Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24672 del 23/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/11/2011, (ud. 28/09/2011, dep. 23/11/2011), n.24672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.LLI DE CAMILLIS DI DE CAMILLIS G. & C. SNC in

persona

dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DARDANELLI 4 6, presso lo

studio TIGANI SAVA BONTEMPI VACCARO, rappresentato e difeso

dall’avvocato CAPILUPI GIOVANNI, giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI TERAMO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA TRIONFALE 5637, presso lo studio

dell’avvocato D’AMARIO FERDINANDO, che lo rappresenta e difende,

delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 93/2007 della COMM. TRIB. REG. di L’AQUILA,

depositata il 06/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/09/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

Preso atto che il P.G. non ha formulato osservazioni sulla relazione

ex art. 380 bis c.p.c. notificatagli.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. La F.lli De Camillis di De Camillis G. & C. s.n.c. propone ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Teramo (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per maggiore TARSU in relazione agli anni 1997/2000, la C.T.R. Abruzzo (giudice del rinvio designato dalla Corte di Cassazione) confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso introduttivo della contribuente.

2. I tre motivi di ricorso (coi quali la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3), sono, prescindendo da ogni altro riscontrabile profilo di inammissibilità, innanzitutto inammissibili per inadeguatezza dei relativi quesiti di diritto, con ciascuno dei quali la ricorrente chiede a questo giudice di dire se la sentenza impugnata abbia o meno violato un principio di diritto che viene di seguito, in ciascun motivo, riportato tra virgolette. In tali termini, la formulazione dei quesiti in esame risulta assolutamente configgente con la giurisprudenza di questo giudice di legittimità che ripetutamente, sia a sezioni semplici che a sezioni unite, ha avuto modo di affermare: che la funzione propria del quesito di diritto è di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, quale sia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (v. tra le altre SU n. 8463 del 2009); che non corrisponde alle prescrizioni di legge il quesito formulato prescindendo del tutto dalla fattispecie concreta rilevante nella controversia, sì da non porre il giudice di legittimità in condizione di comprendere, in base alla sola sua lettura, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e di rispondere al quesito medesimo enunciando una regula iuris suscettibile di trovare applicazione anche in altre controversie (v. tra le altre SU n. 7433 del 2009); che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione sia del tutto inidonea ad assumere rilevanza ai fini della decisione del motivo ed (ancora) a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (v. tra le altre SU n. 7197 del 2009); che il quesito di diritto non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma – o, come nella specie, un certo principio- (v. tra le altre cass. n. 4044 del 2009 e 19769 del 2008); che il quesito di diritto deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, rendendo il ricorso inammissibile la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni (v. tra le altre cass. n. 24339 del 2008). Tanto premesso, limitandosi a chiedere a questa Corte di accertare se la sentenza impugnata abbia violato alcuni principi di diritto, la ricorrente non solo non ha esposto la regola iuris applicata dal giudice di merito nè gli elementi necessari perchè questo giudice possa rispondere al quesito in maniera utile a definire la controversia, ma, soprattutto, chiedendo solo di accertare la violazione di alcuni principi – non anche di affermare l’applicabilità nella specie dei suddetti principi di diritto – ha proposto quesiti alle cui risposte essa stessa non ha interesse, atteso che tali risposte non sarebbero utili a definire la controversia. In ogni caso, i quesiti in esame risultano formulati in maniera che la risposta possibile non potrebbe giammai comportare l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di trovare applicazione anche in altre controversie.

Anche la censura di vizio di motivazione, dedotta nel primo motivo, deve ritenersi iammissibile sia perchè essa attiene non all’accertamento in fatto bensì alla motivazione in diritto della sentenza, sia perchè la suddetta censura risulta in ogni caso carente in relazione alla previsione della seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., a norma della quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. cass. n. 8897 del 2008). 3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.100,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2011

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