Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24682 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 19/10/2017, (ud. 23/03/2017, dep.19/10/2017),  n. 24682

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25136/2011 R.G. proposto da:

Avv. R.W., rappresentato e difeso dall’Avv. Amedeo Bassi, con

domicilio eletto in Roma, viale delle Belle Arti, n. 7, presso lo

studio dello Avv. Giuseppe Ambrosio;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore p.t. Dott.

M.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Petrella, con

domicilio eletto in Roma, viale Castrense, n. 7, presso lo Studio

legale Cirilli-Placidi;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere

depositato il 29 giugno 2011;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 marzo 2017

dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto del 29 giugno 2011, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l’opposizione proposta dall’avv. R.W. avverso lo stato passivo del fallimento (OMISSIS) S.r.l., negando l’ammissione al passivo dell’importo di Euro 244.562,86, richiesto a titolo di compenso per l’attività di rappresentanza, assistenza e difesa prestata in favore della società fallita ai fini della presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo.

A fondamento della decisione, il Tribunale ha escluso l’applicabilità della tariffa stragiudiziale, rilevando che le attività svolte risultavano in parte tipicamente giudiziali, in parte connesse e complementari alla redazione della domanda di ammissione al concordato, e quindi riconducibili alla tariffa giudiziale, ed aggiungendo che il ricorrente non aveva provato il compimento di attività professionali che giustificassero l’applicazione della tariffa stragiudiziale. Ha ritenuto inoltre che il Giudice delegato avesse correttamente individuato lo scaglione tariffario applicabile, anche alla stregua della sentenza della Corte di cassazione 9/01/2004, n. 121, precisando infine che il credito non avrebbe potuto essere ammesso in prededuzione ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 111, ma solo in via privilegiata, ai sensi dell’art. 2751 bis c.c..

2. Avverso il predetto decreto l’avv. R. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore del fallimento ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, artt. 3 e 5, e dell’art. 36 Cost., nonchè l’omissione, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, osservando che, nel ritenere inapplicabile la tariffa stragiudiziale, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell’inadeguatezza dell’importo liquidato e della natura della procedura di concordato preventivo, avente carattere concorsuale e giudiziale, ma riconducibile alla volontaria giurisdizione e solo eventualmente contenziosa. Il Tribunale ha frazionato le attività svolte da esso ricorrente, confluite invece in una prestazione unitaria, contraddistinta da elementi sia giudiziali che stragiudiziali, inseparabili tra loro, con la conseguente riconducibilità alla Tabella D, n. 4 della tariffa stragiudiziale; nell’applicazione di tale tariffa, occorre assumere come parametro il passivo dell’impresa in crisi, e non già la percentuale che il concordato mira a soddisfare, trattandosi di una procedura volta a liberare interamente il debitore, mentre, avuto riguardo alla complessità dell’attività richiesta, non può attribuirsi alcun rilievo all’esito negativo dell’iniziativa, nè alla collaborazione prestata da altri professionisti.

1.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

L’esclusione dell’applicabilità della tariffa stragiudiziale ai fini della liquidazione del compenso dovuto al ricorrente per l’attività professionale prestata in vista della predisposizione della domanda di ammissione al concordato preventivo costituisce infatti puntuale applicazione del principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui tutte le attività strettamente connesse e complementari all’introduzione ed allo svolgimento della predetta procedura, anche se svolte al di fuori della stessa, non danno luogo al riconoscimento del compenso previsto per le prestazioni stragiudiziali, risultando quest’ultimo applicabile soltanto quando, per la natura della procedura e la specificità dell’attività, le predette attività non trovino adeguato corrispettivo nella tariffa relativa alle prestazioni giudiziali (cfr. Cass., Sez. 1^, 29/05/2008, n. 14443; 12/06/2007, n. 13770). Tale principio, enunciato in riferimento alle tariffe professionali approvate con i D.M. 24 novembre 1990, n. 392, e D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, dev’essere ribadito anche con riguardo alla disciplina, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, dettata dal D.M. n. 127 del 2004, il quale, nel dettare i criteri per l’applicazione della tariffa stragiudiziale, stabilisce all’art. 2, che i rimborsi ed i compensi dalla stessa previsti “sono dovuti dal cliente anche se il professionista abbia prestato nella pratica la sua opera in giudizio, sempre che tali prestazioni non trovino adeguato compenso nella tariffa per le prestazioni giudiziali”, in tal modo lasciando chiaramente intendere che, salvo casi eccezionali, le attività diverse da quelle svolte nell’ambito del processo, ma normalmente collegate alle stesse, trovano il loro corrispettivo nell’importo liquidato in base ai criteri previsti dalla tariffa giudiziale, se del caso maggiorato in relazione alle questioni giuridiche trattate ed all’importanza della causa, nonchè ai risultati del giudizio, anche non patrimoniali, ed all’urgenza richiesta (cfr. al riguardo, Cass., Sez. Un., 24/07/2009, n. 17357; Cass., Sez. II, 23/05/1992, n. 6214). Per mera completezza, occorre poi rilevare che a principi non diversi s’ispira la nuova disciplina introdotta dal D.M. 20 luglio 2012, n. 140, che ha stabilito i parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi, in attuazione del nuovo regime introdotto dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 17: nel disporre che la determinazione dei compensi relativi all’attività giudiziale civile, amministrativa e tributaria abbia luogo in base ai parametri previsti dall’allegata Tabella A – Avvocati, l’art. 11 di detto decreto ribadisce infatti espressamente il carattere omnicom – prensivo dell’importo risultante dalla loro applicazione, richiamando l’art. 1, comma terzo, secondo cui “i compensi liquidati comprendono l’intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa”, e precisando inoltre, per maggior chiarezza, al comma 8, che “il compenso, ai sensi dell’art. 1, comma 3, comprende ogni attività accessoria, quali, a titolo di esempio, gli accessi agli uffici pubblici, le trasferte, la corrispondenza anche telefonica o telematica o collegiale con il cliente, le attività connesse a oneri amministrativi o fiscali, le sessioni per rapporti con colleghi, ausiliari, consulenti, magistrati”.

Non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in cui ha escluso la possibilità di liquidare separatamente il compenso richiesto per le attività stragiudiziali compiute ai fini della presentazione della domanda di concordato preventivo, dando atto della stretta connessione esistente tra le stesse e quelle giudiziali indicate dal ricorrente, già remunerate attraverso il riconoscimento dell’importo liquidato in base alla tariffa giudiziale. La natura delle predette attività, consistenti nella partecipazione ad incontri con il liquidatore della società in crisi e con gli altri professionisti che l’assistevano, confermandone il rapporto di complementarità con quelle riguardanti direttamente lo studio della controversia, la redazione ed il deposito del ricorso e la partecipazione alle fasi successive del procedimento, consente infatti di ritenerne giustificata l’aggregazione in un’unica prestazione complessa, avente ad oggetto la rappresentanza tecnica e la difesa della debitrice nello ambito della procedura concorsuale, facendo pertanto apparire legittima la liquidazione di un compenso unitario, determinato in base ai soli criteri contemplati dalla tariffa giudiziale.

Quanto poi alla lamentata inadeguatezza del predetto importo, in dipendenza dell’errata individuazione del valore della controversia da assumere come parametro di riferimento ai fini della liquidazione, l’omesso esame della relativa questione da parte del decreto impugnato esclude la possibilità di far valere in questa sede l’illegittimità del criterio applicato, trattandosi di una contestazione che implica un’indagine di fatto, riguardante il valore in concreto utilizzato come base di calcolo del compenso, e non essendo stato precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito la predetta questione sia stata sollevata (cfr. Cass., Sez. 2^, 11/04/2016, n. 7048; Cass., Sez. 1^, 18/10/2013, n. 23675; 31/08/2007, n. 18440).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. Fall., art. 111, comma 2, e art. 111 bis, e dello art. 3 Cost., nonchè l’omissione, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, sostenendo che, nell’escludere la prededucibilità del credito, il decreto impugnato non ha considerato che lo stesso è sorto, se non in occasione, quanto meno in funzione della procedura concorsuale. A tal fine, non può farsi alcuna distinzione tra crediti strumentali e crediti funzionali, non prevista dalla legge, nè alcun riferimento al decreto di ammissione al concordato, dovendosi invece tener conto del deposito della domanda; nè il credito dev’essere necessariamente sottoposto al vaglio degli organi della procedura, trattandosi di un controllo non previsto per tutti i crediti di massa e di un credito derivante da un’attività necessaria per la proposizione della domanda di concordato, rispetto al quale resta irrilevante l’esito della procedura.

2.1. Il motivo è inammissibile, riflettendo una questione che, in quanto avente ad oggetto la collocazione del credito azionato, risulta affrontata “per mera completezza di analisi”, come espressamente precisato dal Tribunale, essendo rimasta assorbita dall’integrale rigetto della domanda di ammissione al passivo, con la conseguenza che le argomentazioni svolte al riguardo devono considerarsi estranee alla ratio del decreto impugnato, configurandosi come un mero obiter dictum, privo di effetti giuridici, in quanto concretamente ininfluente sulla decisione, e quindi non impugnabile con il ricorso per cassazione, per difetto d’interesse (cfr. Cass., Sez. lav., 22/10/2014, n. 22380; 22/11/2010, n. 23635; Cass., Sez. 3^, 9/04/2009, n. 8676).

3. I ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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