Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24669 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/10/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 03/10/2019), n.24669

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Di VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27642-2017 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI, 87, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO COLARIZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE PEDOJA;

– ricorrente –

contro

PHOENIX ASSET MANAGEMENT SPA, nella qualità di mandataria di

TIBERIUS SPV SRL” in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 15, presso

lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GUIDO GARGANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1765/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 29/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

A.G. ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della corte d’appello di Venezia depositata il 29-82017, che ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stata respinta l’opposizione del medesimo A. al decreto ingiuntivo n. 755 del 2003, emesso su richiesta di Unicredit banca s.p.a. in relazione a scoperti di conto e a diverse operazioni di investimento;

per quanto unicamente qui rileva, la corte d’appello ha ritenuto infondata, poichè non pertinente all’esigenza di tutela sottostante, la questione di nullità dei contratti che era stata sollevata per mancanza di simultanea sottoscrizione da parte della banca; ha quindi confermato la valutazione del tribunale a proposito dell’inesistenza di elementi di collegamento negoziale tra gli strumenti di credito e di investimenti utilizzati;

A. ha proposto ricorso per cassazione nei riguardi della sentenza d’appello, deducendo due motivi;

si è costituita con controricorso la Phoenix Asset Management s.p.a. nella qualità di mandataria di Tiberius spv, già Eris Finance s.r.l. e già Unicredit Banca s.p.a.;

entrambe le parti hanno depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1418,1325,2697 c.c., degli artt. 117 e 127 del T.u.b., del D.Lgs. n. 415 del 1996, art. 16 e dell’art. 23 del T.u.f., per non avere la corte d’appello rilevato la nullità per difetto di forma scritta – difetto consistito nella mancata sottoscrizione da parte dell’intermediario – dei contratti di credito e di quelli relativi alla negoziazione, sottoscrizione, collocamento e raccolta degli ordini concernenti i valori mobiliari; e conseguentemente per non aver ravvisato la mancanza del fatto costitutivo dei diritti azionati dalla banca;

il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360- bis c.p.c.;

questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicchè tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti. (Cass. Sez. U n. 898-18);

il principio è stato coerentemente completato dalle decisioni intervenute in rapporto ai contratti bancari soggetti alla disciplina di cui all’art. 117 del D.Lgs. T.u.b., e in particolare dal principio per cui, così come i contratti di intermediazione finanziaria, anche i contratti bancari non esigono ai fini della valida stipulazione la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili (Cass. n. 14243-18);

nell’attuale ricorso non si rinvengono argomentazioni idonee a sovvertire l’orientamento giurisprudenziale richiamato;

col secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di fatto decisivo a proposito di tre questioni: (i) quella per cui tutti i contratti che avevano dato origine al finanziamento, e quindi al saldo passivo del conto corrente, erano stati sottoscritti il 31-10-1997; (ii) quella per cui nel corso del rapporto il ricorrente non aveva effettuato alcun prelievo personale dal proprio conto, visto che tutte le uscite erano state ordinate dalla banca per l’acquisito dei titoli; (iii) quella per cui la banca aveva esplicitamente ammesso, nella memoria di replica ex art. 183 c.p.c., a proposito delle operazioni di finanziamento, che si era trattato di operazioni poste in essere da A. di sua iniziativa per finanziarie gli investimenti di borsa senza liquidare il patrimonio immobiliare;

il motivo è nel complesso inammissibile;

l’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, contempla un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);

questa Corte ha da tempo chiarito che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve a tal riguardo indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e soprattutto la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (v. Cass. Sez. U n. 8053-14);

nel caso concreto la corte d’appello, richiamando la conforme valutazione del tribunale, ha motivatamente escluso la rilevanza dei profili qui dedotti ai fini della determinazione del credito vantato dalla banca, non essendo riscontrabile alcun collegamento tra i negozi posti in essere per ottenere i finanziamenti e quelli invece concretizzanti atti dispositivi delle somme oggetto d’investimento;

è risolutivo osservare che il ricorrente non ha specificato quale sarebbe invece il fatto storico ulteriore, rispondente al requisito di decisività secondo il concetto sopra richiamato, che la corte d’appello avrebbe in tal guisa omesso di considerare; il che mina il fondamento della censura, finendo per contraddistinguerla come un mero tentativo di rivisitazione della valutazione delle prove documentali esaminate;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in 5.100,00 EUR, di cui 100,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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