Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24674 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2011, (ud. 06/05/2011, dep. 23/11/2011), n.24674

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

TECNO PROGETTI IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 508/2007 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 11/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/05/2011 dal Consigliere Dott. RENATO POLICHETTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO ALESSANDRO, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 11.7.2007 n. 508, confermativa della decisione di primo grado, la Commissione tributaria della regione Lazio sez. staccata di Latina dichiarava illegittimo l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio di Latina dell’Agenzia delle Entrate in sostituzione di altro precedente avviso e relativo ad IRPEG ed ILOR dovute dalla Tecno Progetti s.r.l. per l’anno d’imposta 1995, non essendo stata data “giustificazione valida” della sostituzione, nè potendosi ritenere il nuovo avviso integrativo del precedente che era divenuto definitivo.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, notificato al contribuente presso il domiciliatario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17 deducendo un unico motivo di impugnazione.

Non ha resistito la società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata ha rigettato l’appello proposto dall’Ufficio finanziario ritenendo illegittimo l’avviso impugnato dal contribuente non potendo ritenersi integrativo del recedente avviso resosi definitivo e non ravvisando una “giustificazione valida” per l’esercizio del potere di autotutela.

2. La ricorrente censura la sentenza di appello denunciando la insufficienza motivazionale sul punto decisivo concernente la asserita necessità, ai fini del legittimo esercizio del potere di autotutela, del carattere “integrativo” dell’avviso di accertamento successivamente notificato (dovendo rinvenirsi i fondamento di tale potere accertativo, in materia di imposte dirette, nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4). Rileva la ricorrente che la Commissione tributaria regionale avrebbe omesso di considerare che, con il motivo di appello – debitamente trascritto a pag. 6 del ricorso -, l’Ufficio finanziario aveva espressamente dedotto che il nuovo avviso (emesso in sostituzione di precedente atto, di identico contenuto, a seguito del quale era stata notificata cartella di pagamento impugnata dalla società contribuente ed annullala in primo grado) non era volto ad “integrare o modificare in aumento” la pretesa tributaria originariamente fatta valere, ma soltanto ad “emendare vizi di validità” del procedimento tributario onde evitare di incorrere nella decadenza dalla riscossione della imposta in conseguenza dell’eventuale passaggio in giudicato della sentenza di annullamento della cartella di pagamento – relativa al precedente avviso – pronunciata dalla CTP di Roma in data 10.5.2002.

3. Il motivo è fondato.

La laconica motivazione della sentenza impugnata non consente, infatti, di individuare l’iter logico seguito dai Giudici territoriali per negare la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Amministrazione finanziaria nell’esercizio del potere di autotutela sostitutiva.

E’ opportuno, in proposito, riassumere sinteticamente la elaborazione giurisprudenziale di questa Corte in punto di autotutela in materia tributaria.

Il potere della PA di provvedere in via di autotutela all'”annullamento di ufficio” od alla “revoca” di atti illegittimi od infondati, anche in pendenza di giudizio o di intervenuta definitività degli stessi per mancata impugnazione, è espressamente riconosciuto dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564, art. 2 quater, comma 1 conv. in L. 30 novembre 1994, n. 656 (nell’ambito di tale potere va ricompreso anche il potere di rinuncia alla imposizione illegittima od infondata in caso di autoaccertamento: D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, art. 1 recante il regolamento di attuazione emanato ai sensi del predetto D.L. n. 564 del 1994, art. 2 quater, comma 1). Il rimedio di tipo demolitorio ricollegabile al provvedimento amministrativo di secondo grado, che opera con efficacia “ex tunc” si estende a qualsiasi vizio di legittimità (annullamento) o di merito (revoca) dell’atto impositivo, con il solo limite del giudicato sostanziale favorevole alla Amministrazione (D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2).

La giurisprudenza di questa Corte ha peraltro riconosciuto estensivamente il potere di autotutela della PA in materia tributaria anche alle ipotesi di interventi di tipo “sostitutivo” laddove, in particolare, viene esplicitamente distinto l’esercizio del potere di rinnovo da quello di integrazione dell’atto impositivo (quest’ultimo soggetto in materia di imposte reddituali e di imposte sui consumi alla condizione necessaria della “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, u.c.; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3).

Viene, infatti, ricondotto al potere di autotutela anche il provvedimento c.d. di riforma dell’atto, specificandosi che “il ritiro di un precedente atto, può’ avvenire in due diverse forme, quella del “controatto” (l’atto di secondo grado che assume l’identica struttura di quello precedente, salvo che per il suo dispositivo di segno contrario con cui si dispone l’annullamento, la revoca o l’abrogazione del primo) o quella della riforma (l’atto di secondo grado che non nega il contenuto di quello precedente, ma lo sostituisce con un contenuto diverso), caratterizzati entrambi dal fatto che l’oggetto del rapporto giuridico controverso resta identico” (cfr. Corte cass. 5^ sez. 16.1.2009 n. 937. in materia di Iva).

In proposito, con specifico riferimento al potere di riforma dell’atto impositivo, è stato precisato:

– che l’esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicchè, rimosso con effetto “ex tunc” l’atto di accertamento illegittimo od infondato, la Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad esercitare nuovamente – nella permanenza dei presupposti di fatto e di diritto – la potestà impositiva (cfr. Corte cass. 5^ sez. 20.7.2007 n. 16115, id.

20.6.2007 n. 14377 – entrambe in materia di imposte reddituali);

che dalla non consumazione del potere impositivo, in caso di annullamento o revoca dell’atto viziato, discende il corollario che il provvedimento di riforma adottato in sede di autotutela, non dispone per l’avvenire ma retroagisce al momento della applicazione del imposta, proprio in quanto “viene a sostituirsi” all’originario atto impositivo (cfr. Corte cass. 5^ sez 21.1.2008 n. 1148; id.

30.12.2009 n. 27906 – entrambe in materia di imposte sui trasferimenti); che il rimedio della “autotutela sostitutiva” differisce dal potere di integrazione dell’atto impositivo, in quanto quest’ultimo presuppone la esistenza di un precedente valido atto di imposizione, mentre il primo richiede quale condizione necessaria la eliminazione (anche implicita nel caso in cui l’atto riformato riproduca lo stesso contenuto dell’atto sostituito: Corte cass. 5^ sez. 3.8.2007 n. 17119) del precedente atto impositivo illegittimo od infondato;

che la riforma dell’atto impositivo non è limitata ai soli vizi formali, ma può estendersi a “tutti gli elementi strutturali dell’atto, costituiti dai destinatari, dall’oggetto e dal contenuto” (sic Corte cass. 5^ sez. 23.2.2010 n. 4272 -in materia di imposte reddituali – che richiama espressamente la sentenza 22.2.2002 n. 2531, e circoscrive alle sole ipotesi di nullità per vizi formali l’esercizio del potere di “sostituzione di un precedente atto impositivo con altro avente contenuto identico” quindi alle sole ipotesi di “correzione” del medesimo atto: nel caso concreto, peraltro, la “sostituzione” dell’atto impositivo si era resa necessaria in conseguenza di una successiva dichiarazione del contribuente parzialmente modificativa di quella dallo stesso precedentemente presentata);

che il potere di sostituzione dell’atto impositivo incontra i soli limiti del termine decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento e del divieto di violazione od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull’atto viziato (cfr. Corte cass. 5^ sez. 16.7.2003 n. 11114; id. 5^sez. 20.11.2006 n. 24620; id. 5^ sez. 12.5.2011 n. 10376), nonchè del diritto di difesa del contribuente (nel caso di sostituzione di un precedente atto impositivo, annullato in pendenza di giudizio, con un nuovo atto con il quale viene fatta valere la medesima pretesa – fondata sugli stessi presupposti impositivi – ridotta soltanto nella misura dell’importo, il giudice di merito, non può per ciò stesso dichiarare cessata la materia del contendere ove il contribuente abbia contestato in toto la obbligazione tributaria per insussistenza dei presupposti della imposta, ma deve comunque pronunciare nel merito: Corte cass. 5^ sez. 26.3.2010 n. 7335).

Orbene così individuati secondo i principio giurisprudenziali richiamati i limiti oggettivi entro i quali può essere esercitato il potere di autotutelàn materia tributaria, ed incontestata la identità di contenuto e di presupposti dell’avviso revocato e di quello emesso in sostituzione, emergono palesi i vizi e le lacune logiche della motivazione della sentenza impugnata, da un lato, risultando incoerente rispetto alla fattispecie esaminata l’argomento secondo cui la “definitività” del primo avviso precludeva alla Amministrazione finanziaria la successiva “integrazione” del contenuto dell’atto; dall’altro, l’affermazione secondo cui “non viene data giustificazione valida…alla sostituzione”, si configura come enunciato meramente assertivo del tutto privo del necessario supporto argomentativo costituito dalla individuazione e valutazione delle obiettive risultanze istruttorie idonee ad esplicare la decisione, avuto riguardo anche alle circostanze relative ai vizi di legittimità del procedimento di riscossione del precedente avviso indicate nel motivo di appello dell’Ufficio, questione del tutto trascurata dal Giudice di merito.

La censura deve ritenersi in conseguenza fondata atteso che il vizio logico sussiste tutte le volte in cui il Giudice omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indicatali elementi senza un’approfondita disamina logico- giuridica (cfr. Corte cass. 1^ sez. 27.1.2006 n. 1756; id. 3^ sez. 21.7.2006 n. 16762; id. Corte cass. SU 21.12.2009 n. 26825), dovendo pertanto confermarsi la consolidata giurisprudenza di questa Core di legittimità secondo cui “costituisce vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, l’omessa indicazione da parte del giudice degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e logicità del suo ragionamento, e ciò anche quando vengono in rilievo decisioni su questioni giuridiche condizionate strettamente da un accertamento e da una valutazione di circostanze fattuali” (cfr. Corte Cass. sez. lav. 18.11.2010 n. 23296).

4. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lazio, affinchè provveda ad emendare i vizi di motivazione riscontrati, liquidando all’esito anche le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte:

– accoglie il ricorso e per l’effetto cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione tributaria della regione Lazio, affinchè provveda ad emendare i vizi di motivazione riscontrati, liquidando all’esito anche le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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