Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24684 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 19/10/2017, (ud. 23/03/2017, dep.19/10/2017),  n. 24684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25334/2011 R.G. proposto da:

ITALFONDIARIO S.P.A., rappresentata dall’Avv. Claudio Todaro, in

virtù di procura speciale per notaio J.P.A. del

25 gennaio 2011, in qualità di procuratrice della S.P.V. IEFFE DUE

S.R.L., in virtù di procura per notaio F.F. del 15 marzo

2002, rep. n. 21221, rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio U.

Petraglia, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in

Roma, via Aureliana, n. 2;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 700/11

depositata il 21 febbraio 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 marzo 2017

dal Consigliere Mercolino Guido.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 3 marzo 2005, il Tribunale di Cassino rigettò l’istanza d’insinuazione tardiva proposta dall’Italfondiario S.p.a., in qualità di procuratrice della S.P.V. Ieffe Due S.r.l., nei confronti del curatore del fallimento di (OMISSIS), negando l’ammissione al passivo di un credito di Euro 113.763,39 in via ipotecaria e di un credito di Euro 38.095,68 in via chirografaria, a titolo di saldo debitore di un mutuo concesso a T.V. e Te.Ma. e garantito da ipoteca su immobili di proprietà dei mutuatari.

2. L’impugnazione proposta dall’Italfondiario è stata rigettata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza del 21 febbraio 2011.

A fondamento della decisione, la Corte ha ritenuto non provato che T.V. fosse deceduto e che i falliti gli fossero subentrati jure haereditario nella posizione debitoria in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, escludendo che il Giudice di primo grado fosse tenuto a sollecitare l’attrice a produrre i documenti menzionati nell’atto introduttivo del giudizio, e reputando inammissibile la produzione dei documenti depositati in appello: premesso infatti che l’art. 345 c.p.c., comma 3, stabilisce in via generale il principio dell’inammissibilità di nuovi mezzi di prova in appello, prevedendo i requisiti che gli stessi devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame, ha rilevato che l’attrice non aveva dimostrato di essersi trovata nell’impossibilità di produrre tempestivamente i documenti, escludendo inoltre che gli stessi fossero stati formati dopo il giudizio di primo grado. Ha ritenuto pertanto precluso anche l’esame delle censure riflettenti la responsabilità dei falliti, in qualità di comproprietari degl’immobili ipotecati, non essendo stato dimostrato che questi ultimi fossero ad essi pervenuti per successione ereditaria da T.V. prima della dichiarazione di fallimento.

3. Avverso la predetta sentenza l’Italfondiario ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., e art. 345 c.p.c., commi 2 e 3 e dell’art. 2697 c.c., osservando che, nel ritenere inammissibile la produzione di nuovi documenti in appello, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del più recente orientamento giurisprudenziale, secondo cui il divieto posto dall’art. 345 cit., pur riguardando anche le prove precostituite, non ha carattere assoluto, non escludendo la deduzione o la produzione di mezzi di prova ritenuti indispensabili ai fini della decisione, indipendentemente dall’impossibilità di produrli in primo grado.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Le Sezioni Unite di questa Corte, nel fornire l’interpretazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, anteriore alle modificazioni introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), hanno da tempo chiarito che il principio dell’inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” (la cui ammissione, cioè, non sia stata chiesta in precedenza) in grado di appello si applica anche alle prove c.d. precostituite, quali i documenti, la cui produzione (oltre a dover avere luogo, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione degli stessi nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non si sia resa necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo) deve pertanto ritenersi subordinata, al pari della deduzione delle prove c.d. costituende, alla dimostrazione dell’esistenza di una causa non imputabile, che ne abbia impedito la produzione in primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità, da intendersi come un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove definite rilevanti hanno sulla decisione della controversia, ovvero come idoneità a determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, decisivo talvolta anche per giungere ad un completo rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado (cfr. Cass., Sez. Un., 20/04/2005, n. 8203; Cass. Sez. 1^, 31/08/2015, n. 17341; Cass., Sez. 3, 20/10/2010, n. 21561).

La nozione d’indispensabilità, quale condizione alternativa di ammissibilità della nuova produzione documentale, è stata in seguito chiarita dalla giurisprudenza di legittimità, mediante l’affermazione della spettanza di tale qualificazione ai soli documenti idonei a sovvertire la decisione di primo grado, cioè tali da giustificare la modificazione di uno o più giudizi di fatto sui quali si basa la pronuncia impugnata, fornendo un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale, in coerenza con i principi del giusto processo (cfr. Cass., Sez. lav., 29/04/2016, n. 8568), e quindi a quelli di per sè sufficienti a provare il fatto controverso, indipendentemente da tutte le altre fonti di prova, o anche a rafforzare le prove già raccolte in primo grado, senza aprire un nuovo fronte di indagine (cfr. Cass., Sez. 3, 29/05/2013, n. 13432), con l’ulteriore precisazione che tale idoneità non va apprezzata limitatamente al momento della formazione delle preclusioni istruttorie di primo grado, ma dev’essere valutata in relazione allo sviluppo assunto dall’intero processo, comprensivo della sentenza di primo grado e di ciò che essa afferma a commento delle risultanze istruttorie (cfr. Cass., sez. 2, 17/02/2014, n. 3709). E’ stato altresì chiarito che il giudizio d’indispensabilità della prova nuova in appello non attiene al merito della decisione, ma al rito, in quanto la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine alla ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte, con la conseguenza che, qualora venga dedotta in sede di legittimità l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, questa Corte, chiamata ad accertare un error in procedendo, è giudice anche del fatto, ed è quindi tenuta a stabilire essa stessa se si trattasse di prova indispensabile (cfr. Cass., Sez. 1, 25/01/2016, n. 1277; 24/02/2011, n. 4478; 17/06/2009, n. 14098).

La natura processuale del vizio in questione, pur consentendo al Giudice di legittimità di procedere direttamente all’esame degli atti, non dispensa peraltro la parte dall’onere di precisare, in ossequio al principio di specificità dell’impugnazione, la natura ed il contenuto del documento tardivamente prodotto, nonchè le ragioni per cui, diversamente da quanto ritenuto nella pronuncia d’appello, lo stesso avrebbe dovuto essere considerato idoneo a ribaltare la decisione adottata in primo grado: nella specie, invece, la ricorrente si limita a richiamare alcuni documenti inseriti nel fascicolo di parte del giudizio di appello, indicandoli per numero, senza precisarne la natura, ed affermandone apoditticamente l’idoneità a dimostrare l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità di T.V. da parte di E.R. e T.G.A., senza chiarire neppure quali fossero gli atti o i comportamenti, dagli stessi emergenti, riconducibili alla previsione dell’art. 476 c.c., in tal modo impedendo a questa Corte qualsiasi riscontro in ordine all’asserita indispensabilità dei medesimi documenti.

2. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, restando assorbito il secondo motivo, con cui la ricorrente ha dedotto la violazione o la falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 2, dell’art. 2697 c.c. e del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 101, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto non provato che gl’immobili ipotecati fossero pervenuti jure haereditario ai falliti, senza considerare che questi ultimi erano subentrati in tutti i rapporti attivi e passivi di T.V., avendo accettato tacitamente la sua eredità in data anteriore al fallimento ed essendo quindi divenuti debitori solidali.

3. La mancata costituzione dell’intimato esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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