 14, lett. c), dà ragione della sostanziale irrilevanza dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente che invochi tale forma di protezione;

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, contempla, infatti, i criteri che la commissione e il giudice debbono seguire ove “taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove”: tali elementi o aspetti del narrato sono considerati veritieri – come si è visto – se ricorrano le condizioni indicate nelle lett. da a) ad e) del predetto comma 5;

il presupposto della norma è, evidentemente, l’esistenza di fatti che ineriscono alla vicenda individuale del richiedente, ma che costui, pur avendone l’onere non sia in grado di suffragare con una prova piena: fatti rispetto ai quali non sia nemmeno possibile l’acquisizione officiosa di elementi istruttori da parte del giudice;

la forma di protezione di cui all’art. 14, lett. c) prescinde, viceversa, da fatti che attengano a una vicenda individuale che il richiedente abbia l’onere di allegare e provare;

chi invochi la protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), non si trova nella necessità di fornire ragguagli circa la propria storia personale: correlativamente, non ha l’esigenza di avvalersi dei criteri posti dall’art. 3, comma 5 per colmare le lacune probatorie che quella storia evidenzi;

il fatto costituivo della forma di protezione in esame è infatti la situazione di pericolo generalizzato dato dalla violenza indiscriminata in presenza di conflitto armato nel paese o nella regione in cui l’istante deve essere rimpatriato;

la prova di tale situazione, in difetto di attivazione della parte, va acquisita d’ufficio dal giudice: come è stato efficacemente rilevato da questa Corte, quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Cass. 28 giugno 2018, n. 17069);

può dirsi, dunque, che i criteri posti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, agiscono come correttivi di un onere probatorio del richiedente riferito alla sua vicenda personale; poichè tale vicenda non rileva con riguardo alla domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), D.Lgs. cit. (sempre che non si discuta della provenienza dell’istante), non può nemmeno configurarsi, in relazione ad essa, quella situazione di deficit probatorio che il cit. art. 3, comma 5, presuppone: e ciò rende inoperanti i criteri posti dalla detta norma per supplire a una carenza siffatta;

esclusa l’applicazione dei detti criteri, deve conseguentemente negarsi che il giudizio di credibilità o non credibilità delle dichiarazioni rese dal dichiarante sortisca conseguenze preclusive per l’accesso al diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

nel caso di specie, avendo il giudice a quo negato il proprio dovere di procedere all’attivazione dei propri doveri di cooperazione istruttoria, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c), cit. invocata dall’odierno ricorrente, per il solo fatto di avere quest’ultimo reso dichiarazioni non credibili, la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto;

la rilevata fondatezza del terzo motivo vale ad assorbire la rilevanza delle censure sollevate con il quarto motivo in relazione alla contestata negazione dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria;

a tale ultimo riguardo, il giudice del rinvio provvederà alla formulazione dell’esame in parola, tenendo conto della necessità di procedere all’espressa valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del terzo motivo, in parte qua (disattese o assorbite le restanti censure), dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo; rigetta il secondo; accoglie il terzo, nei limiti di cui in motivazione; dichiara assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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