Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24675 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2011, (ud. 07/06/2011, dep. 23/11/2011), n.24675

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

s.a.s. TRASPORTI INTERPORTUALI di Francesco Maria Franzil & C,

con

sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla

Via Alberico II n. 11 presso lo studio dell’avv. SCARPA Angelo che la

rappresenta e difende insieme con l’avv. Carmine PULLANO (del Foro di

Trieste) in forza della “delega” rilasciata a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(1) AGENZIA delle DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

(2) la Direzione Regionale dell’AGENZIA delle DOGANE per la Regione

Emilia-Romagna, in persona del Direttore pro tempore;

(3) la Direzione della Circoscrizione Doganale di (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore;

– intimate –

AVVERSO la sentenza n. 120/01/05 depositata il 21 ottobre 2005 dalla

Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (notificata il

20 dicembre 2005);

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 giugno 2011

dal Cons. Dott. Michele D’ALONZO;

sentite le difese dell’Agenzia, perorate dall’avv. Maria Letizia

GUIDA (dell’Avvocatura Generale dello Stato);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla Direzione Regionale dell’AGENZIA delle DOGANE per la Regione Emilia-Romagna ed alla Direzione della Circoscrizione Doganale di (OMISSIS), la s.a.s. TRASPORTI INTERPORTUALI di Francesco Maria Franzil & C. – premesso che: (1) “con processo verbale dd. 18 luglio 2003 di revisione dell’accertamento ai sensi del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11 il Servizio di Vigilanza Antifrode presso” detta Circoscrizione Doganale aveva accertato la “presunta provenienza dalla (OMISSIS) di una partita di silicio” (“acquistata su incarico della Italchemic Trading srl”) “dichiarata invece nei documenti come proveniente dalla (OMISSIS)”; (2) con “avviso” del 18 luglio 2003 la medesima Circoscrizione aveva, quindi, disposto la “rettifica delle dichiarazioni sottoposte a revisione con conseguente calcolo di maggiori diritti doganali … e intimazione di pagamento degli stessi” -, in forza di cinque motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 120/01/05 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (depositata il 21 ottobre 2005 e notificata il 20 dicembre 2005) che aveva disatteso il suo gravame avverso la decisione (111/01/04) della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna la quale aveva respinto il ricorso.

L’Agenzia intimata instava per il rigetto dell’avverso gravame e depositava memorie ex art. 378 c.p.c..

L’Ufficio locale dell’Agenzia non svolgeva attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata.

La Commissione Tributaria Regionale – premesso che: (1) il giudice di primo grado ha “respinto il ricorso-” della società “avverso l’avviso di rettifica in revisione dell’accertamento della dichiarazione doganale di importazione definitiva … recante l’addebito della somma di Euro 146.801,95 a titolo di diritti doganali e accessori dovuti a seguito della revisione della citata dichiarazione doganale di importazione definitiva di silicio”; 2) “tale merce era stata acquistata dall’… appellante presso la ditta statunitense Arlington International per conto della ditta Italchemic Trading srl”; (3) “all’arrivo della merce nel porto di (OMISSIS) la Italchemic Trading srl aveva contestato che la merce fosse di provenienza (OMISSIS) e non invece (OMISSIS) o, comunque, non di provenienza (OMISSIS)”; (4) “la ditta Arlington International avrebbe inteso rimediare alla situazione rivendendo la merce alla ditta Eltom Oil di (OMISSIS) e sostituendola con un altro carico di silicio di provenienza macedone”; “la fornitura della merce sarebbe stata poi pagata in parte attraverso la cessione al venditore Eltom Oil del silicio di provenienza (OMISSIS) e in parte attraverso il versamento di una differenza in denaro”; (5) “a seguito della descritta operazione la merce proveniente da (OMISSIS) arrivava al porto di (OMISSIS) dove, con la succitata bolletta doganale di importazione, venivano liquidati i dazi nella misura prevista per le merci di provenienza UE, senza assoggettamento ai dazi anti-dumping previsti per il silicio di provenienza (OMISSIS)”; 6) “l’importatore si riservava di presentare, ad attestazione dell’origine, il prescritto certificato Eurl; tale documento veniva successivamente presentato a conferma della dichiarata origine macedone della merce”;

(7) “da successivi controlli effettuati dall’Agenzia delle dogane emergeva che l’origine della merce non era (OMISSIS) bensì (OMISSIS) e che le autorità macedoni avrebbero provato che il documento di origine sarebbe stato falsificato”; (8) “secondo l’Amministrazione doganale, quindi, la merce di cui trattasi avrebbe avuto origine (OMISSIS), provenienza da (OMISSIS), diretta al porto di (OMISSIS), da qui trasferita al porto di (OMISSIS) e, da ultimo, trasferita al porto di (OMISSIS), dove sarebbero state eseguite le operazioni di importazione e dove sono stati liquidati i dazi nella misura prevista per le merci di origine comunitaria” – ha disatteso l’impugnazione della società (testualmente) dichiarando di “condivide (re) la motivazione della sentenza appellata, basata su documenti che provano il coinvolgimento dell’appellante nella irregolare importazione” in quanto “non vengono forniti elementi che provino l’estraneità dell’attuale appellante all’importazione irregolare” (“in ogni caso l’appello nulla aggiunge a quanto già indicato nel ricorso di primo grado e non dimostra la pretesa estraneità dell’appellante ai fatti contestati e sottoposti ad attento giudizio da parte lei giudici della Commissione tributaria provinciale”).

Il giudice di appello, quindi, “visti i documenti prodotti dall’Amministrazione”, ha ritenuto “appellante . .. corresponsabile nel pagamento delle imposte in funzione della determinante sua partecipazione ad ogni fase dell’operazione commerciale a partire dall’emissione dell’ordine alla ditta Arlington International (di cui è provato lo stretto collegamento con la ditta cinese fornitrice) fino all’arrivo della merce al porto di (OMISSIS) dopo le precedenti soste nei porti di (OMISSIS)”.

2. Il ricorso della contribuente.

La società censura la decisione per cinque motivi.

A. Con il primo, denunzia “violazione e/o falsa applicazione” delle norme concernenti l'”obbligo della motivazione” (“art. 61 in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36”), oltre che “motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria”, assumendo che “la motivazione della sentenza impugnata” è “del tutto assente” perchè in essa “non vengono … indicati nè gli elementi di fatto nè le considerazioni di diritto che la Commissione … ha posto alla base del proprio convincimento”.

B. Con il secondo motivo la ricorrente – “ribadito” che essa (1) “si limitò … ad acquistare prima, su ordine e per conto della committente, del silicio di provenienza (OMISSIS)”, (2) “respinse, su ordine e per conto della committente, il silicio stesso quando … si rivelò di provenienza (OMISSIS)” e, “infine”, (3) “acquistò, su ordine e per conto della committente, dell’altro silicio di provenienza (OMISSIS)” – denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell'”art. 202 del Regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992″ (per il quale “debitori del pagamento del dazio” sono: “le persone che hanno partecipato” all'”introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare”;

“le persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando l’hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce introdotta irregolarmente”), nonchè “motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria”, esponendo (in sintesi) che “anche a voler …

ammettere l’irregolare provenienza della merce …, nessuna responsabilità potrebbe essere addebitata” ad essa “ricorrente in quanto mera esecutrice, in perfetta buona fede, delle indicazioni altrui”.

C. Con il terzo motivo la contribuente denunzia “violazione e/o falsa applicazione” del “D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2” e della “L. n. 241 del 1990, art. 3”, nonchè “motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria”, esponendo che “una lettura del provvedimento amministrativo impugnato serena e sgombra da pregiudizi rivela come in esso venga . . . esposta una tesi preconcetta senza … fornire convincenti elementi atti a dimostrare quella che verbalizzanti avevano già aprioristicamente deciso essere l’opera di un'”organizzazione dedita al contrabbando aggravato”, senza neppure porsi il dubbio se i medesimi elementi di fatto avessero potuto avere … una diversa spiegazione”.

D. Nel quarto motivo la ricorrente – esposto che per “controparte …

la presenza dell’elemento soggettivo in capo” ad essa “emergerebbe con estrema chiarezza da tutta la corrispondenza intercorsa tra FRANZIL ed il rappresentante della ditta (OMISSIS)” – denunzia “violazione e/o falsa applicazione” delle norme concernenti l'”obbligo della motivazione” (“art. 61 in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36”), oltre che “motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria”, esponendo:

– “le email cui controparte si è riferita sono riconducibili a persona diversa dal legale rappresentante di essa ricorrente”;

– “sono veramente pochi gli elementi di contatto fra lo scambio epistolare di cui sopra e la fattispecie che qui ci occupa: la citazione della città di (OMISSIS); il nome della MSC”, ovverosia, “parlando di traffici marini nel Mar Mediterraneo”, “tre fra i più attivi porti commerciali e forse il più grande armatore . .. operante”;

– “non è neppure dato sapere se la corrispondenza” (“che in ogni caso .., disconosce essendo priva di firma e di data certa ed il cui contenuto si è appreso in occasione del giudizio di primo grado”) “si riferisse ad uno o più affari e di quali affari si trattasse”.

E. Con il quinto (ultimo) motivo la contribuente denunzia “violazione e/o falsa applicazione” del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15 sostenendo che “del tutto ingiustificatamente il giudice ha …

liquidato” le spese processuali in favore dell’Ufficio perchè “di fatto ex adverso non sostenute” in quanto “la Circoscrizione Doganale” si è costituita “autonomamente in persona del Direttore .

. . , senza assistenza tecnica alcuna nè interna nè esterna” per cui “non si è verificato il presupposto previsto” da detta norma.

3. Le ragioni della decisione.

Il ricorso – integrata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la motivazione della sentenza impugnata con le considerazioni che seguono – deve essere respinto.

A. Dalla mera lettura dei “passi” della sentenza impugnata, riprodotti nel par. 1, si evince l’insussistenza della violazione denunziata con il primo motivo di ricorso: il giudice di appello, infatti, ha indicato tutti gli elementi di fatto rilevanti (“diritti doganali e accessori dovuti a seguito della revisione della . ..

dichiarazione doganale di importazione definitiva di silicio”; “merce … acquistata dall’… appellante presso la ditta (OMISSIS) Arlington International per conto della ditta Italchemic Trading srl”) nonchè le considerazioni, giuridiche e logiche (“coinvolgimento dell’appellante nella irregolare importazione”;

mancanza di “elementi” probatori dell'”estraneità dell’…

appellante all’importazione irregolare”), che lo hanno indotto alla decisione adottata, ovverosia ad affermare che l'”appellante” è “corresponsabile nel pagamento delle imposte in funzione della determinante sua partecipazione ad ogni fase dell’operazione commerciale a partire dall’emissione dell’ordine alla ditta Arlington International (di cui è provato lo stretto collegamento con la ditta cinese fornitrice) fino all’arrivo della merce al porto di (OMISSIS) dopo le precedenti soste nei porti di (OMISSIS)”.

La censura, quindi, si risolve nell’apodittica, interessata affermazione della contribuente, non essendo neppure allegati gli elementi di fatto non considerati nè (come risulta evidente dalle successive doglianze) quali siano le ragioni logiche o giuridiche che falsano il ragionamento del giudice di appello e, di conseguenza, le conclusioni dallo stesso raggiunte.

B. Il secondo ed il quarto motivo di ricorso vanno scrutinati congiuntamente per la loro connessione.

B.1. In via preliminare va rilevato essere ormai coperto da giudicato interno (perchè assolutamente non impugnato) l’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito in ordine alla “origine… (OMISSIS)” e non “(OMISSIS)” della “merce” (silicio metallico) perchè il “documento di origine” era stato “falsificato”: l’operazione di importazione di tale “merce”, quindi, ricade (ratione temporis) sotto il disposto dell’202 del Regolamento 12 ottobre 1992 n. 2913 92/2913/CEE, del quale la ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione”, disponendo il primo comma dello stesso che “l’obbligazione doganale all’importazione sorge”, tra altre ipotesi, anche “in seguito a) all’irregolare introduzione nel territorio doganale della Comunità di una merce soggetta a dazi all’importazione”, precisamente (comma 2) “al momento dell’introduzione irregolare”.

B.2. In tal caso il terzo comma dello stesso art. 202 dispone che “sono debitori” dell'”obbligazione doganale”:

(1) “la persona che ha proceduto a tale introduzione irregolare”;

(2) “le persone che hanno partecipato a questa introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare”, nonchè;

(3) “le persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce introdotta irregolarmente”.

La piana analisi della norma pone in luce che la consapevolezza (“sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere”? “sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere”) della irregolarità della introduzione della merce, quindi l’afferente stato soggettivo, rileva unicamente per “le persone” che “hanno partecipato” all'”introduzione irregolare” o che “hanno acquisito o detenuto la merce considerata” (cioè introdotta irregolarmente), mai per “la persona che ha proceduto” ad una “introduzione irregolare” : la ratio evidente si rinviene agevolmente nella impossibilità logica di ravvisare una ignoranza della provenienza della merce nella “persona che ha proceduto a tale introduzione irregolare” perchè chi procede all'”introduzione” di una merce conosce perfettamente l’origine della stessa e, quindi, la conseguente soggezione di quella “a dazi all’importazione”, oltre che (come affermato dalla Corte di Giustizia indicata al punto B.3. che segue) nelle esigenze di rafforzamento dell’obbligo dell’importatore di vigilare sull'”esattezza dell’informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione da parte dell’esportatore” al fine di evitare “abusi”.

B.3. Dal rilievo che precede discende che vanamente la ricorrente invoca il suo stato soggettivo atteso che essa è la “persona che ha proceduto a tale introduzione irregolare” e non già una che ha “partecipato” a quell’operazione.

Anche sul punto, infatti, va riscontrata l’intervenuta formazione di un giudicato interno non essendo stata contestata la riportata affermazione del giudice di appello secondo la quale la “merce era stata acquistata dall’… appellante” (anche se “per conto della ditta Italchemic Trading srl”): il fatto (peraltro ribadito dalla ricorrente, la quale insiste nell’affermare di avere operato “su ordine e per conto della committente”), assume significato decisivo perchè l'”ordine” e/o il “conto” (come l'”incarico”), per ammissione della contribuente, non si sono mai espressi anche nella spendita (doganale) del “nome” della “committente” di tal che la ricorrente rimane comunque debitrice del dazio ai sensi della prima parte del comma 3dell’art. 201 del medesimo regolamento comunitario, per il quale “il dichiarante” è sempre “debitore” dell'”obbligazione doganale”.

Nel punto “57” della sentenza 17 luglio 1997 n. 97 (resa nel procedimento C-97/95), la Corte di Giustizia CE, ha precisato che “la buona fede dell’importatore non lo esime dalla sua responsabilità per l’adempimento dell’obbligazione doganale, essendo questi il dichiarante della merce importata (v., in tal senso, sentenza 11 dicembre 1980, causa 827/79, Acampora, … punto 8)”, osservando, altresì, che “se così non fosse … l’importatore sarebbe indotto a non verificare più l’esattezza dell’informazione fornita alle autorità dello Stato di esportazione da parte dell’esportatore, nè la buonafede di quest’ultimo, il che darebbe luogo ad abusi”.

L'”incarico” detto, inoltre ed infine, non esclude affatto la responsabilità del “dichiarante” (cioè, nel caso, della ricorrente) per il pagamento dell’obbligazione doganale perchè, giusta il secondo inciso della medesima norma, “in caso di rappresentanza indiretta è parimenti debitrice la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana” : l’altra “persona”, quindi, è (solo) coobbligata solidale (“parimenti debitrice”) col “dichiarante” per quel pagamento.

C. La doglianza contenuta nella terza censura, poi, è inammissibile perchè nuova: della sottoposizione al giudice del merito di un qualche motivo afferente la motivazione dell’atto impositivo, infatti, non vi è traccia nè nel ricorso per cassazione (nonostante l’obbligo, posto dall’art. 366 c.p.c., n. 3 di “esposizione”, quand’anche “sommaria”, nello stesso, dei “fatti” (ovviamente rilevanti) “della causa”, quindi anche delle domande identificate in base al “petitum” ed alla “causa petendi”; nel processo tributario, dai “motivi” di impugnazione proposti dal contribuente oggetto della stessa) nè nella sentenza impugnata.

Il mancato esame del motivo (se proposto innanzi al giudice di primo grado e riproposto in appello), comunque, siccome integrante (in ipotesi) violazione del principio di corrispondenza tra domanda e pronuncia (art. 112 c.p.c.), peraltro, diversamente da quanto operato dalla ricorrente la quale denunzia “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto” e “motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria”, quindi ipotesi previste, rispettivamente dall’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 andava sottoposto a questo giudice di legittimità come violazione dell’art. 132 c.p.c., vizio sussumibile nella previsione del medesimo art. 360, n. 4.

Le eventuali (perchè del tutto indeterminate, ancora in dispregio dell’art. 366 cit.) argomentazioni che sarebbero state aggiunte dall’Agenzia nel corso del processo, nondimeno, andavano denunziate come violazione della norma (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23, comma 3, che, nel giudizio di primo grado, consente alla “parte resistente” soltanto di esporre “le sue difese”, “prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente”, e di “indica le prove di cui intende valersi”, nonchè di proporre “altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio”; art. 57 stesso D. Lgs. quanto al divieto di proposizione di “domande ed eccezioni nuove” in appello) che impedisce la loro proposizione per la prima volta in giudizio, non già sub specie di violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 (per il cui comma 1 “ogni provvedimento amministrativo … deve essere motivato”) che afferma unicamente l’obbligo dell’amministrazione di “motivare” ogni suo “provvedimento amministrativo” , quindi anche quello di imposizione fiscale.

D. L’infondatezza del quinto (ultimo) motivo di doglianza, discende, infine, dalla piana lettura del comma 2 bis (aggiunto dal D.L. 8 agosto 1996, n. 437, art. 12 convertito, con modificazioni, nella L. 24 ottobre 1996, n. 556) del cit. D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15:

questo infatti, dispone che “nella liquidazione delle spese a favore dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell’amministrazione e a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti…”.

Il fatto dedotto dalla ricorrente (“la Circoscrizione Doganale” si è costituita “autonomamente in persona del Direttore …, senza assistenza tecnica alcuna nè interna nè esterna), come evidente, non esclude in alcun modo lo svolgimento effettivo di una “assistenza tecnica … interna”: siffatta “assistenza” (ove prestata da uno dei professionisti indicati dall’art. 12 del medesimo D.Lgs.), infatti, costituisce esplicazione dell’afferente attività intellettuale professionale; identicamente, la medesima attività intellettuale deve essere necessariamente profusa dal funzionario incaricato di approntare e di svolgere le difese dell’Ufficio impositore nel processo.

L’obbligo posto dall’art. 15 detto, comma 2 bis quindi, rappresenta il rimborso del costo di detta attività, che il legislatore ha ritenuto opportuno far recuperare (in ipotesi di avversa soccombenza in giudizio) a causa della corrispondente sottrazione di attività lavorativa utilizzabile altrimenti in compiti interni d’ufficio, tenuto conto dell’identità di preparazione e di competenza professionale del funzionario rispetto al “difensore abilitato” di cui all’art. 12 cit.

4. Delle spese processuali.

Per la sua totale soccombenza la società, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere all’Agenzia le spese del giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe professionali forensi, tenuto conto del valore della controversia e dell’attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società a rifondere all’Agenzia le spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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