Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24658 del 22/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 22/11/2011), n.24658

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 9775-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Po n. 25/b, presso lo

studio dell’Avv. Pessi Roberto, che la rappresenta e difende per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.R., elettivamente domiciliata in Roma in via Giovanni

Bettolo n, 4, presso l’Avv. Brochiero Magrone Fabrizio, che la

rappresenta e difende per procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 67/09 della Corte d’appello di Lecce, Sezione

di Taranto, pronunziata in causa n. 383/06 r.g., depositata in data

9.06.09;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 14.10.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Dott. VELARDI Maurizio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- D.R. chiedeva al giudice del lavoro di Taranto di dichiarare nullo il termine apposto all’assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. disposta in suo favore per il periodo 3.08- 30.09.99.

2.- Rigettata la domanda e proposto appello dalla lavoratrice, la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza in data 9.06.09 accoglieva l’impugnazione e, dichiarata la nullità del termine, disponeva la conversione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato, condannando il datore al pagamento a titolo di risarcimento delle retribuzioni arretrate dalla costituzione in mora (6.03.03, data del tentativo obbligatorio di conciliazione).

Il giudice rilevava che – nell’ambito del sistema della L. n. 56 del 1987, art. 23, che aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva – il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per fare fronte ad esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda. Considerato che la norma collettiva consentiva l’assunzione a termine per detta causale solo fino al 30.4.98, riteneva nella specie il termine illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione, cui D. rispondeva con controricorso.

4.- Il Consigliere relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ha depositato relazione, che è stata comunicata al Procuratore generale e notificata al difensore di Poste Italiane assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza della camera di consiglio. Poste Italiane ha depositato memoria.

5.- Preliminarmente deve rilevarsi che il controricorso è stato avviato alla notifica in data 12.1.11. Avendo la D. ricevuto la notifica del ricorso per cassazione in data 12.4.10 (v. la certificazione apposta dall’ufficiale postale sull’avviso di ricevimento), il controricorso è notificato ben oltre la scadenza del termine previsto dall’art. 370 c.p.c. ed è da considerare inammissibile.

6.- Tanto premesso, i motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere così sintetizzati:

6.1.- violazione degli artt. 1362 e segg. c.c., sostenendosi l’erronea interpretazione dell’accordo integrativo 25.9.97 e successive proroghe, in quanto dal comportamento successivo delle parti stipulanti la norma avrebbe dovuto interpretarsi nel senso di escludere l’apposizione di un termine finale delle facoltà di ricorrere all’assunzione a termine per le fattispecie introdotte dalla norma collettiva;

6.2.- violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, carenza di motivazione e vizio in procedendo, atteso che il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e presentazione del ricorso indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto;

6.3.- violazione delle normativa in materia di risarcimento e di corrispettività delle prestazioni, sottolineandosi che l’attrice avrebbe dovuto provare l’entità del danno e che avrebbe avuto diritto alle retribuzioni a titolo risarcitorio solo dal momento della offerta della prestazione;

6.4.- violazione degli artt. 210 e 421 c.p.c., ai fini dell’accertamento dell’aliunde perceptum, in quanto la Corte di merito, quantunque richiestane, ha omesso di provvedere circa l’esibizione di documentazione idonea (libretti di lavoro e buste paga) a determinare i corrispettivi eventualmente percepiti dal lavoratore per attività svolte alle dipendenze di terzi.

7.- Quanto al secondo motivo (risoluzione per mutuo consenso, n. 6.2, da trattare prioritariamente per consequenzialità logica) la giurisprudenza della Corte di cassazione, con riferimento alla fattispecie in esame, ha ritenuto che per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e numerose altre seguenti).

La Corte d’appello ha rilevato che la società appellante, processualmente a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la prospettata valutazione, non ritenendo sufficiente a rappresentare la disaffezione del lavoratore le circostanze che lo stesso avesse atteso un cospicuo lasso di tempo prima di intraprendere l’azione giudiziaria, e che avesse riscosso senza obiezioni le competenze di fine rapporto, avendo la lavoratrice acquisito solo in un secondo momento la consapevolezza di poter far ricorso alla tutela giudiziaria. Trattasi di considerazioni di merito corrette sul piano giuridico e congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico.

8.- Quanto al primo motivo (n. 6.1), la giurisprudenza ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv.

dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva dunque procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di presupposto normativo (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti, l’irrilevanza dell’accordo 18.1.01 perchè stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti volessero interpretare autenticamente gli accordi precedenti per sanare le assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la conclusione sarebbe incompatibile con il principio dell’indisponibilità dei diritti ormai perfetti dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, ex D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

Essendo nella specie il primo contratto stipulato per “esigenze eccezionali ecc….” per il periodo 3.08-30.09.99, il per le esposte ragioni il motivo deve essere ritenuto infondato.

9.- Quanto al terzo motivo (n. 6.3), si prospettano inammissibili entrambi i profili inerenti la prova del danno e la offerta della prestazione, dato che gli aspetti risarcitori posti in evidenza dalla ricorrente non sono trattati dal giudice di appello e non è dedotto il vizio di omesso esame.

10.- Quanto al quarto motivo (n. 6.4) sostiene la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe omesso qualsivoglia decisione in merito alla richiesta di esibizione di documentazione per determinare eventuali corrispettivi percepiti dal lavoratore nell’espletamento di attività lavorative alle dipendenze di terzi.

Il giudice di merito ha, invece, affrontato la questione ed ha ritenuto inammissibili le istanze istruttorie avanzate dall’appellata società a sostegno dell’eccezione di aliunde perceptum, sulla base della considerazione che l’acquisizione di documenti ed informazioni sulla denunzia dei redditi della lavoratrice aveva obiettivi genericamente esplorativi, senza un minimo di rispondenza alle circostanze di fatto in esame.

Il mezzo di impugnazione è, dunque, inidoneo a contrastare la decisione in parte qua.

11.- Poste Italiane s.p.a. con la memoria sopra indicata, preso atto dell’intervento della L. 4 novembre 2010, n. 183 (cd. collegato lavoro), ha chiesto alla Corte l’applicazione della disposizione dell’art. 32, comma 5, di detta legge, che fissa i criteri di quantificazione del risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto a tempo determinato.

Non sussistendo un valido motivo di impugnazione in punto di liquidazione del risarcimento, non sussistono le condizioni processuali per l’ingresso nel presente giudizio di legittimità dell’invocato ius superveniens e non si pone alcun problema di procedere a nuova liquidazione del risarcimento, che è questione ormai non più sub indice.

12. In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese, essendo inammissibile il controricorso e non avendo la difesa della D. partecipato alla discussione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2011

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