Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24665 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/10/2017, (ud. 18/05/2017, dep.19/10/2017),  n. 24665

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19274/2015 proposto da:

A.A.H., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Laura Mazzolini che in data 28/12/2015 ha

depositato rinuncia al mandato;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI GENOVA, – C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco in caria,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4,

presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che lo rappresenta

e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato ANNA NIORIELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 547/2015 della CORTE (D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 21/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/05/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

nel 2009 la signora A.A.H. convenne dinanzi al tribunale di Genova il Comune della medesima città, allegando che:

– svolgeva da tempo l’attività di assistenza personale (c.d. “badante”) in favore della signora F.G.;

– F.G. era assegnataria di un appartamento di proprietà comunale, sito a (OMISSIS);

– sin dal 25 luglio 2007 la ricorrente aveva fissato la propria residenza in quell’appartamento;

– dopo la morte di F.G., avvenuta il (OMISSIS), l’odierna ricorrente era rimasta nella detenzione dell’alloggio, continuando a pagare il canone di locazione, oltre che a provvedere all’ordinaria manutenzione dell’appartamento;

– nel 2009, con proprio provvedimento amministrativo, il Comune le aveva intimato il rilascio dell’immobile, in quanto detenuto sine titolo, concludeva pertanto la ricorrente chiedendo che fosse dichiarato nullo l’avviso di rilascio intimatole dal Comune, sul presupposto che quest’ultimo avesse per facta concludentia stipulato con l’odierna ricorrente un nuovo contratto di locazione;

con sentenza numero 1110 del 2011, il tribunale di Genova rigettò la domanda;

la Corte d’appello di Genova, adita dalla parte soccombente, con sentenza 21 aprile 2015 numero 547 rigettò il gravame;

ritenne la corte d’appello, per un verso, che l’appellante non rientrasse in alcuna delle categorie cui la legislazione regionale ligure attribuiva il diritto all’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica; per altro verso che non potesse affatto ritenersi stipulato tra l’appellante e il Comune di Genova un nuovo contratto di locazione per facta condudentia, dal momento che tale contratto avrebbe richiesto una forma scritta ad substantiam;

La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da A.A.H., con ricorso fondato su un motivo;

ha resistito il Comune di Genova con controricorso;

Considerato che:

con l’unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sia affetta dal vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3; lamenta in particolare la violazione della L.R. Liguria 29 giugno 2004, n. 10, art. 12;

deduce che, in base alla norma appena ricordata, nel caso di morte del, assegnataria di un alloggio di edilizia economica e residenziale pubblica, subentrano nel diritto di godimento, tra gli altri, “il convivente di fatto”; argomenta che, non contenendo la norma ulteriori precisazioni, l’espressione “convivente di fatto” dovrebbe ritenersi comprensiva sia delle ipotesi di convivenza more uxotio, sia delle ipotesi di convivenza fra persone dello stesso sesso, come appunto nel caso di un anziano non autosufficiente e della sua badante; il motivo è infondato;

la L.R. Liguria n. 10 del 2004, art. 12 va infatti interpretato nel senso che il “convivente di fatto” ivi previsto sia soltanto il convivente more uxorio (non rileva nel presente giudizio stabilire se la norma possa estendersi agli “uniti civilmente” di cui alla L. 20 maggio 2016, n. 76, art. 1, comma 2);

depongono in tal senso l’interpretazione letterale, l’interpretazione sistematica e l’interpretazione finalistica;

dal punto di vista letterale, l’espressione “convivente di fatto” compare in una pluralità di testi normativi, sempre quale sinonimo di “convivente more uxorio”: ad esempio, tra gli altri, nel D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 92, art. 11, in tema di controllo dell’attività di compravendita di oro; nel D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 1,in materia di contrasto al riciclaggio dei proventi di illeciti; ovvero nella L. 29 dicembre 1990, n. 408, art. 19, in materia di imposte sui redditi; del resto la stessa L. n. 76 del 2016, già ricordata, sia pure ai soli fini ivi previsti, definisce conviventi di fatto come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”: definizione la quale rende evidente che il rapporto di servizio o di lavoro domestico esula dal novero delle convivenze di fatto;

dal punto di vista sistematico, la L.R. Liguria n. 10 del 2014, art. 12, nell’elencare gli aventi diritto a subentrare nel diritto di godimento dell’alloggio, inserisce il “convivente di fatto” subito dopo il coniuge, e subito prima dei figli: il che rende evidente l’assimilazione, nella intenzione del legislatore, della convivenza di fatto al rapporto di coniugio;

dal punto di vista finalistico, infine, la ratio delle norme sul diritto dei familiari dell’assegnatario d’un alloggio di edilizia residenziale pubblico a permanere nel godimento dell’immobile, dopo la morte dell’assegnatario, è la solidarietà familiare ed il diritto alla casa, ratio insussistente rispetto al coabitante per ragioni di lavoro, di servizio o di ospitalità;

la mera coabitazione per esigenze lavorative, infatti, non dà luogo ad un consorzio familiare, e non legittima l’equiparazione del dipendente ai membri della famiglia;

le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo;

il presente giudizio è stato introdotto in primo grado con ricorso depositato il 2.12.2009; ad esso si applica pertanto l’art. 96 c.p.c., comma 3, come novellino dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12, in base al quale “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche diffido, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”;

presupposto per l’applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis, è l’avere agito o con mala fede, o senza attivarsi con l’ordinaria diligenza per acquisire una ragionevole previsione sulla fondatezza della propria pretesa;

nel caso di specie, la ricorrente ha proposto un ricorso nel quale ha formulato una pretesa insostenibile: ovvero che la persona legata da un rapporto di lavoro subordinato all’assegnatario d’un alloggio di edilizia residenziale pubblica, ha diritto a succedere nel rapporto di locazione alla morte dell’assegnatario;

la ricorrente, in definitiva, ha proposto un ricorso manifestamente infondato, e da ciò deriva che delle due l’una: o la ricorrente – e per lei il suo legale, del cui operato ovviamente il ricorrente risponde, nei confronti della controparte processuale, ex art. 2049 c.c. – ben conosceva l’insostenibilità della propria impugnazione, ed allora ha agito sapendo di sostenere una tesi infondata (condotta che, ovviamente, l’ordinamento non può consentire); ovvero non ne era al corrente, ed allora ha tenuto una condotta gravemente colposa, consistita nel non essersi adoperata con la exacta diligentia esigibile (in virtù del generale principio desumibile dall’art. 1176 c.c., comma 2) da chi è chiamato ad adempiere una prestazione professionale altamente qualificata quale è quella dell’avvocato in generale, e dell’avvocato cassazionista in particolare (ex aliis, Sez. 3 -, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016);

ritiene perciò questa Corte che la ricorrente vada condannata d’ufficio, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis, al pagamento in favore della parte intimata, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno;

tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza;

il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna A.A.H. al pagamento in favore del Comune di Genova, ex art. 96 c.p.c., della somma di Euro 3.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza;

(-) condanna A.A.H. alla rifusione in favore del Comune di Genova delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 6.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di A.A.H. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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