Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24656 del 08/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 08/10/2018), n.24656

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 234-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.I., O.M., elettivamente domiciliate in ROMA VIA

PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato MARIO

CONTALDI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIORGIO CANGIANO;

– controricorrenti

avverso la sentenza n. 799/4/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI GENOVA, depositata il 31/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro B.I. e O.M., impugnando la sentenza della CTR Liguria indicata in epigrafe che ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale è stato accolto il ricorso dei contribuenti rispetto al diniego dell’istanza in autotutela presentata al fine di ottenere, anche in assenza dei presupposti per il riconoscimento dell’agevolazione inerente la piccola proprietà contadina previsto dalla L. n. 604 del 1954 applicata in sede di registrazione, il diverso beneficio fiscale di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9.

Secondo la CTR l’ufficio avrebbe dovuto potuto riliquidare le imposte dovute in conformità a quanto previsto dall’art. 9 cit., anche considerando l’assenza di principi generali che neghino il riconoscimento di un’agevolazione non richiesta al momento dell’imposizione.

Le parti intimate, costituitesi con controricorso, hanno chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, comunque rilevandone l’infondatezza, successivamente depositando memoria.

La ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1954, artt. 1, 2, 3 e 4 e della L. n. 212 del 2000, artt. 5,6 e 7. La CTR avrebbe errato nel riconoscere il beneficio richiesto successivamente alla registrazione dell’atto e dopo che l’ufficio aveva negato l’agevolazione per la proprietà contadina richiesta, non potendo i poteri di accertamento e valutazione del tributo rivivere in epoca successiva al momento in cui l’atto viene sottoposto a tassazione.

Occorre premettere che il ricorso è ammissibile, contenendo l’esposizione delle fasi del giudizio e degli elementi essenziali per consentire a questa Corte l’individuazione dell’oggetto del giudizio e dei più rilevanti atti svolti nella fase di merito, parimenti indicando, all’interno della censura, le norme asseritamente violate dal giudice di appello.

Ciò posto, il ricorso è manifestamente fondato.

Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che la sottoposizione di un atto ad una determinata tassazione, ai fini dell’imposta di registro, con il trattamento agevolato richiesto o comunque accettato dal contribuente, comporta, in caso di decadenza dal beneficio, l’impossibilità di invocare altra agevolazione, in quanto i poteri di accertamento e valutazione del tributo si esauriscono nel momento in cui l’atto viene sottoposto a tassazione e non possono rivivere, sicchè la decadenza dell’agevolazione concessa in quel momento (nella specie, in favore della piccola proprietà contadina) preclude qualsiasi altro accertamento sulla base di altri presupposti normativi o di fatto cfr. Cass. n. 14601/2003, 8409/2013, Cass. n. 10099/2017-.

Si è ancora aggiunto, proprio nella pronunzia da ultimo ricordata, che la L. n. 604 del 1954, art. 7 dispone espressamente che l’acquirente il quale abbia subito la revoca dell’agevolazione a favore della piccola proprietà contadina è tenuto a pagare i tributi “ordinari” e che nei suoi confronti l’amministrazione finanziaria agisce per il recupero delle imposte “nella misura ordinaria”.

Orbene, a tali principi, in verità consolidati, diversamente da quanto opinato dai controricorrenti, non si è affatto conformato il giudice di appello che, per converso, ha ritenuto di riconoscere il beneficio di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9 ancorchè in sede di registrazione fosse stata avanzata richiesta del beneficio della proprietà contadina, regolato dalla L. n. 604 del 1956 e dalle successive leggi. Beneficio, quest’ultimo, che l’Ufficio aveva escluso emettendo avviso di liquidazione volto alla ripresa dell’imposta di registro in misura ordinaria. Orbene, il giudice di merito ha ritenuto che non fosse impedito il riconoscimento del beneficio concernente i trasferimenti concernenti i territori montani situati ad altitudine non inferiore a 700 metri sul livello del mare, considerando che “non vi sono precise norme nè principi generali sulla base dei quali ritenere che un’agevolazione non richiesta al momento dell’imposizione debba essere ritenuta perduta”.

Così facendo la CTR ha però contravvenuto alla giurisprudenza di questa Corte – v., da ultimo, Cass. n. 27296/2017, ove non si è mancato di precisare che è inammissibile la richiesta di una nuova agevolazione in luogo di quella prima accettata e poi perduta per decadenza, la stessa risolvendosi in un’inammissibile istanza di ritassazione -.

Nè la CTR ha considerato la diversità dei presupposti fra le due agevolazioni, riguardando quella di cui alla L. n. 604 del 1954, art. 1, comma 2 – pretesa in sede di registrazione dai contribuenti l’ipotesi di atti di permuta, quando per ambedue i permutanti l’atto sia posto in essere esclusivamente per l’arrotondamento della piccola proprietà contadina – e la seconda – formulata in sede di autotutela e fondata sul D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9 – i territori montani situati ad una altitudine non inferiore a 700 metri sul livello del mare e di quelli rappresentati da particelle catastali che si trovano soltanto in parte alla predetta altitudine, quelli compresi nell’elenco dei territori montani compilato dalla commissione censuaria centrale e ancora quelli facenti parte di comprensori di bonifica montana.

In definitiva, la CTR ha erroneamente tralasciato di considerare che nell’atto sottoposto a registrazione fosse stata indicata unicamente la ricorrenza dei presupposti richiesti per l’agevolazione tributaria di cui alla L. n. 604 del 1954, art. 2, nn. 1, 2 e 3 non surrogabili in alcun modo successivamente alla registrazione dell’atto. Tanto è sufficiente per superare i rilievi difensivi esposti anche in memoria dal contro ricorrente, ove si consideri che, proprio dalla riproduzione in stralcio dell’atto notarile si evince che non fosse sollecitata altra agevolazione se non quella concernente la proprietà contabile disciplinata dalla L. n. 114 del 1948 e L. n. 604 del 1954, senza fare alcun riferimento agli elementi fattuali che avrebbero potuto giustificare il riconoscimento di altre agevolazioni fiscali – e, fra queste, quella di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 9.

Quanto al prospettato vizio di incostituzionalità della disciplina normativa interna, nella parte in cui consente il riconoscimento dell’agevolazione fiscale in materia di proprietà contadina per il caso di permuta solo quando “per ambedue i permutanti l’atto sia posto in essere esclusivamente per l’arrotondamento della piccola proprietà contadinà, la questione è infondata.

In generale può ricordarsi che secondo la giurisprudenza di questa Corte a Sezioni Unite – Cass. S.U. 18574/2016, Cass. S.U. n. 11373/2015 – “a salvaguardia dell’equilibrio tra gli interessi che si contrappongono nel rapporto tributario (la garanzia dei contribuenti e le esigenze di bilancio dell’ente impositore), che si esprime a livello costituzionale nell’art. 53 Cost., nella riserva di legge sancita dall’art. 23 Cost. e nella previsione dell’art. 81 Cost. (vieppiù dopo la L. cost. n. 1 del 2012), l’ambito dell’imposizione è tracciato dal legislatore (in positivo come in negativo) attraverso la precisa indicazione di oggetti e soggetti tassabili, con la conseguenza che in relazione alle norme impositive è pacificamente escluso che la tassazione possa investire oggetti o soggetti non espressamente emergenti dal dato normativo espresso, onde anche le norme agevolative, per esigenza speculare, non possono essere suscettibili di integrazione ermeneutica trascendente i confini semantici del suddetto dato normativo espresso. Tale principio non può non riverberarsi su tutte le norme lato sensu tributarie, anche quelle strumentali, ivi comprese quelle che regolano limiti, termini e poteri delle parti del rapporto tributario e, a fortiori, quelle prevedenti deroghe ad essi”.

Va ricordato che la Corte costituzionale, quando si è trovata a vagliare la legittimità costituzionale di disposizioni che prevedono agevolazioni fiscali, ha affermato che “norme di tale tipo, aventi carattere eccezionale e derogatorio, costituiscono esercizio di un potere discrezionale del legislatore, censurabile solo per la sua eventuale palese arbitrarietà o irrazionalità (Corte cost. n. 292/1987; Corte cost. n. 174/2001), sicchè la Corte costituzionale stessa non può estenderne l’ambito di applicazione, se non quando lo esiga la ratio dei benefici medesimi (Corte cost.n. 6/2014, n. 275/2005, n. 27/2001, n. 431/1997, n. 86/1985; n. 103/2012, n. 203/2011, n. 144/2009, n. 10/1999), n. 111/2016, n. 153/2017).

E’ dunque necessario identificare il fondamento del beneficio previsto dalle norme qui in esame, per poi verificare se la ratio così individuata si possa considerare comune a quella per la quale il beneficio non è stato riconosciuto.

Orbene, non può ritenersi che il coltivatore diretto che acquista un cespite immobiliare destinato all’incremento della proprietà contadina si trovi nella medesima condizioni del coltivatore diretto che sia parte di un contratto di permuta nel quale uno dei cespiti immobiliari oggetto del trasferimento non persegua la finalità dell’arrotondamento della piccola proprietà contadina. Si tratta, all’evidenza, di ipotesi totalmente diverse nelle quali, in definitiva, il legislatore, nell’esercizio delle sue prerogative discrezionali, ha inteso riconoscere il beneficio solo quando entrambi i permutanti abbiano perseguito la finalità dell’arrotondamento realizzandola attraverso la permuta dei rispettivi beni, in modo da ritenere che l’eventuale assenza di tale requisito non giustifichi il riconoscimento del beneficio.

Se, dunque, la legge agevolativa L. n. 604 del 1954, art. 1 concede l’esenzione dall’imposta di bollo ed una significativa riduzione delle imposte di registro ed ipotecaria a favore di “atti posti in essere per la formazione o per l’arrotondamento della piccola proprietà contadina quando ricorrono le condizioni e i requisiti previsti dall’art. 2” ed elenca tali atti includendo, accanto alla compravendita, l’affitto, la compartecipazione a miglioria, gli atti con cui i coniugi o genitori e figli acquistano (separatamente ma contestualmente) usufrutto e nuda proprietà, gli atti di riunione della nuda proprietà e dell’usufrutto e, per quel che qui importa, la permuta – a determinate condizioni – non si ha difficoltà a comprendere che la ratio posta a base del regime agevolativo è inscindibilmente connessa al perseguimento di finalità di agevolazione in favore della piccola proprietà contadina. Ragioni che, quanto alla permuta, il legislatore ha inteso collegare al fatto che tutti i beni oggetto del contratto di permuta siano comunque destinati ad integrare la piccola proprietà contadina.

Si tratta di una scelta che rientra nella discrezionalità del legislatore e che impedisce di considerare esistente una disparità di trattamento fra le ipotesi di vendita e quella della permuta per la decisiva circostanza che nella compravendita, a differenza che nella permuta, viene in considerazione unicamente il cespite che entra nel patrimonio del coltivatore diretto, mentre nella permuta l’esistenza della pluralità dei beni permutati costituisce, per l’un verso, ragione di chiara diversificazione fra vendita e permuta e, per altro verso, non impone un’omogeneità di trattamento della permuta rispetto alla vendita.

In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Liguria anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Liguria anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio ella sesta sezione civile, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2018

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