Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2466 del 31/01/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 31/01/2018, (ud. 08/11/2017, dep.31/01/2018),  n. 2466

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che con sentenza del 26 febbraio 2016 la Corte di Appello di Roma ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda avanzata da F.R. e C.M. diretta al riconoscimento della illegittimità della decurtazione operata dal datore di lavoro AMA s.p.a. dei giorni di permesso fruiti L. n. 104 del 1992, ex art. 33, comma 3, sulle ferie, con conseguente affermazione del diritto dei predetti ricorrenti alla cessazione immediata di tali comportamenti ed al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie;

che avverso tale sentenza ha proposto ricorso AMA Azienda Municipale Ambiente S.p.a. sulla base di un unico articolato motivo, al quale hanno opposto difese i lavoratori con controricorso;

che entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 4, e della L. n. 1204 del 1971, art. 7, nonchè dell’art. 12preleggi, e dell’art. 41 Cost.;

che la ricorrente contesta l’interpretazione cui sono pervenuti i giudici di merito in ordine alla limitazione della computabilità, ai fini delle ferie, dei permessi di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 3;

che la decisione impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che, nel decidere altre controversie (anche relative alle analoghe questioni della computabilità di detti permessi ai fini della tredicesima mensilità e delle ferie) ha ritenuto che “la limitazione della computabilità (….) dei permessi di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 3, in forza del richiamo operato dalla L. 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 7, dal successivo comma 4 all’ultimo comma, (abrogato dal D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che ne ha tuttavia recepito il contenuto negli artt. 34 e 51), opera soltanto nei casi in cui essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario – che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa – e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un’indennità inferiore alla retribuzione normale (diversamente dall’indennità per i permessi ex L. n. 104 del 1992, commisurata all’intera retribuzione), risultando detta interpretazione idonea ad evitare che l’incidenza sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzazione del permesso” (cfr. Cass. 07/07/2014 n. 15345, Cass. n. 14187 del 07/06/2017);

che il giudice di appello, con argomentazioni conformi a quanto affermato da questa Corte, sulla scorta del rilievo costituzionale del diritto alle ferie, degli obiettivi di tutela e protezione per i disabili della L. n. 104 del 1992, e del principio di non discriminazione, ha ritenuto che nel caso specifico i permessi, accordati per l’assistenza di un familiare portatore di handicap, concorressero nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato;

che in ordine al richiamo effettuato dalla L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 4, alla L. n. 1204 del 1971, art. 7, u.c., questa Corte ha già chiarito (cfr. Cass. 15435/2014) che “l’adozione del criterio letterale imposta dall’art. 12 preleggi, nell’interpretazione dell’inciso che si cumulano con quelli previsti alla citata L. n. 1204 del 1971, art. 7, non fornisce una soluzione univoca. Si deve infatti osservare, da un lato, che l’adozione del pronome relativo che – in luogo di qualora, nel caso che o simili – parrebbe introdurre la disciplina generale di tali permessi nel senso della loro cumulabilità con i congedi parentali, senza limitare l’operatività del richiamo alla L. n. 1204, art. 7, u.c.. E’ vero però in senso contrario che tale cumulabilità non richiedeva una previsione espressa – non essendo posta in dubbio da altre disposizioni e risultando senza margini di incertezza dai diversi (anche se sovrapponibili) presupposti legittimanti la fruizione nelle due ipotesi, ovvero l’età del bambino e la situazione di handicap grave – sicchè il richiamo ai congedi parentali trova una giustificazione nel fine di individuare l’operatività della previsione limitativa dell’incidenza sulla tredicesima e sulle ferie”;

che non assume rilevanza ai fini della ricostruzione della fattispecie l’espressione contenuta in Corte Cost. 23/8/2016 n. 213, riportata nella memoria di parte ricorrente, poichè di carattere meramente descrittivo ed estranea al momento decisionale, nè appare determinante la presunta disparità di trattamento (paventata nella memoria di parte ricorrente) a danno delle lavoratrici madri (le quali prevalentemente assolvono alla cura della prole e godono dei congedi parentali) rispetto ai soggetti che prestano assistenza a un familiare affetto da handicap grave. Come questa Corte ha avuto modo di porre in evidenza, infatti, (cfr. Cass. n. 15345/2014), a differenza dei permessi previsti dall’art. 33, commi 2 e 3, che hanno sempre durata limitata, il congedo parentale e l’astensione facoltativa possono essere richiesti per un periodo più prolungato, tale da determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa e da giustificare un diverso trattamento;

che a dirimere ogni incertezza soccorre il criterio della lettura sistematica delle norme – alla quale l’interpretazione offerta dalla Corte territoriale appare conforme – ove si consideri che i permessi per l’assistenza ai portatori di handicap si inseriscono nell’ambito della tutela dei disabili predisposta dalla normativa interna – ed in primis dagli artt. 2,3 e 38 Cost. – ed internazionale – quali sono la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata e resa esecutiva in Italia con L. 3 marzo 2009, n. 18;

che questa Corte ha avuto modo di evidenziare (Cass. 14187/2017, citata) “che la Convenzione ONU prevede il sostegno e la protezione da parte della società e degli Stati non solo peri disabili, ma anche per le loro famiglie, ritenute strumento indispensabile per contribuire al pieno ed uguale godimento dei diritti delle persone con disabilità (v. in particolare il punto x del preambolo e l’art. 19, punto b, art. 23, comma 3, art. 28, comma 1 e comma 2, lett. c)”;

che ragioni di coerenza con i principi indicati e di garanzia di effettività delle esigenze di protezione cui i permessi stessi sono finalizzati impongono la lettura della disposizione nei termini sopra indicati, essendo la medesima idonea ad evitare che l’aggravio dei congiunti di portatori di handicap nella fruizione dei permessi possa vanificare le esigenze di tutela cui le norme sono funzionali e a scongiurare qualsiasi incidenza negativa sull’utilizzo dei permessi medesimi;

che in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza, con distrazione in favore del procuratore anticipatario che ne ha fatto richiesta.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.150,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore delle parti resistenti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2018

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