Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24684 del 04/11/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 24684 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 25338-2007 proposto da:
TURTURRO VINCENZO (c.f. TRTVCN52R23E047M), TURTURRO
GABRIELLA (c.f. TRTGRL56A70A662U) TURTURRO
MARGHERITA (c.f. TRTMGH57R47A662Y), elettivamente
domiciliati in ROMA, PIAZZA ISTRIA 2 – INT.16,
presso l’avvocato TARANTINO ANTONIETTA,
2013

1448

rappresentati e difesi dall’avvocato CASULLI GAIO
VITINIO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

Data pubblicazione: 04/11/2013

MESSERE

LUIGI,

MESSERE

MOSTARDA

GIUSEPPE,

VINCENZINA, MESSERE RUGGIERO;
– intimati –

sul ricorso 25526-2007 proposto da:
MOSTARDA

VINCENZINA

(C.F.

MSTVCN30A50D773H),

NAVI 30, presso l’avvocato CABRAS GIOVANNI ANGELO,
che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato LABELLARTE VITTORIO, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrente contro

MESSERE

RUGGIERO

(C.F.

MSSRGR51L10A662N),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. CADLOLO
118, presso l’avvocato LIPARI NICOLO’, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
SCORCIA SCIPIONE, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –

elettivamente domiciliata in ‘ROMA, LUNG.RE DELLE

contro

TURTURRO

MARGHERITA,

MESSERE

LUIGI,

MESSERE

GIUSEPPE, TURTURRO VINCENZO, TURTURRO GABRIELLA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 385/2007 della CORTE
D’APPELLO di BARI, depositata il 05/04/2007;

2

;

udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 02/10/2013 dal Consigliere
Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito, per la ricorrente Mostarda,

l’Avvocato

GIOVANNI CABRAS che si riporta (e deposita “note

d’udienza”);
uditi, per il controricorrente Messere Ruggiero,
gli Avvocati LIPARI N. e SCORCIA S. che hanno
chiesto l’inammissibilità del ricorso Turturro +2 e
l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso
Mostarda;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’inammissibilità dei ricorsi, comunque
infondatezza.

4
u

3

Svolgimento del processo
Il sig. Messere Ruggiero convenne in giudizio la sig.ra
Mostarda Vincenzina› dinanzi al Tribunale di Bari,
chiedendo di accertare, sulla base di un contratto
concluso il 19 dicembre 1970 tra la madre del Messere

(sig.ra Aglieta Luigia, deceduta nel 1990) e la Mostarda,
l’avvenuta costituzione di una società di persone avente
ad oggetto la gestione di una farmacia in via Gimma n. 50
a Bari e di condannare la convenuta al rendimento del
conto e al risarcimento dei danni.
La convenuta Mostarda si costituì chiedendo di rigettare
le domande, di accertare che il contratto era di
associazione in partecipazione e che la Aglieta si era
resa inadempiente agli obblighi contrattuali, nonché di
dichiarare la nullità di talune clausole del contratto
del 1970, di rideterminare la quota di partecipazione
spettante agli eredi Messere (il contraddittorio era
stato integrato nei confronti dei sig.ri Messere Giuseppe
e Luigi) e di condannarli alla restituzione delle somme
percepite in eccesso e al risarcimento dei danni.
Nel giudizio intervennero i figli della Mostarda, sig.ri
Turturro Vincenzo, Gabriella e Margherita, i quali
aderirono alle tesi ed eccezioni della madre e, in via
subordinata, chiesero (qualora fosse stata accolta la
domanda attrice di accertamento della società di fatto)

4

di accertare l’esistenza di una impresa familiare
(eventualmente conferita nella società), la loro
proprietà dell’azienda per effetto dell’esercizio del
diritto di riscatto, previa liquidazione della quota
comprensiva dell’avviamento e degli utili, cui avevano

diritto in quanto partecipanti, a norma dell’art. 230
bis, comma 4, c.c. e il risarcimento del danno per
violazione del diritto di prelazione.
La sentenza del Tribunale di Barry 14 marzo 2005,
favorevole ai Messere, è stata impugnata dalla Mostarda e
dai Turturro con autonomi appelli che sono stati riuniti
e decisi dalla Corte di appello di Bari con sentenza 5
aprile 2007. La corte ha qualificato l’appello dei
Turturro come incidentale, in quando successivo a quello
della Mostarda, ma inammissibile in quanto tardivo, non
avendo rispettato il termine di venti giorni (artt. 166 e
343 c.p.c.) rispetto alla data dell’udienza fissata in
citazione. Nel merito, la corte, in riforma della
sentenza impugnata, ha escluso l’esistenza di un società,
interpretando la scrittura privata del 1970 (in
particolare la clausola n. 10 che prevedeva che ove un
discendente della Aglieta avesse conseguito il titolo di
dottore in farmacia, se consentito dalla legge vigente,
il contratto sarebbe stato trasformato da associazione in
partecipazione in società) nel senso che la
trasformazione dello stipulato contratto di associazione
5

in contratto di società non fosse automatica ma solo
eventuale, condizionata non solo alla sopravvenienza
delle due indicate condizioni di fatto e di diritto
(entrambe realizzate: il conseguimento della laurea da
parte di un erede dell’associata Aglieta e la possibilità

di farmacie ex lege

legale di costituire società di persone per la gestione

n. 392 del 1991) ma soprattutto al

raggiungimento di un nuovo accordo mai raggiuntoi

IVel

valutare il comportamento delle parti nella fase
attuativa dell’accordo del 1970, la corte ha escluso che
vi fosse prova dell’esistenza di una compagine societaria
e della sua esteriorizzazione verso i terzi. Inoltre la
Corte ha rigettato la domanda riconvenzionale della
Mostarda di accertamento della nullità della clausola (n.
11) del contratto del 1970 che prevedeva, alla sua
scadenza trentennale (in data 31 dicembre 2000), la
valutazione e la divisione dell’azienda in parti uguali
tra i contraenti e gli eredi ovvero, in alternativa, la
risoluzione del contratto; ha ritenuto che le ulteriori
censure attinenti ad un provvedimento cautelare di
sequestro conservativo concesso dal tribunale su ricorso
dei Messere e alla divisione del valore dell’azienda
dovessero essere delibate nel diverso processo pendente
nel quale i Messere avevano chiesto di quantificare il
proprio credito; ha infine compensato le spese di
entrambi i gradi di giudizio.
6

Avverso questa sentenza propongono separati ricorsi per
cassazione i sig.ri Turturro con due motivi e la sig.ra
Mostarda con sei articolati motivi, cui resiste il sig.
Messere Ruggiero. I sig.ri Messere Giuseppe e Luigi non
hanno svolto attività difensiva. Le parti hanno

presentato memorie.
Motivi della decisione
I ricorsi hanno ad oggetto la medesima sentenza impugnata
e vanno quindi riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c.
Nel primo motivo del suo ricorso la sig.ra Mostarda
addebita alla corte di merito l’omessa pronuncia sul
motivo di appello concernente la dedotta nullità della
sentenza di primo grado per violazione delle disposizioni

..

. sulla costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.),
rientrando la controversia – a suo avviso – tra quelle
rimesse alla decisione collegiale del tribunale, a norma
dell’art. 50 bis n. 5 c.p.c.
Il motivo è infondato. Questa Corte (sent. n. 9615 del
2010) ha avuto occasione di rilevare che l’art. 50

quater

c.p.c. prevede espressamente che “le disposizioni di cui
agli artt. 50 bis e 50 ter non si considerano attinenti
alla costituzione del giudice” e che “alla nullità
derivante dalla loro inosservanza si applica l’art. 161
c.p.c., comma 1”, norma quest’ultima che, nel prevedere a
,

sua volta il principio generale della conversione dei
motivi di nullità in motivi di impugnazione, si

7

riconnette all’art. 354 c.p.c. che prevede espressamente
i casi di nullità che comportano la rimessione degli atti
al primo giudice, con la conseguenza che, non essendo
prevista fra tali casi anche la nullità qui dedotta,
correttamente la corte ha deciso la causa nel merito.

Inoltre – è opportuno precisare – la semplice
proposizione da parte di un socio di una domanda di
accertamento della responsabilità di un altro socio
accusato di comportamenti illeciti (come quella proposta
da Ruggiero Messere in una memoria ex art. 183 c.p.c. nei
confronti della Mostarda) non integra l’ipotesi prevista
dall’art. 50

bis n. 5 c.p.c. della causa (che sarebbe

riservata alla decisione del tribunale in composizione
collegiale) di responsabilità “contro gli organi
ammmistrativi e di controllo, i direttori generali_ e i
liquidatori” delle società e delle associazioni in
partecipazione (v., in tal senso, la citata Cass. n. 9615
del 2010).
La Mostarda, nel secondo motivo del ricorso, deduce
violazioni di legge e omessa motivazione sul rigetto
della sua domanda riconvenzionale di accertamento
dell’inadempimento della Aglieta, quale associata al
contratto di associazione in partecipazione, per avere
effettuato un conferimento inferiore a quello pattuito,
con conseguente richiesta di rideterminazione del valore
della sua partecipazione.
8

La sentenza impugnata, dopo avere accolto l’appello della
Mostarda, nella motivazione ha giudicato le altre sue
domande (compresa quella di nullità della clausola n. 11
del contratto) “non collegate in alcun modo con l’ambito
di questo giudizio, quanto piuttosto con le altre sedi

processuali di cui si è prima detto”, ma nel dispositivo
le ha rigettate. Si tratta di un conflitto solo apparente
tra dispositivo e motivazione, che è imputabile ad una
mera improprietà terminologica e non impedisce di
comprendere l’effettiva portata precettiva della
decisione, considerata complessivamente nella totalità
delle sue componenti testuali (Cass. n. 10637 del

2005,

n. 9244 del 2007). L’esatto contenuto della pronuncia è,
infatti, di inammissibilità delle predette domande
riconvenzionali, giudicate dalla corte di appello, in
sostanza, come non “dipendenti dal titolo dedotto in
giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla
causa come mezzo di eccezione” (art. 36 c.p.c.), ma
piuttosto dipendenti dal titolo dedotto nel diverso
giudizio di merito pendente, avente ad oggetto la
definizione dei rapporti economici inerenti allo
scioglimento del rapporto contrattuale di associazione in
partecipazione, comunque avvenuto alla scadenza
trentennale del contratto (in data 31 dicembre 2000). Si
tratta di una valutazione che è riservata
all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito,
9

non

sindacabile

in

sede

di

legittimità

quando

l’inopportunità della trattazione e decisione simultanea
sia stata, come nella specie, adeguatamente argomentata
(v. Cass. n. 4696 del 1999). Tale

ratio decidendl,

inoltre, non è stata specificamente impugnata nel ricorso,

ma contestata tardivamente e genericamente nella memoria
ex art. 378 c.p.c., essendosi la ricorrente limitata a

dedurre l’erroneità della sentenza di primo di grado e la
fondatezza della sua domanda nel merito. Il motivo in
esame è quindi inammissibile.
Nel terzo motivo si imputa alla sentenza in esame vizio
di motivazione sulla interpretazione nonché violazione e
falsa applicazione dell’art. 669 terdecies c.p.c.
Il motivo è da rigettare in entrambi i suoi profili:
quello che censura ex art. 360 n. 5 c.p.c. un asserito
errore del giudice di merito nell’interpretazione della
norma di diritto rilevante nella fattispecie, trattandosi
di vizio che deve essere denunciato ai sensi dell’art.
360 n. 3 c.p.c. (Cass. n. 7267 del 2012); quello
concernente la dedotta violazione di legge (art. 360 n. 3
c.p.c.), perché ignora la ratio decidendi della sentenza
impugnata, la quale ha giudicato quella censura (sulle
contestate modalità di applicazione dell’art.
terdecies

669

c.p.c.) come superata “per effetto della

riforma della sentenza di primo grado”, circostanza che
fa venire meno l’interesse della parte a denunciare
10

un’asserita lesione del diritto di difesa per la
impossibilità legale di impugnare il provvedimento
cautelare di sequestro emesso nei suoi confronti dal
tribunale in fase di reclamo (e, peraltro, secondo
l’allegazione del controricorrente cui la Mostarda non ha

replicato, nell’ambito di un diverso giudizio).
Il quarto motivo addebita alla sentenza impugnata vizio
di motivazione sul rigetto della domanda riconvenzionale
dalla Mostarda di nullità o inefficacia della clausola n.
11 del contratto del 1970 e falsa applicazione delle
norme (artt. 1362 ss. c.c.) sull’interpretazione del
contratto. Sostiene la ricorrente che, avendo la corte
qualificato il contratto come di associazione in
partecipazione, avrebbe dovuto di conseguenza e
“inevitabilmente” dichiarare la nullità o inefficacia
della clausola n. 11 (che prevedeva, alla scadenza
trentennale del contratto, la valutazione e la divisione
dell’azienda in parti uguali tra i contraenti e gli
eredi), in quanto incompatibile con la natura e con le
altre clausole del contratto oppure, in subordine,
interpretarla nel senso che nel “valore dell’azienda”
dovesse comunque escludersi il valore dell’avviamento
commerciale.
Il motivo è da rigettare. Esso ignora la ratio decidendi
espressa dalla corte, ad avviso della quale la presenza
in un contratto di associazione in partecipazione di
11

clausole apparentemente non aderenti alla fattispecie
legale non lo rende per ciò solo nullo, quando per la
prevalenza degli elementi tipici il rapporto sia
riconducibile alla disciplina propria dello schema
contrattuale tipico. La inconciliabilità tra quella

clausola (n. 11) e lo schema causale dell’associazione in
partecipazione è apoditticamente predicata dalla
ricorrente e non tiene conto del rilievo che, pur essendo
l’associazione in partecipazione un contratto associativo
caratterizzato dal fatto che la gestione dell’impresa
compete all’associante, nell’esercizio della loro
autonomia contrattuale le parti possono regolamentare gli
effetti economici dello scioglimento del contratto e
prevedere una divisione in parti eguali del valore
dell’azienda, sul presupposto implicito che alla
determinazione di quel valore abbia concorso anche
l’attività dell’associato, senza che ciò implichi una
violazione delle norme codicistiche in materia (art. 2549
ss. c.c.). Inoltre, quanto alla dedotta erronea
interpretazione del riferimento al “valore dell’azienda”,
la ricorrente trascura la precisazione della corte
secondo la quale “ogni deliberazione” “circa l’ambito di
operatività della convenuta divisione del valore
aziendale a fine contratto_ va evidentemente vagliata
nella idonea sede processuale”.

12

L’oggetto della censura esposta nel quinto motivo
riguarda la disposta integrale compensazione delle spese
processuali di entrambi i gradi del giudizio di merito,
la quale violerebbe gli artt. 91 e 92 c.p.c. e sarebbe
affetta da vizio di motivazione.

Il motivo è infondato, avendo la corte adeguatamente
indicato i giusti motivi di compensazione delle spese
nella “defatigante evoluzione stragiudiziale e giudiziale
della controversia”, nella “ambiguità della fattispecie”
e nella “assoluta peculiarità delle questioni trattate”.
Nel sesto motivo è dedotta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 166 e 168 bis, comma 5, 333, 343
c.p.c. quanto alla decisione di inammissibilità
dell’appello dei Turturro.
Il motivo è inammissibile, non essendo la Mostarda
legittimata a proporre una simile censura circa
l’ammissibilità dell’appello proposto da altre parti
processuali.
Venendo ad esaminare il ricorso Turturro, a questa Corte
è chiesto di accertare se il giudice distrettuale,
dichiarando il loro appello inammissibile perché proposto
senza rispettare il termine di venti giorni prima
dell’udienza di comparizione, sia incorso in violazione
degli artt. 166, 168 bis, comma 5, e 343 c.p.c. (primo
motivo); nonché di accertare se sia incorso in violazione
degli artt. 333 e 343 c.p.c., avendo qualificato il
13

gravame proposto come incidentale, sebbene avesse ad
oggetto rapporti scindibili e, quindi, non fosse (a suo
avviso) soggetto al termine di decadenza di venti giorni
prima dell’udienza di comparizione fissata nell’appello
principale (secondo motivo).

Il predetto ricorso è inammissibile per carenza di un
interesse in capo ai medesimi Turturro da soddisfare in
un ipotetico giudizio di rinvio. In sede di appello essi
avevano chiesto il rigetto della domanda dei Messere,
l’accoglimento delle domande riconvenzionali della
Mostarda e “in via subordinata” avevano proposto altre
domande “nella denegata ipotesi di accoglimento delle
domande formulate dai sig.ri_ Messere”.

3

Poiché sia la

– domanda dei Messere (di accertamento della trasformazione
del contratto in società) sia quelle della Mostarda sono
state definitivamente rigettate (queste ultime per
effetto del rigetto o della inammissibilità del ricorso
per cassazione proposto dalla stessa Mostarda), non si è
avverata l’ipotesi (di accoglimento della domanda dei
Messere) cui i Turturro avevano subordinato le loro
domande volte a dichiarare la proprietà dell’azienda
conferita, in tesi, dalla Mostarda nella società di
fatto, per effetto dell’esercizio del diritto di
riscatto, ovvero ad ottenere il risarcimento del danno
4

per la violazione del diritto di prelazione, a norma
dell’art. 230 bis c.c. Nella memoria illustrativa i
14

Turturro riconoscono che, per effetto dell’acquiescenza
dei Messere alla sentenza della corte di appello, è
venuto meno il loro interesse a sentir dichiarare il
proprio diritto di prelazione ex art. 230 bis citato.
In conclusione, il ricorso della sig.ra Mostarda è

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del
giudizio di cassazione, tenuto conto della complessità e
novità delle questioni trattate.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello della sig.ra
Mostarda e dichiara inammissibile quello dei sig.ri
Turturro; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Roma, 2 ottobre 2013.

rigettato, quello dei sig.ri Turturro è inammissibile.

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