Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2467 del 31/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 31/01/2017, (ud. 09/01/2017, dep.31/01/2017),  n. 2467

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5584/2013 R.G. proposto da:

NEW MODE Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore

G.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovan Candido DI GIOIA,

presso il quale è domiciliata in Roma, Piazza G. Mazzini, n. 27;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE di Como, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana n. 91/24/12, depositata il 18 dicembre 2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2017

dal Cons. Dott. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito l’Avv. Cristina Scarpetta per delega dell’Avv. Giovan Candido

Di Gioia che si riporta al ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per

l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La New Mode Srl propone ricorso per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana indicata in epigrafe, che, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate dichiarando fondata la pretesa tributaria, per maggiore Ires, Irap, Iva, oltre a sanzioni ed interessi, per l’anno d’imposta 2006, relativa ad una sottofatturazione di tessuti acquistati da altra società di importazione, la CEC Tex Import Tex Srl.

1.1. In particolare, l’Agenzia delle entrate, in esito ad accertamento parziale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 41 bis ed del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, effettuato nel distretto tessile di Prato, constatava che il valore unitario dei prodotti su tali fatture fosse eccessivamente basso, in quanto mentre il costo di acquisto abitualmente applica all’importazione era di euro 0,77 ed il prezzo di vendita all’ingrosso praticato dagli importatori del settore oscillava da Euro 1,00 a Euro 2,50 al metro, l’importo corrisposto dalla New Mode Srl alla società di importazione era di solamente Euro 0,62 al metro; oltre a ciò, l’Ufficio evidenziava le discrasie emerse dal bilancio, che rivelavano per diverse annualità utili di bilancio minimali od anche irrisori (per il 2006 un utile di circa 12.000 Euro a fronte di un volume d’affari di circa 3 milioni di Euro; per il 2005 un utile di circa 3500 Euro a fronte di ricavi per circa 2 milioni di Euro e così via), attestanti la perseveranza in una gestione manifestamente antieconomica dell’attività; da tutto ciò la presunzione, ai sensi del cit. D.P.R. n. 600, art. 39, comma 1, lett., d), di pagamenti effettuati a “nero”.

2. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il collegio ha autorizzato la redazione di motivazione in forma semplificata.

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e dell’art. 2729 c.c., per aver l’Agenzia delle Entrate dedotto rettifiche di imponibile attraverso il calcolo di indicatori regolati su un fantomatico studio elaborato dall’Ufficio e non riconosciuto da organismi tecnici di studio indipendenti, nè allegato all’avviso di accertamento.

Rileva, sul punto, l’impossibilità di paragonare l’attività del singolo commerciante ed i prezzi nel rapporto tra fornitore e clienti con il campione considerato dall’Ufficio di 171 esercizi dovendosi, per le numerosissime differenziazioni della tipologia di tessuti e l’abilità dei singoli commercianti di ottenere il miglior prezzo, escludere l’esistenza di elementi di omogeneità. La presunta presenza di maggiori ricavi, inoltre, è stata basata su un singolo articolo, in sè inidoneo ad integrare la sussistenza di elementi gravi, precisi e concordanti per affermare l’infedeltà fiscale della società ricorrente. Il suddetto studio, infine, è stato valutato come il fatto noto da cui desumere il fatto ignoto, ossia la minor fatturazione, mentre le medie di settore non possono assumere una tale qualità poichè costituiscono solo “una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei”.

4.1. La censura è inammissibile in quanto essa ha sostanzialmente ad oggetto l’atto di accertamento – neppure riprodotto nel ricorso e non, come dovrebbe, la sentenza impugnata.

A quest’ultima poi non si imputa in realtà un vizio di violazione di legge come prefigurato, bensì un vizio di motivazione, così dimenticando che non è possibile una censura riferita contestualmente ad una pluralità delle ipotesi normativamente previste: come questa Corte ha avuto modo di affermare, “il giudizio di cessazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito” (Cass. n. 19959 del 2014; v. anche Cass. n. 21099 del 2013).

Giova comunque evidenziare che nella decisione impugnata la CTR ha affermato che “l’analisi economico-finanziaria riferita al commercio del tessuto effettuata nel “Macrolotto di Prato” scaturisce da indagine effettuata dall’Ufficio il cui contenuto essenziale è riportato nell’avviso di accertamento”: l’asserito studio costituisce, in realtà, l’indagine in concreto svolta dall’Ufficio, poi trasfusa nello stesso avviso di accertamento, e non una generica estrapolazione di medie di settore, sicchè da un lato non è pertinente il richiamo al precedente di cui a Cass. n. 26388 del 2011 e, dall’altro, tale profilo non è stato in alcun modo censurato dal ricorrente.

5. Con il secondo motivo il ricorrente assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, restando non motivate dall’Amministrazione finanziaria le circostanze poste a fondamento dell’emissione dell’avviso di accertamento, il quale, oltre al riferimento ad uno studio effettuato dall’Ufficio, non noto al contribuente, nè, comunque, allegato all’avviso medesimo, è stato giustificato solo sulla base di una asserita antieconomicità dell’attività d’impresa.

5.1. Anche tale censura, per le stesse ragioni sopra esposte, è inammissibile avendo ad oggetto solo l’atto di accertamento e non la sentenza impugnata.

5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, oltre accessori di legge, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2017

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