Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24659 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 19/10/2017, (ud. 18/05/2017, dep.19/10/2017),  n. 24659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18359/2015 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCULLO 3,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO TULLIO, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati ROBERTO PINAZZI e BARBARA

LUCIA TORREGGIANI;

– ricorrente –

contro

GA.AN. e M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2052/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 18/05/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

nel 2013 Ga.An. e la consorte M.A. convennero dinanzi al Tribunale di Monza il fratello del primo, G.A., deducendo di avergli concesso in comodato un immobile; che il comodato avrebbe avuto durata sino a quando i due comodanti non avrebbero avuto necessità dell’appartamento per esigenze personali o familiari; che, chiesto il rilascio dell’immobile, il comodatario non aveva adempiuto; conclusero perciò chiedendo la condanna di G.A. al rilascio dell’immobile;

il Tribunale di Monza con sentenza 10.2.2014 n. 374 accolse la domanda;

la Corte d’appello di Milano, adita dal soccombente, rigettò il gravame; ritenne la Corte d’appello che, in base al contenuto dei patti contrattuali, l’immobile doveva ritenersi concesso in godimento ad G.A. a titolo precario e per soddisfare esigenze transitorie, e non “vita natural durante”, come preteso dal comodatario;

la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da G.A., con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria;

gli intimati non si sono difesi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

coi due motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi, il ricorrente lamenta sia il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo; sia il vizio di violazione di legge;

deduce che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare il “fatto decisivo” costituito dalle sue deduzioni, svolte in grado di appello, secondo cui il contratto in contestazione si sarebbe dovuto qualificare come “comodato atipico”, in virtù del quale le parti avevano concordato che l’immobile si sarebbe dovuto restituire solo nel caso di insorgenza di esigenze abitative dei comandanti o dei loro familiari; deduce, altresì, che gli originari attori non avevano mai dimostrato la effettiva sussistenza del presupposto di fatto della domanda di restituzione, ovvero la necessità di adibire l’appartamento ad abitazione del proprio figlio;

nella parte in cui lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo il ricorso è manifestamente infondato, in quanto il “fatto” cui fa riferimento l’art. 360 c.p.c., n. 5, deve consistere in una circostanza concreta, costitutiva della domanda o dell’eccezione, e non nelle argomentazioni difensive svolte da una delle parti (come stabilito dalle sezioni unite di questa corte, con la nota sentenza n. 8053 del 2014);

nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo è del pari infondato, perchè sembra fraintendere la ratio decidendi adottata dalla Corte d’appello;

il giudice di secondo grado, infatti, non ha affatto accolto la domanda di rilascio senza accertare se esistesse davvero l’esigenza, per i comandanti, di adibire l’appartamento ad abitazione del proprio figlio; ha, invece, ritenuto sussistente tale prova con ricorso alle presunzioni semplici (tanto si afferma alla pagina 3, quinto capoverso, della sentenza impugnata, ove si fa riferimento alla “presumibile” insorgenza dell’uso abitativo da parte del nucleo familiare dei comandanti);

ne consegue che, da un lato, la Corte d’appello non ha affatto commesso l’errore di ritenere dimostrata la causa giustificativa del recesso nonostante l’assenza di prova; e dall’altro lato che non è sindacabile in questa sede la valutazione con la quale il giudice di merito ritiene sussistente o non sussistente la prova presuntiva di cui all’art. 2727 c.c.;

non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio delle parti intimate;

il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di G.A. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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