Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24657 del 22/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 22/11/2011), n.24657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26263-2009 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Po n. 25/b, presso lo

studio dell’Avv. Pessi Roberto, che la rappresenta e difende per

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1632/08 della Corte d’appello di Firenze,

pronunziata in causa n. 1657/06 r.g., depositata in data 5.12.08;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 14.10.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Dott. VELARDI Maurizio.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- C.S. chiedeva che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a.. Accolta la domanda, conseguiva la declaratoria dell’instaurazione di rapporto di lavoro a tempo indeterminato e la condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate.

2- Proposto appello da Poste Italiane, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 5.12.08, rigettava l’impugnazione.

Considerato che il contratto era stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda, rilevava che le assunzioni per tale causale erano ammesse fino al 30.4.98 – data fissata dalle parti collettive con accordo integrativo 16.1.98 – di modo che per quella in questione, relativa al periodo 24.05-30.09.99, il termine era illegittimamente apposto.

3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso per cassazione. Non svolgeva attività difensiva C..

4.- Il Consigliere relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. depositava relazione, che era comunicata al Procuratore generale e notificata al difensore di Poste Italiane assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza della camera di consiglio. Depositata memoria da Poste Italiane e disposta dal Collegio l’acquisizione del fascicolo del giudizio di merito, il ricorso è stato discusso in data odierna.

5.- I motti dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere così sintetizzati:

5.1.- violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, degli artt. 1362 e segg. c.c. e art. 8 del CCNL 26.11.94, nonchè degli accordi 25.9.97, 16.1.98 e 27.4.98, contestandosi l’interpretazione data alla contrattazione collettiva dal giudice di merito, in particolare evidenziandosi la contraddittorietà della sentenza impugnata quando afferma che l’accordo 25.9.97, pur derogando alla disciplina generale del contratto a termine, sarebbe soggetta ad un limite temporale di efficacia;

5.2.- il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto;

5.3.- violazione delle normativa in materia di risarcimento del danno, in quanto il giudice di merito non avrebbe considerato l’eventualità che controparte possa avere svolto altre attività lavorative tanto da consentire la deduzione dell’aliunde perceptum da quanto dovuto dal datore a titolo di risarcimento; in particolare è dedotta violazione degli artt. 210 e 421 c.p.c., in quanto la Corte di merito, quantunque, richiesta ha omesso di provvedere circa la richiesta di esibizione di documentazione idonea (libretti di lavoro e buste paga) idonei a determinare i corrispettivi eventualmente percepiti dal lavoratore per attività svolte alle dipendenze di terzi.

6.- Il ricorso è infondato in ragione della giurisprudenza di questa Corte, che sulle questioni oggi sollevate dalla ricorrente ha adottato orientamenti ormai consolidati.

Quanto al secondo motivo (risoluzione per mutuo consenso), da trattare prioritariamente per consequenzialità logica, la giurisprudenza della Corte di cassazione (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e numerose altre seguenti) ha ritenuto che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto”.

La Corte d’appello ha rilevato che la società appellante, processualmente a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a consentire la prospettata valutazione, non ritenendo sufficiente a rappresentare la disaffezione della lavoratrice le circostanze che la stessa avesse atteso un cospicuo lasso di tempo prima di intraprendere l’azione giudiziaria (essendo l’attesa ammissibile perchè contenuta nei limiti prescrizionali). Trattasi di considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico.

7.- Quanto al primo motivo, la giurisprudenza ritiene che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza – dapprima fino al 31.1.98 e poi (in base al secondo accordo) fino al 30.4.98 – della situazione di fatto integrante delle esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione l’impresa poteva dunque procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato, con la conseguenza che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30.4.98 in quanto privi di presupposto normativo.

In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel contratto a termine avrebbe legittimato l’assunzione solo ove il contratto fosse scaduto in data non successiva al 30.4.98 (v., ex plurimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).

Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori di tale limite temporale sono illegittimi in quanto non rientranti nel complesso legislativo – negoziale costituito dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che consente la deroga alla L. n. 230 del 1962.

La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già perfezionato.

Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).

L’impostazione adottata consente di affermare che la sussistenza delle esigente eccezionali è stata negozialmente riconosciuta dalle parti stipulanti limitatamente ad un periodo temporale che è limitato alla data del 30.4.98 e che, conseguentemente, la legittimità dei contratti a termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art. 23, che esclude l’onere di Poste Italiane di dare prova di una specifica e concreta esigenza. Essendo stato il contratto a termine dal C. oggetto della pronunzia impugnata stipulato per il periodo 24.05- 30.09.99, il motivo è infondato.

8.- Quanto al terzo motivo, relativo alla mancata considerazione dell’aliunde perceptum, deve rilevarsi che il giudice di merito ritiene che il datore non ha assolto all’onere probatorio a lui facente carico, essendosi esso limitato a dedurre nel giudizio di merito la mera possibilità che parte ricorrente avesse espletato attività lavorativa retribuita da terzi ed a invitare il giudice a compiere al riguardo accertamento officiosi, senza fornire concrete indicazioni utile a rappresentare l’avvenuta percezione di reddito.

Poste Italiane, nel sostenere che il giudice avrebbe inadeguatamente valutato la sua richiesta istruttoria, avrebbe dovuto specificare nel ricorso per cassazione il contenuto della richiesta avanzata nel giudizio di merito, onde consentire al Collegio di legittimità di valutarne la congruità e la rispondenza al thema decidendi. La mancanza di autosufficienza sul punto comporta l’inammissibilità del motivo.

9.- Poste Italiane s.p.a. con la memoria sopra indicata, preso atto dell’intervento della L. 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. collegato lavoro), ha chiesto alla Corte l’applicazione della disposizione dell’art. 32, comma 5, di detta legge, che fissa i criteri di quantificazione del risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto a tempo determinato.

Non sussistendo un valido motivo di impugnazione in punto di liquidazione del risarcimento, non sussistono le condizioni processuali per l’ingresso nel presente giudizio di legittimità dell’invocato ius superveniens e non si pone alcun problema di procedere a nuova liquidazione del risarcimento, che è questione ormai non più sub indice.

10.- In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Nulla deve disporsi per le spese, non avendo C. svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2011

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