Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24659 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 05/11/2020), n.24659

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18832-2019 proposto da:

M.B.C., elettivamente domiciliato presso l’avv.

GIUSEPPE LUFRANO dal quale è rappres. e difeso, con procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2885/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/09/2020 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con sentenza emessa il 10.2.2018 il Tribunale di Ancona rigettò il ricorso proposto da B.C.M., cittadino del Senegal, avverso il provvedimento della Commissione territoriale che ne aveva respinto l’istanza di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Con sentenza emessa il 6.12.18 la Corte d’appello di Ancona rigettò l’appello proposto da B.C.M., osservando che: le dichiarazioni rese dal ricorrente non evidenziavano una fattispecie persecutoria nei suoi confronti, emergendo altresì che lo stesso ricorrente era stato condannato in sede penale in Senegal per il delitto di violenza sessuale ai danni di una bambina di dieci anni, condanna che costituiva ulteriore elemento ostativo al riconoscimento della protezione internazionale; dalle fonti acquisite non si desumeva che nella regione di provenienza del ricorrente vi fosse una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; non sussistevano i presupposti della protezione umanitaria in quanto il ricorrente non aveva allegato situazioni specifiche di vulnerabilità rispetto ai diritti fondamentali, nè prodotto documentazione relativa all’attività lavorativa indicativa di stabile inserimento nel tessuto sociale dello Stato Italiano.

B.C.M. ricorre in cassazione con unico motivo. Non si è costituito il Ministero intimato.

Diritto

RITENUTO

CHE:

L’unico motivo del ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per non aver la Corte d’appello, ai fini dell’esame della domanda di protezione internazionale, considerato la Libia quale paese di provenienza del ricorrente, seppure differente dal paese d’origine, nel quale egli si era del tutto integrato, per averci vissuto per circa un anno e sei mesi, svolgendo attività lavorativa, e dal quale era andato via nel 2011, per arrivare in Italia, a causa della guerra civile insorta in Libia e all’aggravarsi della situazione dei lavoratori stranieri.

Al riguardo, il ricorrente invoca il principio di non respingimento, in quanto, nel caso di rientro in Libia, incorrerebbe nel rischio di subire torture o trattamenti umani degradanti o le conseguenze della situazione di violenza indiscriminata ivi esistente.

Il ricorso è inammissibile. Dagli atti emerge che il ricorrente proviene dal Senegal ed è transitato dalla Libia, ove ha lavorato per circa un anno e mezzo, per poi fare ingresso in Italia. Al riguardo, la Corte d’appello ha rettamente considerato la situazione del richiedente nel paese d’origine, evidenziando peraltro che la commissione di un delitto grave, come nella fattispecie, osta di per sè al riconoscimento della protezione sussidiaria e che la sottoposizione alla responsabilità penale non costituisce, nel Senegal, motivo di violazione dei diritti umani fondamentali, precludendo il permesso umanitario – D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 16, lett. b), salvo il caso che il ricorrente non corra il rischio di subire, in patria, la pena capitale o degradante o inumana (Cass., n. 5358/19), fattispecie però non allegata dal ricorrente.

D’altra parte, tali considerazioni non possono essere superate dalla nuova tesi allegata dal ricorrente, di considerare la Libia quale paese di provenienza, trattandosi di questione nuova, formulata per la prima volta in questa sede.

Al riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, impone al giudice del merito di valutare la domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine del richiedente e “ove occorra” nel Paese in cui è transitato, allorchè l’esperienza vissuta in quest’ultimo presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel paese di origine (Cass., n. 13758/20).

Nel caso concreto, non può prospettarsi un radicamento del ricorrente nel territorio libico sulla base dell’allegazione, nella sede di merito relativa all’attività lavorativa svolta per circa un anno e mezzo, perchè le condizioni del paese di transito non rilevano ai fini del principio di non respingimento, dovendo il ricorrente essere ricondotto nel suo paese d’origine.

Nulla per le spese, atteso che il Ministero non si è costituito.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello danna” per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

 

 

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