Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24660 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 05/11/2020), n.24660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10018-2019 proposto da:

A.M., nella qualità di liquidatore della (OMISSIS) SRL IN

LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO 9,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE PONTECORVO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO CANNIZZARO;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 681/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO

PAZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Monza, con sentenza del 24 aprile 2018, dichiarava il fallimento di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione su richiesta del P.M.;

2. la Corte d’appello di Milano, a seguito del reclamo proposto da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, rilevava che la società debitrice era stata messa nelle condizioni di partecipare al giudizio, posto che il suo legale rappresentante aveva potuto depositare una memoria difensiva e aveva presenziato all’udienza prefallimentare, rimanendo così esclusa una violazione del suo diritto di difesa;

la consistenza dell’esposizione debitoria verso il fisco e gli enti previdenziali dimostrava inoltre, a dire della Corte territoriale, la sussistenza della condizione oggettiva di insolvenza, giacchè la società era in liquidazione e non erano prevedibili entrate tali da reintegrare la liquidità necessaria alla loro soddisfazione;

non risultavano poi depositate domande di accesso alle procedure concorsuali minori in base alle quali regolare l’insolvenza con il coinvolgimento dei creditori;

in forza di queste ragioni la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 15 febbraio 2019, rigettava il reclamo proposto da (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione avverso la statuizione di fallimento;

3. per la cassazione di questa decisione ha proposto ricorso (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione prospettando due motivi di doglianza;

l’intimato fallimento di (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 il primo mezzo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè la Corte avrebbe omesso di statuire sulla preliminare e pregiudiziale questione di ritualità del contraddittorio, trascurando di considerare l’istanza presentata dalla reclamante perchè venisse un concesso un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti del creditore istante e del P.M. richiedente;

il che avrebbe comportato, in tesi di parte ricorrente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 L. Fall., dell’art. 331 c.p.c., a mente dei quali è necessario disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti che abbiano partecipato al giudizio innanzi al Tribunale;

4.2 il motivo è inammissibile;

va premesso che secondo la giurisprudenza di questa Corte il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. 321/2016);

rispetto all’ulteriore compendio normativo denunciato come violato occorre invece registrare come la Corte territoriale, in esordio al proprio argomentare, abbia rilevato che l’atto di reclamo era stato “notificato via PEC alla curatela e ai creditori istanti”, intendendo così all’evidenza riscontrare l’integrità del contraddittorio;

la contestazione di una simile constatazione doveva riportare il contenuto della relazione di notifica, in modo da consentire a questa Corte di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale denunciato e la portata della vocatio in ius compiuta con la notifica del reclamo, senza compiere generali verifiche degli atti; la Corte di cassazione infatti, allorquando sia denunciato un error in procedendo, è sì anche giudice del fatto processuale e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purchè però lo stesso sia stato ritualmente indicato e allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4; è perciò necessario, non essendo tale vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (si vedano in questo senso, fra molte, Cass. 2771/2017, Cass. 19410/2015);

bisognava pertanto che l’odierno ricorrente accompagnasse la denunzia del vizio con la riproduzione, diretta o indiretta, del contenuto dell’atto che sorreggeva la censura, dato che questa Corte non è legittimata a procedere a un’autonoma ricerca degli atti denunciati come viziati ma solo a una verifica del contenuto degli stessi;

in mancanza di una simile indicazione la doglianza in esame risulta giocoforza inammissibile per violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c, comma 1, n. 6;

5.1 il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 5, 6 e 15: la Corte territoriale avrebbe precluso alla compagine debitrice la definizione bonaria della propria esposizione debitoria mediante il ricorso a una procedura concorsuale minore tramite una repentina e improvvisa dichiarazione di fallimento, pur in assenza di inadempimenti manifesti o di altri fatti esteriori atti a dimostrare la sua incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni e senza considerare che la compagine era in grado di soddisfare i suoi debiti nel giro di pochi mesi, grazie alla disponibilità finanziaria della socia controllante e alla possibilità di accedere, anche con riferimento al credito erariale, alla procedura concorsuale minore;

5.2 il motivo risulta in parte inammissibile, in parte manifestamente infondato;

5.2.1 la Corte distrettuale ha rilevato, rispetto alla condizione oggettiva di insolvenza, che essa non rimaneva esclusa dalla precedente tacitazione di un credito di Euro 13.000, stanti la ben più ampia consistenza del debito erariale e l’impossibilità di prevedere entrate tali da reintegrare la liquidità necessaria per tacitarlo integralmente;

il collegio del reclamo ha così espressamente considerato che la società debitrice si trovava in stato di liquidazione e in questa prospettiva ne ha valutato la condizione di insolvenza, ritenendo che gli elementi attivi non avrebbero consentito l’integrale soddisfacimento dei creditori sociali;

infatti quando la società è in liquidazione la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (Cass. 25167/2016, Cass. 19414/2017);

la critica in esame da un lato intende valorizzare elementi che in una simile prospettiva non assumevano alcuna importanza (quali l’esistenza di inadempimenti o altri fatti esteriori atti a dimostrare l’incapacità della società di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni), dall’altro sostiene che la fallita sarebbe stata “in grado di assolvere i propri debiti nel giro di pochi mesi” e intende così contestare l’accertamento del rapporto fra attivo e passivo fallimentare compiuto dalla Corte di merito rispetto all’epoca in cui lo stesso era stato fatto e al risultato raggiunto;

l’accertamento dello stato di insolvenza, tuttavia, doveva essere compiuto con riferimento alla situazione esistente alla data della sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. 19790/2015);

il risultato di questo accertamento rientra poi nel novero degli accertamenti di fatto di pertinenza del collegio del reclamo ed è censurabile in questa sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte;

5.2.2 va inoltre escluso che il giudice di merito dovesse soprassedere dalla dichiarazione di fallimento in presenza della sola rappresentazione della volontà della debitrice di accedere a una procedura concorsuale minore e dell’attestazione della fattibilità della stessa;

in vero nel corso del procedimento per la dichiarazione di fallimento non sussiste un diritto del debitore, convocato avanti al giudice, a ottenere il differimento della trattazione per consentire il ricorso a procedure concorsuali alternative, quali il concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione, nè il relativo diniego da parte del giudice configura una violazione del diritto di difesa, in quanto simili iniziative sono riconducibili all’autonomia privata, il cui esercizio deve essere oggetto di bilanciamento, ad opera del giudice, con le esigenze di tutela degli interessi pubblicistici al cui soddisfacimento la procedura fallimentare è tuttora finalizzata (Cass. 23111/2014, Cass. 16950/2016);

la Corte di merito si è perciò correttamente limitata a constatare che nessuna richiesta di accesso a una procedura concorsuale minore era stata presentata;

6. per tutto quanto sopra esposto il ricorso deve essere respinto;

la mancata costituzione in questa sede della procedura fallimentare intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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