Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2467 del 04/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 2467 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 7194-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

3676

AULICINO TERESA c.f. lcntrs62152a462s, domiciliata in

2
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA

DI

CASSAZIONE,

rappresentata

e

difesa

Data pubblicazione: 04/02/2014

dall’avvocato PUGLIA MARIA RITA, giusta delega in
atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 24/2012 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 17/03/2012 r.g.n.

315/2008;

udienza del 12/12/2013 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato PUGLIA MARIA RITA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

R.G. 7194/2013
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 420 del 2007 il Giudice del lavoro del Tribunale di Ascoli
Piceno, in accoglimento della domanda proposta da Teresa Aulicino nei

contratto di lavoro concluso tra le parti per “necessità di espletamento del
servizio in concomitanza di assenze per ferie” per il periodo 1-7-2000/30-92000, con la conseguente sussistenza di un rapporto a tempo indeterminato, e
condannava la società al ripristino del rapporto e alla corresponsione delle
retribuzioni a decorrere dalla costituzione in mora del 20-12-2005, oltre
rivalutazione e interessi, “detratto 1′ aliunde perceptum”.
La societ2a proponeva appello avvef50 la detta sentenza chiedendone la
riforma con il rigetto della domanda di controparte.
L’Aulicino si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza depositata il 17-3-2012, in
parziale riforma della pronuncia del primo giudice, “in luogo del pagamento
delle retribuzioni fino alla sentenza di primo grado”, condannava la società “al
pagamento in favore dell’appellata della indennità di cui all’art. 32 comma 5
della legge n. 183/2010, nella misura di sette mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria ISTAT come per
legge dal contratto di lavoro al saldo, confermando nel resto.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre
motivi.
La Aulicino ha resistito con controricorso.
Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
1

confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al

.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione ed erronea

/A

applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 421 e 437 c.p.c., nonché vizio di
motivazione. Critica la sentenza impugnata perché nell’affermare l’illegittimità
del contratto a termine per violazione della quota numerica prevista dal ccnl, ha
ritenuto che l’onere di fornire la prova in proposito incombeva sulla società
anziché sulla lavoratrice, la quale aveva dedotto l’illegittimità del contratto.
Sostiene inoltre che la Corte di merito, considerata insufficiente la
documentazione prodotta dall’azienda a sostegno della dedotta insussistenza
della violazione della clausola di contingentamento,
avrebbe dovuto esercitare i suoi poteri istruttori officiosi, ordinando una
consulenza contabile d’ufficio al riguardo, prima di concludere per la
violazione del limite numerico.
Il motivo è infondato.
Come è stato più volte affermato da questa Corte e va qui ribadito, “nel
regime di cui alla legge 28 febbraio 1987, n. 56, la facoltà delle organizzazioni
sindacali di individuare ulteriori ipotesi di legittima apposizione del termine al
contratto di lavoro è subordinata dall’art. 23 alla determinazione delle
percentuali di lavoratori che possono essere assunti con contratto a termine sul
totale dei dipendenti; pertanto, non è sufficiente l’indicazione del numero
massimo di contratti a termine, occorrendo altresì, a garanzia di trasparenza ed
a pena di invalidità dell’apposizione del termine nei contratti stipulati in base
all’ipotesi individuata ex art. 23 citato, l’indicazione del numero dei lavoratori
assunti a tempo indeterminato, sì da potersi verificare il rapporto percentuale
tra lavoratori stabili e a termine. L’onere della prova dell’osservanza di detto
2

rapporto è a carico del datore di lavoro, in base alle regole di cui all’art. 3 della
legge 18 aprile 1962, n. 230, secondo cui incombe al datore di lavoro

pg

dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione
di un termine al contratto di lavoro.” (v. Cass. 19-1-2010 n. 839 e numerose

Inammissibile risulta, poi, la censura relativa al mancato esercizio di poteri
istruttori d’ufficio ed in specie al mancato espletamento di una CTU contabile,
da parte dei giudici di merito.
Come più volte è stato precisato da questa Corte “il mancato esercizio da
parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al
superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata
sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la
parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso,
indicando anche i relativi mezzi istruttori” (v. Cass. 12-3-2009 n. 6023, Cass.
2.6-6-2006 n. 14731). In ogni caso, poi, i detti poteri, ” – pur diretti alla ricerca
della verità, in considerazione della particolare natura dei diritti controversi non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, né tradursi in poteri
d’indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale”
(cfr. Cass. 8-8-2002 n. 12002, Cass. 21-5-2009 n. 11847, Cass. 22-7-2009 n.
17102, Cass. 15-3-2010 n. 6205).
Orbene la ricorrente neppure indica se, quando ed in quali termini abbia
sollecitato la nomina di un CTU, mentre dall’impugnata sentenza si evince che
l’appellante, dinanzi alla Corte territoriale, “si è limitata a far questione della
spettanza o meno dell’onere probatorio” al riguardo.

3

successive).

Con il secondo motivo la ricorrente censura l’impugnata sentenza nella
parte in cui ha respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo
consenso tacito, nonostante la mancanza di una qualsiasi manifestazione di
interesse alla funzionalità di fatto del rapporto, per un apprezzabile lasso di

di estinzione del rapporto stesso, con onere, in capo al lavoratore, di provare le
circostanze atte a contrastare tale presunzione.
Anche tale motivo è infondato.
Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini
del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un
termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del
rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata — sulla base del
lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative — una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n.
26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da
ultimo Cass. 18-11-2010 n. 23319, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n.
16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione
del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057,
Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca
tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la
volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni
4

tempo anteriore alla proposizione della domanda e la conseguente presunzione

rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre da ultimo Cass.
1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli art. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente

comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara
manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del
rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo e
neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto.
Orbene nella fattispecie la Corte di merito, dopo aver richiamato la
giurisprudenza di legittimità in materia, ha rilevato che alcun altro elemento di
fatto in qualche modo significativo è emerso oltre il decorso del tempo, mentre,
invece, i contrasti giurisprudenziali, all’epoca, sulla validità dei contratti a
termine giustificavano un “atteggiamento di prudente attesa da parte della
lavoratrice” e la reiterazione di tali contratti risultava tali da creare nella
lavoratrice stessa “la ragionevole attesa di una nuova chiamata”, di guisa che il
comportamento della medesima non poteva considerarsi chiaramente ed
univocamente come indicativo di una volontà di risolvere definitivamente il
rapporto.
Tale accertamento di fatto, conforme ai principi sopra richiamati, risulta
altresì congruamente motivato e resiste alla censura della ricorrente.
Con il terzo motivo la società assume che l’indennità di cui all’art. 32
citato non sarebbe suscettibile di alcuna maggiorazione a titolo di interessi e/o
rivalutazione non essendo applicabile nella fattispecie l’art. 429 c.p.c.(non
potendosi la stessa indennità annoverare tra i “crediti di lavoro”). In subordine
5

ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei

la ricorrente deduce che, in ogni caso, gli accessori non potrebbero che
decorrere dalla sentenza.

r012

La censura principale è infondata in quanto l’indennità in esame deve
essere annoverata tra i “crediti di lavoro” ex art. 429, comma 3, c.p.c.., giacché,

riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro e non soltanto a quelli
aventi natura strettamente retributiva (ad esempio, fra le altre, per i crediti
liquidati ex art. 18 1. n. 300/1970 v. Cass. 23-1-2003 n. 1000, Cass. 6-9-2006 n.
19159; per l’indennità ex art. 8 della legge n. 604 del 1966 v. già Cass. 21-21985 n. 1579; per le somme a titolo di risarcimento del danno ex art. 2087 c.c.
v. Cass. 8-4-2002 n. 5024). D’altra parte l’indennità in esame rappresenta
comunque il ristoro (seppure “forfetizzato” e “onnicomprensivo”) dei danni
conseguenti alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro,
relativamente al periodo che va dalla scadenza del termine alla data della
sentenza di conversione del rapporto (cfr.in tal senso C. Cost. n. 303/2011,
Cass. 29-2-2012 n. 3056, nonché da ultimo art. 1 comma 13 legge n. 92 del 286-2012).
Fondata è invece la censura subordinata.
Dalla natura, infatti, di liquidazione “forfetaria” e “onnicomprensiva” del
danno relativo al detto periodo consegue che gli accessori ex art. 429, terzo
comma, c.p.c. sono dovuti soltanto a decorrere dalla data della detta sentenza,
che, appunto, delimita temporalmente la liquidazione stessa.
In tal senso va, pertanto accolto, in parte, il terzo motivo, in quanto la
Corte territoriale ha fissato la decorrenza degli interessi e della rivalutazione

6

come più volte è stato affermato da questa Corte, tale ampia accezione si

ma

“dal contratto di lavoro” (in contrasto con il carattere “onnicomprensivo” e
“forfetario” della indennità de qua).
L’impugnata sentenza, va pertanto cassata in relazione alla censura accolta
e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel
merito fissandosi la decorrenza degli interessi legali e della rivalutazione

monetaria nella data della sentenza (nel caso di specie di primo grado del 27-32007) che ha statuito sulla conversione del rapporto (dichiarando che il
rapporto tra la Aulicino e la società doveva “considerarsi a tempo
indeterminato ed ancora in corso”).
Infine, mentre vanno confermate le statuizioni sulle spese dei giudizi di
merito, ricorrono le ragioni ex art. 92 c.p.c., in considerazione della novità
delle questioni relative alla indennità ex art. 32 citato, per compensare le spese
del presente giudizio di cassazione tra le parti.
P . Q . M.
La Corte rigetta il primo e il secondo motivo; accoglie in parte il terzo,
cassa l’impugnata sentenza in relazione alla censura accolta e, decidendo nel
merito, fissa nella data della sentenza che ha statuito sulla conversione del
rapporto la decorrenza degli interessi legali e della rivalutazione monetaria;
conferma le statuizioni sulle spese dei giudizi di merito e compensa le spese
del giudizio di cassazione.
Roma 12 dicembre 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE
IL PASIDENTL

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7

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DeosItato in Canceibile
Oggi, .«.4..M.2011 iiitio Giscrizia4

Adrian GRANATA
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