Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24670 del 02/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 02/12/2016, (ud. 20/09/2016, dep. 02/12/2016), n.24670

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14040-2011 proposto da:

S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ORTI

DELLA FARNESINA 155, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA ZHARA

BUDA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO

RIZZO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ENTE CONSORZIO PER AREA DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI REGGIO CALABRIA

C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo

studio dell’avvocato NATALE CARBONE, che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1299/2010 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 12/10/2010 r.g.n. 273/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Consigliere Dott. BRONZINI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato BIASI FRANCESCO per delega Avvocato CARBONE NATALE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott

SERVELLO GIANFRANCO, che ha concluso per il rigetta: del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.A., dipendente del Consorzio per l’Area di sviluppo industriale di Reggio Calabria (ASI) dal 1.12.1966 al 31.12.2000, lamentava avanti il Tribunale del lavoro di Reggio Calabria la mancata erogazione di talune voci retributive previste da accordi integrativi aziendali con condanna dell’Asi al pagamento delle relative differenze. Si costituiva l’Asi chiedendo il rigetto del ricorso. Il Tribunale, previo espletamento di consulenza contabile, accoglieva la domanda relativamente al solo premio di produttività condannando l’Asi al pagamento della somma di Euro 7.026,70 oltre accessori. La Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 12.10.2010, sull’appello di entrambe le parti, rigettava la domanda del S. relativa al riconoscimento del premio di produttività ex art. 13 del Contratto integrativo aziendale, confermando nel resto l’impugnata sentenza e condannando il S. alla restituzione delle somme percepite in esito alla sentenza di primo grado. La Corte territoriale circa la richiesta indennità di funzione osservava che il contratto integrativo aziendale la prevedeva per l’assegnazione dell’incarico di capo ufficio e che il S. aveva dedotto di essere inquadrato come quadro direttivo e che gli era stata assegnata la funzione di coordinamento dell’Ufficio quinto; tale inquadramento alla luce della sua declaratoria per il S. presupponeva la responsabilità dell’ufficio al quale si era stati assegnati. Tuttavia osservava la Corte che la pianta organica dell’Ente prevedeva una figura di funzionario capo ufficio solo per alcuni uffici, ma non per il quarto ed il quinto, e ciò non solo per il mancato possesso del diploma di laurea, ma anche perchè si prevedeva nel 1998 un progetto di ristrutturazione organizzativa con nuovo inquadramento nel quale venivano fatte salve le posizioni di capo ufficio già assegnate e non era emerso che il S. avesse avuto in concreto la responsabilità del detto Ufficio a ciò non bastando la mera circostanza di essere il più alto grado di questo (neppure alla luce della ristrutturazione prevista nel 1995); l’assegnazione sarebbe dovuta avvenire in modo formale attraverso una legale preposizione. Circa il premio di produttività l’art. 13 del Contratto integrativo prevedeva la corresponsione del 60% del premio correlato alla presenza in servizio in relazione alla realizzazione di un miglioramento dell’efficienza dei servizi ed il potenziamento della produttività e quindi non poteva essere attribuito in via automatica; circa il residuo 40% (correlata ad una valutazione di professionalità) era vero che il datore di lavoro non aveva effettuato la dovuta valutazione ma non erano stati offerti elementi di sorta per valutare la probabilità che tale valutazione sarebbe stata in concreto positiva. In ordine alla gratifica di fine rapporto emergeva che il datore di lavoro aveva solo riscontrato l’istanza del S. preliminare alla presentazione delle dimissioni ed assicurato che la stessa sarebbe stata presa in esame in epoca successiva all’approvazione del nuovo contratto collettivo. Pertanto le domande apparivano infondate.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il S. con sei motivi. Resiste controparte con controricorso corredato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si allega la contraddittorietà della motivazione: era contraddittorio affermare che il S. aveva coperto il ruolo più alto in grado nell’Ufficio quinto quale funzionario quadro direttivo di livello apicale, ricoprendo il posto previsto nella pianta organica di cui alla ristrutturazione organizzativa del 1995 poi riconfermata nel 1998 e poi affermare che non ne aveva avuto la relativa responsabilità.

Il motivo appare infondato in quanto la Corte di appello ha già osservato che la pianta organica dell’Ente prevedeva una figura di funzionario capo ufficio solo per alcuni uffici, ma non per il quarto ed il quinto e ciò non solo per il mancato possesso del diploma di laurea, ma anche perchè si prevedeva nel 1998 un progetto di ristrutturazione organizzativa con nuovo inquadramento nel quale venivano fatte salve le posizioni di capo ufficio già assegnate e non era emerso che il S. avesse avuto in concreto la responsabilità del detto Ufficio a ciò non bastando la mera circostanza di essere il più alto grado di questo; l’assegnazione sarebbe dovuta avvenire in modo formale attraverso una legale preposizione. La Corte ha già peraltro valutato la ristrutturazione stabilita nel 1995, ma ha sottolineato che in relazione a tale riorganizzazione il S. non aveva provato di avere avuto la responsabilità dell’ufficio, non essendo a tal fine sufficiente la mera esistenza di un posto in organico o, come nel caso di specie, la sua mera previsione. La motivazione non è contraddittoria ed è sorretta da precisi riferimenti alle fonti regolamentari e contrattuali applicabili in quanto la Corte ha spiegato le ragioni per cui non era stato comprovato l’elemento essenziale della responsabilità dell’ufficio conseguente ad una formale preposizione.

Con il secondo motivo si allega l’omessa motivazione in ordine alla deduzione per cui la delibera del 98 era intervenuta dopo che al S. era già stato addetto all’Ufficio quinto come funzionario quadro di livello apicale.

Il motivo appare infondato in quanto non sussiste la dedotta carenza motivazionale posto che per la Corte non è stato provato che il S. avesse avuto in concreto la responsabilità del detto Ufficio a ciò non bastando la mera circostanza di essere il più alto grado di questo; l’assegnazione sarebbe dovuta avvenire in modo formale attraverso una legale preposizione. La Corte ha, come detto, già valutato la ristrutturazione stabilita nel 1995, ma ha sottolineato che in relazione a tale riorganizzazione il S. non aveva provato di avere avuta la responsabilità dell’ufficio, non essendo a tal fine sufficiente la mera esistenza di un posto in organico o, come nel caso di specie, la sua mera previsione. Pertanto sul punto in discussione vi è stata una valutazione da parte dei Giudici di appello.

Con il terzo motivo si allega la violazione dell’art. 2013 c.c.: al momento della Delib. del 26.11.2008 il S. era già stato addetto all’Ufficio quinto.

Il motivo appare infondato per quanto già detto: non risulta essere stata offerta la prova che il S. abbia mai avuto la responsabilità del detto Ufficio (che è cosa diversa dalla mera adibizione quale superiore in grado in via di fatto al medesimo Ufficio) perchè non vi era stata una formale preposizione, circostanza questa che il motivo non revoca in dubbio.

Con il quarto motivo si allega la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., ai fini dell’interpretazione dell’art. 13 del contratto integrativo aziendale del 22.6.1994. La quota del 60% del premio di produttività era finalizzata a combattere il fenomeno dell’assenteismo e quindi era dovuto in relazione alla mera presenza al lavoro.

Il motivo appare infondato in quanto la motivazione offerta dalla sentenza impugnata appare plausibile, razionale e coerente con la formulazione letterale della noma riportata in sentenza che definisce la voce come “premio per il miglioramento dell’efficienza dei servizi e il potenziamento della produttività, riferito all’anno precedente”; pertanto anche a dare per ammesso che avesse come obiettivo ulteriore quello di combattere l’assenteismo appare evidente come la prestazione contrattuale presupponesse in primo luogo l’esistenza di progressi in termine di efficienza dei servizi e quindi non fosse dovuta in via automatica per il solo fatto di una presenza continua al lavoro.

Con il quinto motivo si allega la violazione dell’art. 2697 c.c.: si era violato il principio dell’onere di ripartizione della prova in quanto era il datore di lavoro che aveva l’onere di dimostrare che non sussistevano i presupposti in termini di professionalità per riconoscere il 40% della prestazione di cu all’art. 13.

Il motivo appare infondato in quanto l’art. 13 presuppone una valutazione in termini di professionalità e produttività effettiva valutata in relazione all’anno precedente, che non era stata compiuta dal datore di lavoro. Tuttavia era certamente onere del lavoratore offrire, come sottolineato dalla sentenza impugnata, elementi idonei a far ritenere che la valutazione sarebbe stata positiva almeno di ordine presuntivo, il che non è avvenuto e che ben poteva avvenire posto che seppure il lavoratore non poteva sostituirsi al datore di lavoro ben poteva indicare qualche elemento obiettivo e significativo a sostegno della spettanza dell’indennità prevista. La sentenza impugnata non ha attribuito al lavoratore l’onere di una prova “diabolica”,come sembra prospettare il motivo, ma solo l’indicazione di un qualche elemento a fondamento della spettanza della prestazione rivendicata.

Con l’ultimo motivo si allega la violazione dell’art. 166 c.p.c. e degli artt. 1175, 1375. Il Capo servizio finanziario aveva definito nel 2000 il servizio reso dal S. diligente e responsabile ed affermato che non erano emersi negativi di valutazione del S..

Il motivo appare infondato posto che la circostanza riferita al motivo certamente non appare rilevante in quanto non offre significativi ed idonei elementi per riscontrare in termini di professionalità e produttività effettiva da valutarsi in relazione all’anno precedente l’attività del ricorrente come richiesto dalla norma contrattuale, pur in presenza della già ricordata omissione del datore di lavoro.

Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite, liquidate come al dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 100,00 per esborsi, nonchè in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2016

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